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L'emozione della luce
 

Intervista a Marina Corradi*
a proposito del libro “Luce nelle chiese” di AA.VV. (Milano 2010)
 
*Giornalista e scrittrice. Inviata ed editorialista di Avvenire, cominciò a lavorare come cronista a La Notte di Milano, poi a Repubblica prima di arrivare al suo attuale incarico. Ha vinto nel 2006 il premio Dino Buzzati della Provincia di Milano, nel 2007 uno dei premi Saint Vincent e nello stesso anno il premio dell`Unione cattolica stampa italiana. Ha pubblicato: La regina del temporale (2013), Cronache Familiari (2012), Da bambina (2011), Diario. Milano e altrove(2011), Innanzitutto uomini. Le storie di 15 giovani preti (2010); Prima che venga notte e Le storie degli altri (2008). È inoltre autrice del monologo teatrale Cercando un tetto a Dio, dedicato alla figura di Etty Hillesum, messo in scena al Meeting di Rimini nel 2009.

Gli argomenti trattati nella rubrica “Un libro al mese” sono ridiscussi in interviste con diversi esperti. Ne nasce un colloquio volto ad approfondire gli argomenti esposti nei volumi. Le opinioni presentate sono qualificate ma personali, non necessariamente condivise da chi promuove la rubrica.
Il rapporto tra luce e ambiente è di particolare rilevanza nel qualificare la chiesa, e contribuisce portare la persona nelle condizioni psicologiche di raccoglimento consone alla preghiera. Si tratta di un rapporto che va ben qualificato e individuato, attraverso i poli liturgici e le opere artistiche.
17/06/2016
 
Il mio primo ricordo di una chiesa resta legato all'immagine di un luogo di penombra, accogliente, confortante: come l'abbraccio della mamma. Ripensandoci, rivedo ancora un grande ambiente, l'alta cupola, il silenzio e, a sinistra dell'entrata, una nicchia con Maria Bambina. Era la chiesa di San Giocchino, nella mia città, Milano: è stata costruita in stile neorinascimentale, a pianta centrale, verso la fine del XIX secolo e l'arcata del pronao che all'esterno annuncia l'aereo volume interiore le conferisce un volto solenne quanto benevolo. Nel crescere ho apprezzato con sempre maggiore intensità il senso della luce e dei colori, in tante chiese. Come in quella di S. Marco, nota tra l'altro perché spesso ospita eventi musicali; è vicina al liceo che frequentavo, e la ricordo come un luogo in cui rifugiarsi per cercare un conforto, un consiglio.
 
Nelle chiese soprattutto mi colpisce e mi interroga la luce delle vetrate absidali, che occhieggia fresca al mattino. Come una promessa. Come un invito alla speranza. E poi nell'estate, quando il sole batte, la chiesa è un'oasi di serenità silente e di frescura: penso a quelle italiane, le nostre. Romaniche o barocche che siano, sono piene di una gioiosa luminosità che rallegra lo spirito. Le trovo diverse, per esempio, dalle chiese spagnole, nelle quali il barocco assume i contorni di una certa drammatica gravezza: quando ho cominciato a viaggiare all'estero per me è stato inevitabile stabilire confronti. Ma sempre il rapporto tra luci e ombre è stato il motivo che ha incardinato il mio rapporto con le chiese. Penso per esempio alla basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, in Francia, dove mi trovai un 21 giugno, solstizio d'estate, e vidi i raggi del sole attivare una soave danza, coi loro colori che disegnavano sprazzi allineati lungo la navata. La chiesa tutta era un grande gnomone, come se la luce desse un appuntamento al tempo, per farcelo conoscere più da vicino. La luce è un po' come la voce della chiesa, una sua “quarta dimensione” dall'eloquenza limpida e immediata.
 
 
17/06/2016

Vi sono ambienti naturali o altre architetture che attingono a un certo grado di intensità emotiva. Ma sono tutte condizioni cui manca un fulcro che dà significato: nella chiesa il crocifisso che si staglia in alto, sopra l'altare o presso l'altare, riempie lo spazio di una presenza immensa e stabilisce il senso del luogo, ben al di là di quanto la semplice gradazione luministica può fare. Questa condizione è vera anche per edifici che furono chiese e che hanno cessato di esserlo. M'è capitato di assistere a una cerimonia nuziale celebrata a Pavia in una chiesa sconsacrata, oggi usata dall'Amministrazione comunale per questi eventi. I muri della chiesa erano ancora lì, ma il tutto appariva, pur nella sua dignità, come monco: si vedeva che manca qualcosa.
 
