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Home page - Un libro al mese - Antoni Gaudí. Idee per l'architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi | Antoni Gaudí. Idee per l'architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi | | |
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13/12/2012
Titolo: “Antoni Gaudí. Idee per l'architettura. Scritti e pensieri raccolti dagli allievi” Autore: Isidre Puig-Boada (a cura di - prefazione di Juan Bassegoda Nonell - ed. italiana curata da M. Antonietta Crippa) Editore: Jaca Book (1995 – riedizione della versione originale: Dux Editorial, Barcelona, 2004) Numero pagine: 320 (270 nell'edizione Dux Editorial) Prezzo: 44.00 lire (23,00 euro l'edizione in catalano)
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13/12/2012
La figura di Antoni Gaudí (1852-1926): pensatore, architetto, maestro, e semplicemente essere umano. Che cosa gli dà la forza, il sapere, la convinzione, di concepire un progetto grandioso quale quello della Sagrada Familia? La raccolta di scritti autografi, risalenti all'età giovanile, e delle successive testimonianze e citazioni raccolte dagli allievi, è intesa a permettere al lettore di comprendere qualcosa in più della vasta complessità del suo pensiero. Gli scritti giovanili mettono in luce idee germinali che matureranno poi, da lui vergate non più in parole, ma nelle opere di architettura. Così, quanto raccolto dai suoi collaboratori diviene una traccia che racconta le elaborazioni, le ambizioni, il rigore del grande architetto. E consente di meglio “leggere” le sue realizzazioni, comprendendo da dove emergono e con quali finalità sono concepite. Ovviamente non si parla solo di architettura, ma di arte, di storia, di vita contemporanea.
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13/12/2012
Isidre Puig Boada (Barcellona 1890 – 1987) ha fatto parte del piccolo gruppo di architetti amici personali di Antoni Gaudí, che hanno collaborato a lungo col maestro catalano. Ancora studente, Boada incontrò Gaudí nel 1914 e lo seguì: quando questi morì, nel 1926, continuò a lavorare alla Sagrada Familia, prima sotto la direzione di Doménech Sugrañes, più tardi, nel 1950, divenne lui stesso il direttore del cantiere. Nel 1929 pubblicò “El temple de la Sagrada Familia” e nel 1976 “L'església de la Colònia Güell”. Novantenne, nel 1980 si impegnò a raccogliere e pubblicare in modo organico i pensieri Gaudí.
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13/12/2012
«Voglio che le volte siano composte da paraboloidi iperbolici, per molte ragioni. Si tratta di un magnifico simbolo della Santissima Trinità, perché sono formati da due generatrici rette e infinite, e da una generatrice, anch'essa retta e infinita, che poggia sulle altre due: il Padre e il Figlio, uniti dallo Spirito Santo... Scoprii tale simbolo realizzando la Colónia Güell e, trovandolo perfetto, ho voluto impiegarlo anche nella Sagrada Familia. La gente vedrà che ora il paraboloide iperbolico, studiato da tutti e da tutti ritenuto assolutamente inutile, servirà per le volte della Sagrada Familia. Un altro motivo a favore del paraboloide è l'unità; le pareti verticali sono un tipo particolare di paraboloide e tale forma presenta, dunque, un collegamento migliore... Un'ulteriore ragione consiste nella soppressione dei costoloni e dei contrafforti, testimonianze dell'imperfezione e del carattere seriale del gotico. Il gotico, infatti, disgrega la massa, la diversifica invece di unificarla e concentrarla come un corpo vivo, organico; in altre parole, porta fuori lo sforzo e non lo fa lavorare come unità. Le luci delle chiese gotiche, incanalate dai contrafforti, risultano normali alle navate, nello stesso senso dei costoloni e degli archi trasversali, e ciò indebolisce il rilievo; (nella Sagrada Familia) invece, metteremo le colonne al centro dei finestroni; le volte rifrangeranno le luci e imporranno loro un angolo di 45 gradi, conferendo quindi una ricca gamma di sfumature. Conformando a paraboloidi i riquadri della navata centrale (nelle chiese gotiche sono rettangolari), si crea una divisione in quattro punti e si generano spinte che passano per quattro colonne inclinate. Quanto alle direttrici, una è orizzontale, l'altra inclinata... Un'altra ragione ancora è che a qualsiasi posizione del fuoco di luce corrisponde un punto brillante e, a ogni raggio riflesso corrisponde un osservatore: in questo modo la luce sempre si diffonde. Si diffondono anche i suoni e non si creano risonanze: quindi, non sono necessarie le superfici destinate ad assorbirle. Gli ideatori del gotico non hanno potuto ottenere questo risultato perché nel nord, a differenza del Mediterraneo, non c'è luce... La luce è armonia, dà rilievo e decora».
