1 maggio
VI domenica di Pasqua   versione testuale

«Il Paraclito vi insegnerà ogni cosa»
 
Letture
Atti 15,1-2.22-29 È parso bene allo Spirito Santo e a noi.
La missione cresce per il costante accompagnamento da parte dello Spirito.
Sal 66 Si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza tra tutte le genti.
È essenziale pregare per la missione, perché si realizzi la volontà del Padre, che tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità.
Ap 21,10-14.22-23 Mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.
La missione è sorretta dalla speranza di giungere alla Gerusalemme celeste, che non potrà mai essere interamente realizzata dai nostri soli sforzi.
Gv 14,23-29 Lo Spirito santo vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Dallo Spirito siamo vivificati con gli stessi sentimenti di Gesù.
 
In breve 
Vivere il Giubileo: la pace del Risorto
Siamo mandati a portare la pace. Ad essere operatori di pace. Possiamo farlo, se per primi accogliamo la pace del Risorto. Essa non è semplice assenza di guerra. Né assenza di problemi, né assenza di persecuzioni. La pace di Cristo è stata sperimentata anche in mezzo alle violenze della storia, nei campi di prigionia, dai martiri della fede. Consiste nel continuare ad amare e donare la vita, senza cedere alla violenza e alla costrizione, senza cedere all’odio.
 
Prepararsi al Congresso Eucaristico: Il Risorto viene incontro a tutti con l’insegnamento dello Spirito
La dimensione educativa è profondamente inscritta nella misericordia paterna e materna. Chi ha generato un figlio, lo vuole anche educare. La dimensione educativa è dunque strettamente legata alla misericordia di Dio, che ci ama con amore di padre e di madre; ed è naturalmente collegata alla missione della Chiesa, comunità di fratelli e sorelle, generata dall’amore di Cristo. Lo Spirito suscita in essa continuamente sapienza di discernimento e capacità di educare: prima di tutto nei confronti dei piccoli; poi nei confronti dei giovani; e anche verso gli inesperti e i più deboli. Ma la promessa del Risorto è ancora più ampia: tutti nella Chiesa saranno sempre chiamati a lasciarsi educare dallo Spirito, e avranno sempre la missione di restituire l’insegnamento ricevuto.

«Il Paraclito vi insegnerà ogni cosa»
 
Immagini di guerra
I mezzi di comunicazione ci riportano continuamente scene drammatiche da luoghi di combattimento, in varie parti del mondo. Quando ci soffermiamo a riflettere, al di là dell’impatto emotivo immediato, viene il sospetto che un’astuta regia scelga di dare rilievo ora a quel conflitto, ora a quell’altro, secondo convenienze che ci sfuggono, e talvolta si decida di spegnere i riflettori, mentre in realtà la violenza continua. Quale traccia lascia tutto questo nelle nostre menti? Solo una diffusa incertezza? O una sfiducia di fondo? Per il momento in Italia non si vive in guerra, ma neppure si gusta la pace.
 
Una promessa di pace

“Vi do la mia pace”: la parola di Gesù ci raggiunge, anche oggi, con il suo carico di speranza. Neppure ai tempi dell’evangelista la situazione era molto differente, almeno per i cristiani. Quando viene scritto il vangelo di Giovanni, il conflitto con il giudaismo è già radicalizzato, e anche le persecuzioni da parte dell’Impero Romano sono già un fatto realizzato e, a lungo termine, prevedibile. Non sono certamente tempi tranquilli per i credenti. Eppure si recupera, con tutta la sua forza provocatoria, il detto di Gesù: “Vi lascio la pace”. Lasciamoci provocare anche noi. Il testo è tratto dal lungo discorso di addio nel vangelo di Giovanni: si colloca dunque di fronte all’ora decisiva della Passione. Mentre sta per essere violentemente espropriato della sua vita - ma il lettore sa che non gli è tolta, è lui che la dona - Gesù parla di pace: della “sua” pace. Si tratta evidentemente di una “pace” che sta in relazione con la sua morte e risurrezione, che può fare a meno di circostanze favorevoli, che non può essere identificata con il “benessere” o la “fortuna”. Comprendiamo dal contesto che essa ha a che fare con lo Spirito, con il Paraclito che “insegnerà ogni cosa”.
 
Ridefinizione del nemico
Come lo Spirito ci insegna ad entrare nella pace del Risorto? Innanzitutto, attraverso la ridefinizione del nemico. Nello Spirito riconosciamo che il vero nostro avversario è il peccato, il “mondo” segnato dal peccato, che però è anche quello stesso “mondo tanto amato da Dio”, «da dare il Figlio Unigenito» (Gv 3,16). Seguendo la via tracciata da Cristo, possiamo rinunciare a coltivare a tutti i costi le inimicizie personali e i grandi scontri ideologici. Non nel senso di una utopica eliminazione dei conflitti, che permangono nella vita personale e nella storia del mondo, come pure nella storia della Chiesa, ma nel senso che si resta aperti al dialogo, alla riconciliazione, al perdono. Anche nei confronti dei persecutori, come prima di noi è avvenuto per molte generazioni di martiri, morti nel nome di Cristo, perdonando ai loro uccisori. La prima lettura mostra come una tensione potenzialmente devastante all’interno della prima comunità venga risolta appunto attraverso il dialogo e l’ascolto dello Spirito.

