Rinfrancate i vostri cuori. Uomo vecchio crocifisso con Lui (Cf. Rm 6,6) - Domeniche - 8 marzo - III domenica di Quaresima 

8 marzo   versione testuale

III domenica di Quaresima


Giotto (Giotto di Bondone 1266-1336), Cacciata dei mercanti dal tempio, Cappella Scrovegni, Padova.

Dio - come recita l’incipit della prima lettura di questa terza domenica di Quaresima, ovvero il brano del Libro dell’Esodo in cui il popolo, per mano di Mosè, riceve il dono del decalogo - ha fatto uscire il suo popolo da una “condizione servile”. Egli ha fatto uscire l’umanità intera da una schiavitù ancora più umiliante e tremenda di quella subita da Israele in terra di Egitto perché ha tratto l’umanità intera fuori dalla schiavitù del peccato; nessuna libertà è infatti possibile se maschera delle schiavitù ancora più subdole o se si fa alibi di situazioni di ingiustizia, di sopraffazione e di morte che degradano l’uomo e ne offendono la dignità. Soltanto la legge di Dio libera e soltanto Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi davvero (cf. Gal 5,1). La liberazione che egli ha portato è libertà interiore, ma anche esteriore; è libertà dal peccato ed è libertà per vivere da figli adottivi e per compiere il bene nella giustizia e nella verità. Se l’uomo è il tempio di Dio e se il suo corpo e la sua anima sono stati santificati dallo Spirito, è anche vero che a causa del peccato la sua vita diviene simile al tempio profanato e insozzato dal malaffare dei cambiavalute e dei mercanti di cui parla il brano evangelico e di ogni tempo. Il peccato inquina l’uomo, dimora di Dio lavata con il battesimo e unta con lo Spirito Santo, offerta gradita a Dio. Demolisce il cuore dell’uomo, tempio dello Spirito, reso tale da Cristo Signore il quale, parlando del tempio del suo corpo, dice: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (cf. Gv 2,19).
Giotto, in uno degli affreschi che arricchiscono la Cappella degli Scrovegni a Padova, vera Sistina del medioevo, fatta costruire, si dice, come atto espiatorio da Enrico Scrovegni proprio per i peccati commessi in ambito finanziario, dedica alla scena del vangelo un riquadro fortemente drammatico. Dinnanzi a un’elegante architettura pone la figura di Cristo, assolutamente centrale, colta in un gesto minaccioso che sprigiona una forza dirompente che fa arretrare i personaggi che gli stanno di fronte, atterriti dalla veemenza della sua azione e dalle sue parole, e fissa in un atteggiamento di grande meraviglia gli apostoli che lo seguono. La sequela di Cristo non può ridursi a un generico sentimento di appartenenza a una certa tradizione religiosa o in un’adesione ai principi enunciati da un maestro spirituale nella sua predicazione oppure nei suoi scritti, né può essere una commossa ammirazione per i suoi gesti e, in questo caso, per il suo sacrificio cruento, ma deve tradursi in una vita pienamente e realmente trasformata, in tutti i suoi aspetti e nelle sue più diverse espressioni. La conversione del cuore, infatti, interessa il singolo, la sua anima, il suo intimo, ma lo riguarda anche nel suo rapporto con il mondo, con gli altri e quindi con la politica, la finanza, la cultura, ecc., secondo quanto ci ha ricordato papa Francesco in Lumen Fidei 13: «La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente […]. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia». Per questo la Chiesa chiede a Dio: «Fa che manifestiamo nelle nostre opere la realtà presente nel sacramento che celebriamo» (Orazione dopo la comunione).