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13/12/2012
«A ragione si preferisce al finto marmo il legno semplice e, alla sovrabbondanza ornamentale di sculture, la struttura dei materiali naturali valorizzata da semplici profili. Certamente il rigore, l'intensità delle forme, l'amore per la verità, in queste e nei materiali, sono qualità proprie dell'arte vera...»: così scrive Gaudí, ventiseienne, nel presentare al Comune di Barcellona il progetto per un lampione, alcuni esemplari del quale si possono ancora vedere nella capitale catalana (in Plaça Real, Plaça del Palau, Psseig Nacional de la Barceloneta).
Siamo nel 1878, si è da poco laureato, e si muove secondo temi che saranno cari al movimento moderno, quali l'autenticità dei materiali e il rifiuto dell'ornamento fine a sé stesso. «Perché un oggetto sia sommamente bello, occorre che la sua forma non abbia nulla di superfluo» argomenta nel “Manoscritto di Reus”, mentre si addentra in ricerche volte a individuare criteri per la migliore riuscita estetica dell'architettura, confrontandosi in particolare con le forme e le soluzioni della classicità. L'ornamento non è rifiutato, ma inteso come qualcosa che non può indulgere nel vezzo (lo vede come il metro e il ritmo nella poesia) bensì deve radicarsi nell'espressione del carattere degli edifici. E, sottolinea, agli edifici pubblici spetta un carattere severo e grave, a differenza di quanto ci si può aspettare da edifici privati o da oggetti domestici. Il colore è inteso quale elemento sostanziale, primordiale del decoro: alla freddezza delle superfici bianche o monocrome (che riconduce alla tradizione nordica), contrappone la variegata agilità delle tante cromie tradizionalmente presenti nelle architetture mediterranee: «la pittura architettonica presenta l'immenso vantaggio di rendere più vigorosi i contorni e i piani strutturali...». Per quanto rifiuti di riprodurre stili del passato, trova che questi avessero la capacità di esprimere la sacralità nelle chiese: e questa gli pare svanita nella produzione architettonica dell'epoca. Le critiche rivolte dal giovane Gaudí alle chiese che si costruivano a metà Ottocento, in fondo non differiscono molto dalle critiche che spesso anche oggi si sentono rivolte alle chiese dei nostri giorni. La sua risposta, già nei primi scritti giovanili, sta in teorizzazioni che in nuce esprimo quel che poi si rivelerà nella sua opera maggiore: ricerca della leggerezza, per esempio attraverso la cupola che di per sé è anche simbolo di unitarietà; pietra scalpellata per superfici scabre; rifuggire dalla dissimulazione delle grandi masse costruite (e la chiesa deve essere magniloquente) ma cercare di smaterializzarle tramite una decorazione che sia semplice; coerenza tra interno ed esterno... Singolare e particolarmente importante la notazione sui portici: questi devono precedere l'ingresso e, con le loro dimensioni contenute, piccoli e bassi come sono, per contrasto esaltare l'altezza degli interni, così da dare un senso di incommensurabilità all'aula celebrativa. Quanto alle campane, esse vanno poste il più in alto possibile, sopra il tamburo, disegnando un profilo a piramide dell'edificio. L'essenza della capacità espressiva per l'architettura delle chiese è ravvisata nella geometria che conferisce “distinzione e chiarezza” e, più perfetta è la geometria, minore è l'esigenza di ornamentazione. Nella seconda parte del volume sono raccolte per capitoli le citazioni dei pensieri gaudiniani, che peraltro seguono uno sviluppo logico. Si aggiungono considerazioni riguardanti il “libro della natura”: il maestro catalano vi attinge da un lato per la sua analisi strutturale, dall'altro per l'analisi delle proporzioni, che riconduce quindi alle figure geometriche (“La metopa è quadrata, la figura umana la riempie; il frontone è triangolare, figure in piedi e coricate lo riempiono”). E poi il concetto di bellezza, “splendore della verità”, e quello dell'armonia che deriva dal contrasto tra luci ed ombre; il problema del rapporto tra architettura e organismo (la pittura riproduce l'organismo, l'architettura lo crea). Tra le varie citazioni che riguardano la storia dell'architettura, più approfondite e attente sono quelle sullo stile gotico: l'intento di Gaudí è infatti di superarlo. La composizione della Sagrada Familia costituisce la dimostrazione di come questo sia possibile. Se infatti nello stile gotico il sistema di contrafforti e archi rampanti è quello che caratterizza l'insieme, consentendo alla struttura di ergersi verso l'alto, nel sistema gaudiniano prevale la struttura conformata ad albero: i pilastri si articolano in diramazioni che divengono una cascata protesa verso i lati, come i rami di un salice piangente che prima salgono e poi ricadono tutto attorno. Così gli elementi strutturali, simili a quelli che offre la natura, definiscono un edificio che sale dal centro e si diffonde poi verso il perimetro. È evidente che questa stessa concezione strutturale permette di ottenere edifici di notevole altezza. Si pensi