Rinfrancate i vostri cuori. Uomo vecchio crocifisso con Lui (Cf. Rm 6,6) - Domeniche - 4 aprile - Sabato Santo
4 aprile
Sabato Santo
Guido da Como, Pergamo, Pulpito, Pistoia, Gesù discende agli inferi.
In una sua struggente meditazione sul mistero del Sabato Santo, Joseph Ratzinger, molto tempo, fa scriveva: «Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato Santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole “disceso agli inferi”, disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì Santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato Santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo…Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso…noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui…Ma la morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini».
Guido da Como sembra quasi ispirato dal contenuto di queste parole nel momento in cui nel XIII sec. propone il mistero della discesa di Gesù agli inferi in rapporto con la scena pasquale del cammino di Gesù pellegrino e straniero che si accompagna ai discepoli di Emmaus. Così come condivide un tratto di strada con i due discepoli delusi e tristi, facendosi loro vicino, allo stesso modo Gesù scende sino agli inferi portando a compimento il mistero del suo svuotamento e realizzando al massimo grado la sua assunzione della natura umana, anche nella morte e in tutto ciò che questa può comportare. Egli compie un vero e proprio pellegrinaggio spirituale nella periferia più estrema dell’umano, perfino nel regno della morte. Ciò rivela che il descensus è sì la pienezza della morte, la massima manifestazione della sua vittoria, del suo silenzio e della sua estrema solitudine, ma è soprattutto evento pasquale e di salvezza perché è l’apparizione e la presenza di Cristo nel regno dei morti. Dove regnava la morte ora regna la vita e splende la luce di Cristo. Il riquadro a cui si fa riferimento fa parte del Pulpito che venne realizzato da Guido da Como per volontà dell’Abate Simone nel 1240. Si tratta di un’opera in marmo, di forma quadrangolare, la cui parte centrale è costituita da quattro formelle a basso rilievo, una delle quali, come si diceva, rappresenta la discesa agli inferi del Cristo vincitore della morte, che tende la mano ad Adamo e ai giusti dell’Antico Testamento mentre l’altra, in basso a sinistra, ci mostra Gesù risorto che come un anonimo pellegrino, con il bastone e la bisaccia, si accosta ai discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,18). Se a questo si aggiunge la scena dell’apparizione, la sera di Pasqua, ai discepoli chiusi nel Cenacolo, e quella dell’apparizione all’incredulo Tommaso, allora si comprende bene che il descensus è stato pensato e inserito in un contesto di annuncio pasquale, perché proprio quel Gesù che ha svuotato se stesso sino a farsi carico del peso della morte, Dio lo ha superesaltato, come recita l’inno della Lettera ai Filippesi più volte citato, e gli ha dato il nome, Signore, davanti al quale si piega ogni ginocchio, nei cieli, sulla terra e sotto terra (cf. Fil 2,6-11). È lui, infatti, la buona novella annunciata a tutti gli uomini e apportatrice di salvezza all’intero universo.
Nell’assordante silenzio di questo giorno che si è fatto notte, in questa notte che attende il nuovo giorno, risuonano le parole del poeta: «Ma ora a noi avanzano / Solo l’inverno e la notte / E senza scampo sono le nostre vite… / Invece fiorito è il deserto, / popolata di uccelli e di alberi la tua solitudine. / Angeli danzano al canto nuovo» (D. M. Turoldo).
In una sua struggente meditazione sul mistero del Sabato Santo, Joseph Ratzinger, molto tempo, fa scriveva: «Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato Santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole “disceso agli inferi”, disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì Santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato Santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo…Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso…noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui…Ma la morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini».
Guido da Como sembra quasi ispirato dal contenuto di queste parole nel momento in cui nel XIII sec. propone il mistero della discesa di Gesù agli inferi in rapporto con la scena pasquale del cammino di Gesù pellegrino e straniero che si accompagna ai discepoli di Emmaus. Così come condivide un tratto di strada con i due discepoli delusi e tristi, facendosi loro vicino, allo stesso modo Gesù scende sino agli inferi portando a compimento il mistero del suo svuotamento e realizzando al massimo grado la sua assunzione della natura umana, anche nella morte e in tutto ciò che questa può comportare. Egli compie un vero e proprio pellegrinaggio spirituale nella periferia più estrema dell’umano, perfino nel regno della morte. Ciò rivela che il descensus è sì la pienezza della morte, la massima manifestazione della sua vittoria, del suo silenzio e della sua estrema solitudine, ma è soprattutto evento pasquale e di salvezza perché è l’apparizione e la presenza di Cristo nel regno dei morti. Dove regnava la morte ora regna la vita e splende la luce di Cristo. Il riquadro a cui si fa riferimento fa parte del Pulpito che venne realizzato da Guido da Como per volontà dell’Abate Simone nel 1240. Si tratta di un’opera in marmo, di forma quadrangolare, la cui parte centrale è costituita da quattro formelle a basso rilievo, una delle quali, come si diceva, rappresenta la discesa agli inferi del Cristo vincitore della morte, che tende la mano ad Adamo e ai giusti dell’Antico Testamento mentre l’altra, in basso a sinistra, ci mostra Gesù risorto che come un anonimo pellegrino, con il bastone e la bisaccia, si accosta ai discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,18). Se a questo si aggiunge la scena dell’apparizione, la sera di Pasqua, ai discepoli chiusi nel Cenacolo, e quella dell’apparizione all’incredulo Tommaso, allora si comprende bene che il descensus è stato pensato e inserito in un contesto di annuncio pasquale, perché proprio quel Gesù che ha svuotato se stesso sino a farsi carico del peso della morte, Dio lo ha superesaltato, come recita l’inno della Lettera ai Filippesi più volte citato, e gli ha dato il nome, Signore, davanti al quale si piega ogni ginocchio, nei cieli, sulla terra e sotto terra (cf. Fil 2,6-11). È lui, infatti, la buona novella annunciata a tutti gli uomini e apportatrice di salvezza all’intero universo.
Nell’assordante silenzio di questo giorno che si è fatto notte, in questa notte che attende il nuovo giorno, risuonano le parole del poeta: «Ma ora a noi avanzano / Solo l’inverno e la notte / E senza scampo sono le nostre vite… / Invece fiorito è il deserto, / popolata di uccelli e di alberi la tua solitudine. / Angeli danzano al canto nuovo» (D. M. Turoldo).