La nostra Chiesa in Italia è chiamata a prendere coscienza che non è più “il Centro della Cattolicità”, così come quando numericamente la sua presenza in territori allora considerati “di missione” poteva lasciare a intendere. Ora sono pure le altre Chiese sorelle a dare stimoli al suo slancio missionario. Questo comporta un cambio di prospettiva: da una Chiesa che “fa missione” in cooperazione con un’altra, si passa a una Chiesa che grazie alla missione-cooperazione comprende e riscopre la propria identità.
L’orizzonte in cui la Chiesa si colloca nella riscoperta della propria dimensione missionaria rimane senza dubbio quello del dialogo con l ’uomo contemporaneo e con il suo universo di senso , intesi – ce lo insegnava cinquant’anni fa il Concilio – come “luogo teologico” di salvezza e non di contrapposizione (cfr. GS 40-45).
È giunto il momento di aiutare la nostra Chiesa a liberarsi dal retaggio culturale da cui proviene, che ha creato un’idea parziale di missione come “aiuto umanitario al terzo mondo”, e che l’ha indotta a dimenticarsi della missione che ha fuori dalla porta di casa, di quelle “genti” che spesso sono lontane pur vivendo vicine, e che invece devono tornare ad essere oggetto della sua sollecitudine.
Gli stessi istituti missionari e/o religiosi aventi missioni non possono non tenere conto del cambiamento avvenuto al loro interno, perché è cambiata pure la sensibilità missionaria ecclesiale che esisteva al tempo in cui i fondatori hanno profuso il loro carisma; il quale non può essere salvaguardato nella sua formulazione originaria, ma va riletto in funzione di una missione sempre più profonda e globale.