che il progetto della Sagrada Familia prevede che la guglia maggiore – non ancora costruita – arrivi a circa 160 metri di altezza, mentre le altre guglie – già costruite – toccano i 120 metri. E il progetto risale a un'epoca in cui i maggiori grattacieli salivano per poche decine di metri. Usava curve funicolari per gli archi: li progettava lasciando pendere una fune tra due sostegni e appendendo lungo la medesima dei carichi, per poi rovesciarne l'immagine di 180°. E per le volte usava le superfici rigate, paraboloidi ellittici e iperbolici che danno luogo a figurazioni di per sé dotate non solo di notevoli prestazioni strutturali, ma anche di effetti estetici impressionanti: quelli che si ritrovano all'interno della Sagrada Familia e che fanno pensare a sviluppi fantastici, al crescere di forme naturali. Alla magnificenza della costruzione, in particolare per la Sagrada Familia – ma anche per le altre sue opere – Gaudí cercava non la dispendiosità, bensì l'impatto estetico, a volte usando scarti per ridurre i costi: «I mosaici che rivestono la parte terminale del campanile sono dello stesso vetro comune impiegato per le bottiglie verdi». Gli inserimenti in foglia d'oro sono fusi in pasta er ottenere elementi più stabili nel tempo. Perché una delle condizioni cui badava nel seguire con attenzione ogni fase del cantiere, era che l'edificio potesse durare secoli, come e più delle grandi basiliche del passato. Tra i suoi impegni c'era anche quello di reperire i fondi per la costruzione. E richiedeva che questi fossero sudati; a una persona che gli diceva come per lui non fosse un sacrificio donare del denaro per il cantiere della Sagrada Familia, chiese una quantità maggiore, perché doveva essere un sacrificio: senza sacrificio non si ottiene nulla di significativo.
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13/12/2012
“Penso che questo libro sia la bibbia di tutti i gaudinisti...” ha detto nel 2005 Eduard Solé, presidente dell'associazione Gaudí & Barcelona Club, nell'occasione della riedizione di questo volume. In effetti vi sono molti libri che parlano dell'opera di Gaudí e che accuratamente la illustrano in disegni e immagini (la Jaca Book ne ha editi molti molti dell'uno e dell'altro tipo). Quest'opera di Isidre Puig Boada ha la freschezza del rapporto di prima mano. Elaborato quanto basta per seguire una propria logica ordinata, ma allo stesso tempo spontaneo. Nel complesso capace di comunicare con immediatezza, e dotato di un apparato iconografico che aiuta a comprendere bene quanto lo scritto racconta. Di Gaudí è in corso il processo di beatificazione: questo deriva in particolare dalla sua opera di architettura, che si è dimostrata capace non solo di attirare moltissimi visitatori (la Sagrada Familia è il singolo luogo in Spagna che riceve ogni anno il maggior numero di visitatori), ma anche di convincerli, di avvincerli ed è persino dimostrato qualche caso di conversione. È un personaggio unico nella storia contemporanea. Oggi viviamo un periodo in cui l'architettura assurge spesso agli onori delle cronache in forza della fama di “archistar” e di loro opere spettacolari. La tecnologia consente di erigere grattacieli di centinaia di metri di altezza in pochi mesi. La Sagrada Fmilia è stata seguita da Gaudí dal 1883 e il suo cantiere è ancora aperto. È un'opera da cui il genio di una persona si irradia nel tempo e nello spazio: qualcosa più di un'architettura. Puig Boada ne rende conto aprendo una finestra sul pensiero di chi l'ha concepita come dedicazione della vita, propria e di tanti altri. Il racconto scaturisce come pensiero immediato di Gaudí, col pregio e i limiti della spontaneità; ma è esaustivo, e non necessita di grandi apparati critici e di filtri interpretativi. Se oggi la Sagrada Familia appare come opera magnifica e grandiosa, ma appartenente ormai a un'altra epoca, leggendo le note e le osservazioni di Gaudí si comprende quanto fosse moderno il suo approccio. E quanto ancor oggi possa essere fonte di ispirazione nella ricerca dell'autenticità attuale. Egli stesso intraprese tale ricerca a suo tempo: con impegno, passione e dedizione, rifuggendo dall'imitazione di stili o modelli passati. È chiaro, però, che l'architettura sacra di Gaudí, ed in specie la sua Sagrada Familia, se è fonte di ispirazione ed ammirazione da un lato, dall'altro richiederebbe una attenta analisi e valutazione in ordine al confronto tra architettura e contemporaneità e al rapporto tra architettura e spazio liturgico. In effetti, negli ultimi anni sta emergendo l'interesse e la necessità che l'impianto liturgico di una chiesa sia caratterizzato da un'articolazione ed organizzazione dello spazio tali da esaltare l'efficacia espressiva dei singoli luoghi liturgici e la loro intima relazione, l'interazione tra altare e assemblea, quale soggetto celebrante, la visibilità dei percorsi celebrativi. Ciò allo scopo di rendere ragione della struttura e del dinamismo del rito in rapporto allo spazio.
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