Resistenza alle avversità
La pace donata da Gesù, riconosciuta nello Spirito, a cui vogliamo educarci, comporta anche una certa indifferenza alle circostanze avverse. Chi sta con Gesù, colui che è stato crocifisso ed è risorto per noi, non si lascia schiacciare dalla avversità della vita (che pure sono presenti, che pure possono turbare e mettere in apprensione). Sempre facendo riferimento alla prima lettura, vediamo come una grave crisi, tale da provocare spaccature e divisioni, diventa occasione di crescita e di approfondimento della fede. Così può avvenire per noi, se ci poniamo di fronte alle avversità restando in ascolto della voce dello Spirito.
 
Equilibrio nel benessere
La pace donata da Cristo non ha bisogno del lusso esteriore, del benessere materiale; ciò però non esclude che molti credenti si trovino in posizione agiata o perlomeno di sicurezza. Non sta lì la vera pace; e tuttavia, si lotta per garantirsi un minimo di sicurezza. Poi accade che quello che per alcuni è un minimo, per molti altri è un eccesso, un lusso: così i profughi e i migranti dai paesi poveri del mondo guardano al mondo occidentale, mentre il mondo occidentale da parte sua avverte la crisi e l’impoverimento.
Lo Spirito insegna ai credenti a vivere con equilibrio e distacco una eventuale situazione di benessere e relativa sicurezza economica. Essa può facilmente degenerare in avarizia, avidità, chiusura; ma altrettanto facilmente si può degradare, fino alla improvvisa caduta nella miseria e nel fallimento. La povertà evangelica non può identificarsi con il rovinare se stessi e la propria famiglia.
 
La creatività dello Spirito
Il dono della pace comporta il dono della creatività dello Spirito. Essa consiste nel cercare sempre nuove vie di dialogo, di riconciliazione, di perdono, di incontro tra le persone. La creatività dello Spirito permette di illuminare le situazioni sotto una luce diversa, facendo emergere il bene autentico, che il più delle volte resta oscurato dai pregiudizi grossolani e dalla propaganda generalizzata. Della fantasia autentica, frutto dello Spirito di Dio, hanno bisogno soprattutto le persone che si credono adulte, ormai fissate nelle loro ideologie, o negli schemi ripetuti, per aprirsi alle continue sorprese di Dio.
 
Educare le giovani generazioni
Una comunità di adulti che si lascia plasmare dallo Spirito Paraclito sarà anche capace di educare, di trasmettere alle giovani generazioni i propri valori e di indirizzare a Dio. Il primo fattore educativo sarà proprio il suo essere comunità. Il punto di riferimento è ancora il brano degli Atti della prima lettura: lì si presenta un gruppo che reagisce di fronte alle difficoltà, sapendosi riservare tempi convenienti di discussione, di ascolto, di discernimento comune. Solo in un simile ambito può manifestarsi il contributo dello Spirito: tanto che possono dire: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (Atti 15,28). Una comunità dunque che sa autoeducarsi, potrà anche educare i più piccoli. L’Eucaristia domenicale è il riferimento costante capillare, per un simile processo di continuo discepolato, che dovrà trovare anche altri momenti forti e qualificanti.
Entra in scena poi un secondo fattore educativo, più operativo e pratico: l’effettivo prendersi cura. Di nuovo ci aiuta il brano degli Atti: «È parso bene… di scegliere alcune persone e inviarle a voi» (Atti 15,25). La cura educativa di cui parliamo, che coinvolge l’integralità della persona, non può fare a meno di un riferimento personale. In un mondo in cui anche l’educazione sembra divenire un fatto tecnologico, affidato ai mezzi, dipendente dalle risorse economiche, la comunità cristiana mantiene l’educazione come fatto personale, che implica una testimonianza diretta. Ma come fare se mancano i testimoni, gli annunciatori, le persone capaci di educare alla fede in maniera capillare? O se si tratta di persone fragili, insufficienti?
 
Verso la nuova Gerusalemme
Il brano dell’Apocalisse, con l’immagine della Nuova Gerusalemme, mostra lo sfondo su cui si svolge l’azione educativa della Chiesa. La città santa “scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”. Dio ci dona una meta verso cui tutti possono camminare insieme, ciascuno con le sue insufficienze e fragilità, ciascuno con le sue fatiche. È importante sostenersi a vicenda, è importante che qualcuno indichi la meta, ma in ultima analisi è il termine stesso del cammino che attrae i pellegrini. L’amore di Dio ci sospinge e ci attira: qui sta la grande risorsa posta nelle mani della Chiesa, che diviene annuncio, formazione, educazione, richiamo alla conversione.