15 marzo
IV domenica di Quaresima   versione testuale

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

 
La croce che campeggia nelle nostre via crucis, adorata nel venerdì di passione, accanto o sopra ad ogni altare in cui si celebra il sacrificio della Nuova Alleanza, non è il segno di un’esaltazione del dolore, di un masochismo cristiano dell’animo, ma la certezza di una condivisione di amore con il nostro Dio, che ha voluto imprimere luce nelle ferite del cuore dell’uomo. Dobbiamo alzare lo sguardo verso il crocifisso Signore, staccare lo sguardo dalla lista delle lamentazioni con cui  continuiamo a rinchiuderci nel buio del cuore, e fissarlo su di Lui, per venire alla luce. Allora il morso del serpente, che fa sanguinare le ferite della nostra vita, viene annientato del suo veleno mortale; e dalle nostre ferite, come in quelle di Gesù, non esce più sangue di dolore bruciante, ma amore di condivisione, perché chi ha lasciato imprimere la croce nel suo cuore non può non capire le croci degli altri, non può non accostarsi con tenerezza ai dolori dei suoi fratelli. La croce non fa più paura, perché non è solo legno ruvido, freddo ed inospitale, ma legno toccato dal profumo di Dio, intriso del sangue benedetto della condivisione divina, scaldato dall’amore dell’Agnello risorto che, poggiandovi il suo fragile corpo, ha reso capace il legno della croce, come la verga di Aronne, di fiorire e di far fiorire, in chi lo accoglie, frutti di salvezza e di luce.
 
Sono naufrago nel mare della vita sulla mia piccola zattera di legno
che miracolosamente mi sostiene sopra le onde e non affonda sorpresa dall’impeto dei flutti.
Mi aggrappo forte alle tavole e lascio che la zattera venga trasportata
da una forza che non comprendo, ma che sa trovare strade anche sul mare.
E’ vero, Gesù camminava sul mare e permette anche a noi, attraverso questo legno,
di camminare sul mare… chiudo gli occhi e mi aggrappo alla zattera.
Approdo ad una spiaggia, mi alzo, scendo e vedo altre zattere ormeggiate sulla sponda.
Ci sono altri naufraghi che hanno acceso con dei rami un fuoco
e mi invitano a condividere con loro il cibo preparato, il pesce, Gesù, Figlio di Dio Salvatore.
Legno, che come zattera salva dal mare della prova.
Legno, che, arso dal fuoco, produce condivisione con Dio e con gli altri.