Nella memoria dell’ultima cena di Cristo con i suoi discepoli, prologo del Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, la Chiesa è invitata a cogliere con animo stupito la sua origine nel dono nuziale che Cristo fa di sé. La celebrazione eucaristica di questa sera raccoglie i grandi “misteri” dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio e il dono del comandamento nuovo dell’amore fraterno.
È una celebrazione unica dell’anno liturgico, che domanda alcune attenzioni particolari:
L’unicità: ogni comunità parrocchiale, se non per gravi motivi, dovrebbe celebrare una sola Messa della Cena del Signore, in questo modo essa costituirà realmente la cena che raduna l’intera comunità cristiana che vive in quel luogo.
L’ora vespertina: è importante essere fedeli alla tradizione che ha sempre celebrato questa messa nell’ora in cui il giorno sta per tramontare.
Tabernacolo vuoto: per custodire la “verità dei simboli” questa celebrazione richiede che all’inizio della Messa non ci siano presenti altre ostie consacrate. Essa infatti costituisce l’”inizio” di ogni Eucaristia.
L’omelia dovrà sapientemente raccordare i doni dell’Eucaristia, del ministero ordinato e dell’amore fraterno all’interno dell’unico grande mistero pasquale evitando ogni forma di pietismo o di moralismo. Si tratta di «misteri» innanzitutto da celebrare e non semplicemente temi da svolgere. In questi giorni pasquali appaiono particolarmente opportune e illuminanti le indicazioni di papa Francesco nell’Esortazione Evangelii gaudium in merito all’omelia e, in particolare, al suo radicamento nel contesto liturgico e alla sua natura di «dialogo di Dio con il suo popolo, dialogo con cui vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte le esigenze dell’Alleanza» (n. 137). L’intervento omiletico, in quanto inserito nella celebrazione e legato alla struttura celebrativa, non può avere la forma dell’ampia meditazione, della catechesi sistematica o dell’approfondita conferenza tematica. Necessariamente, quindi, deve essere breve e aperta al culmine della celebrazione, dato dalla preghiera eucaristica e dalla comunione sacramentale dei fedeli con Cristo (cfr. n. 138)
Si studi la possibilità di attuare lalavanda dei piedi «dove motivi pastorali lo consigliano» (Messale Romano, p. 136). Questo rito veniva inizialmente praticato nelle comunità monastiche come segno di ospitalità verso i poveri e di fraternità verso i confratelli.
La Lavanda dei piedi non deve configurarsi come una sorta di drammatizzazione del racconto evangelico e tanto meno deve ridursi a un mero esteriore che non incide nelle coscienze. Coloro che vengono scelti per tale gesto possono rappresentare le varie componenti della comunità. Il Messale offre indicazioni precise circa i canti che accompagnano questo momento.
Si dedichi un’attenzione particolare al segmento rituale della presentazione dei doni. Come ricorda il Messale (p. 138), «si può disporre la processione dei fedeli che portano doni per i poveri» insieme con il pane e il vino per l’Eucaristia. Una breve e opportuna monizione può finalizzare la raccolta delle offerte in denaro o l’eventuale apporto di altri doni per i poveri: ciò gioverebbe a collegare sapientemente l’Eucaristia con la carità e il servizio. Lavanda dei piedi, carità per i poveri e memoria del comandamento nuovo trovano la loro sorgente nel Corpo e nel Sangue del Signore.
Oltre il prefazio, si potrebbe valorizzare con il canto il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia (Messale Romano, pp. 1072-1075 e 1116-1119): è l’inserzione anamnetica all’interno della grande preghiera che riallaccia l’agire della Chiesa alle parole e i gesti di Cristo e alla sua volontà che tali parole e gesti fossero ripetuti quale sua memoria.
In questa sera, con l’ausilio di ministri ordinati e di ministri straordinari della comunione, la comunione anche al calice (eventualmente solo per intinzione) esplicita al meglio la volontà di Gesù che ha racchiuso la memoria della sua Pasqua nel mangiare il Corpo e nel bere il Sangue dell’alleanza (cfr. OGMR 281).
La reposizione del SS.mo Sacramento: la liturgia eucaristica si prolunga nella preghiera adorante e vigilante perché è iniziato il tempo della Passione. Si consiglia perciò di abbandonare ogni “trionfalismo” ed eccessivo sfarzo: l’adorazione eucaristica deve compiersi con semplice e nobile bellezza.
La spogliazione dell’altare: al termine della celebrazione, l’assemblea non è congedata, ma è silenziosamente chiamata a sostare per vigilare con il Signore Gesù. Il gesto della spogliazione dell’altare, sottolinea l’inizio del
tempo della Passione che va dunque compiuto come un vero e proprio atto rituale.