Il dialogo che si attiva tra crocifisso, altare, e gli altri poli liturgici non è sostituibile: è quanto rende a un senso evidente la destinazione dello spazio. Quanto rende a completezza l'emotività, esprimendone la ragione. Anche le opere d'arte completano il senso della chiesa.
 
17/06/2016

Al riguardo penso a San Luigi dei Francesi, a Roma. Una chiesa che ho amata sin dalla prima volta che vi entrai: seguendo una comitiva di turisti, in fondo a sinistra vi incontrai, come una rivelazione, La Vocazione di san Matteo dipinta dal Caravaggio. La tela mostra la luce che entra con ineguagliabile potenza metafisica, come seguendo il gesto di Cristo che dalla destra indica, imitato da Pietro, verso il tavolo al quale siedono i pubblicani. Di solito si intende che Matteo sia raffigurato nella persona barbuta che mostra sorpresa. Io subito pensai che fosse invece il giovane chino nel contare i denari. Mi parve la figura verso la quale più direttamente si rivolgessero la luce e il gesto di Gesù, colui che più sembra averne bisogno. Come riferisce il vangelo infatti, a chi lo critica perché si rivolge ai pubblicani Gesù dice: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Mt 9,12). Per me fu come un'evangelizzazione espressa non a parole, ma con forza immensa.
 
 
17/06/2016

Il rapporto con la luce nelle chiese contemporanee è diverso. Direi che la forza della penombra sembra svanire e tutto appare più evidente, definendo ambienti che forse con maggiore immediatezza richiamano la comunità a sentirsi tale, le persone a guardarsi in faccia. Ma a volte, se l'insieme di architettura, opere artistiche, poli liturgici non riesce a fondersi in uno spazio compiuto, il risultato può essere dispersivo. Mentre nelle chiese antiche mi sembra sia prevalente il senso del raccoglimento, e sia per solito maggiore lo stacco dalla quotidianità che deriva dall'insieme di penombra, ampiezza, slancio dei colonnati, profumi d'incenso. C'è poi la Sagrada Familia che, pur essendo contemporanea, offre un ambiente di grande significato simbolico, con quelle vetrate alte e colorate e i pilastri che, diramandosi in forme arboree, mi fanno pensare alla crocifissione.
 
17/06/2016

Spesso si trascura l'olfatto, eppure esso attiva con immediatezza ricordi e sensazioni, quasi senza farci caso. Al riguardo ho scritto un elzeviro: l'elogio dell'olfatto. È forse il più veloce vettore di ricordi. Penso che a chiunque capiti, quando passa accanto a un venditore di caldarroste in strada, di rirovarsi automaticamente bambino, quando nei mesi freddi gustava con piacere quell'aroma denso di calore. Allo stesso modo, per me il profumo d'incenso significa preghiera, venerazione, rito sacrale.

 
 
 
05/02/2016

Preferisco la luce naturale, anche nell'artificio. Prendiamo le candele che pur nell'artificio sono naturali: quel tenue fiammeggiare testimonia una preghiera, anche quando la persona che l'ha accesa se n'è andata. Il loro delicato, fragile tremore testimonia così bene la condizione umana! Quando sono tante, come se ne vedono ancora sotto l'altare della Madonna, in Duomo qui a Milano, la loro luce diviene un grande coro: pur nella società laicizzata esprimono sempre la grandezza della fede. Ricordo l'esperienza che ebbi nella cattedrale di Czestokowa: quando, alle sei del mattino aprirono le ante e comparve l'icona della madonna nera – mi piace immaginarla annerita dal fumo di migliaia di candele che hanno bruciato nei secoli – e s'udì un tonfo: erano i fedeli che tutti assieme, all'unisono cadevano in ginocchio. Penso che le candele abbiano la forza delicata ma allo stesso tempo perenne della fede. Quelle vere, non quelle elettriche, le quali mi sembrano una finzione non so quanto adatta alla chiesa, dove si richiede autenticità.

 
 
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