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Fondazione Migrantes - Intervista di M. Corradi a mons. Antonio Cantisani (Avvenire, 23 luglio)


“Mai incitato a odiare la legge dello Stato”

CATANZARO (Migranti-press) - Monsignor Antonio Cantisani, 76 anni, da oltre trenta vescovo in Calabria, è un uomo che l’immigrazione l’ha vista nelle sue due facce. Prima, da parroco, ha conosciuto la gente del nostro Sud che partiva per il Nord o per l’America. Poi ha cominciato a vedere arrivare i maghrebini; e in quelle facce scure di esuli ha riconosciuto, dice, «lo stesso sguardo dei calabresi di una volta, sul punto di partire: la paura, il bisogno, l’ansia dell’ignoto». E per quindici anni Cantisani è stato presidente della Migrantes. All’autorevole editorialista del Corriere che ieri lo accusava di ignorare la complessità del problema immigrazione, potrebbe legittimamente rispondere che la questione gli è ben nota. Monsignore, lei ha incitato all’odio della legge e alla disobbedienza civile sulla Bossi-Fini? Mai. Mai pronunciato la parola «odio», né suggerito la disobbedienza. Al contrario, se nell’omelia in cattedrale nei giorni scorsi ho detto che quella legge «crea problemi alla mia coscienza di cristiano», è stato solo col fine positivo di aiutare lo Stato a realizzare le sue finalità: che sono il bene comune, e quindi anche la tutela dei più deboli. Se c’è poi una espressione che torna sempre nel mio magistero, è l’educazione alla legalità. E allora da dove viene questa ipotesi di disobbedienza civile di cui la accusano? E un’espressione contenuta in un documento firmato da associazioni di laici della diocesi: gente che opera da anni, e in prima linea, nell’accoglienza agli immigrati, e che nella sua autonomia è arrivata a ventilare questa disobbedienza come estrema ipotesi. Un documento che non porta la mia firma. Tuttavia a lei questa legge non piace. No. Non mi piace perché accetta gli immigrati finché hanno un lavoro, e li scaccia subito, appena lo perdono. Una critica mi pare non solo mia. Non mi piace perché non colpisce abbastanza chi si arricchisce commerciando in uomini, e soprattutto non dà una regolamentazione adeguata al diritto di as ilo. Vede, per la mia esperienza ho forti dubbi che serva autenticamente a contrastare la clandestinità. Dopo quasi vent’anni che mi occupo di questo dramma, sono convinto che il flusso migratorio non si controlla sbarrando le porte, ma promuovendo lo sviluppo nei Paesi di provenienza. E dunque avvisando segnali in quella direzione. Quindi la sua è una critica forte alla legge. Certamente, ma la critica è un diritto. Di ogni cittadino, e dunque anche di un vescovo. Una critica che va valutata per quello che effettivamente dice, nel contesto reale in cui è stata articolata. Mi sembra piuttosto di leggere fra le righe di quell’editoriale, che qualcuno sotto sotto pretenderebbe un silenzio sistematico dai rappresentanti della Chiesa. La accusano di essere contrario a qualsiasi legge che pretenda di regolamentare l’immigrazione. Ma per carità. Se proprio a proposito della legge precedente avevo detto che anche una legge imperfetta sarebbe stata meglio di nessuna legge... Lei ama dire che «Nessun uomo è un clandestino». E vero. Sono convinto che ogni uomo è prima di tutto un uomo, e come tale va rispettato. Questo non significa che io sia contrario ad un’equa regolamentazione, o che desideri una sorta di abbraccio fra culture in cui le identità si perdono. Io, lo ripeto spesso, non ho paura dell’Islam: ho paura invece di essere un cristiano che dimentica il Vangelo. Perché il vero dramma nostro sarebbe perdere questa identità. Il "Corriere" la accusa: «La sola legge che questo vescovo vuole applicare è la legge di Dio». Monsignor Antonio Cantisani riflette, poi sorride: «Beh, in fondo, senza volerlo mi hanno fatto un complimento...» . Non l’ha presa tanto male, il vescovo di Catanzaro. Che, quando era parroco in Calabria, vedeva la gente partire per l’America, con la paura negli occhi. E erano occhi non così diversi, da quelli della gente dei gommoni.
25/07/2002