Rinfrancate i vostri cuori. Uomo vecchio crocifisso con Lui (Cf. Rm 6,6) - Domeniche - 15 marzo - IV domenica di Quaresima 

15 marzo   versione testuale

IV domenica di Quaresima


Cristo guerriero, Arcivescovado, Ravenna (Cristo, croce, serpente).

Il peccato confonde, annebbia la vista, fa perdere l’orientamento. Abituarsi ad esso vuol dire non saper più distinguere la luce dalle tenebre, abitare in una zona grigia in cui tutto appare sfumato e privo di confini, in cui viene meno la relazione con dio e quindi con gli altri e con il mondo. Proprio per questo la Chiesa, cosciente della debolezza e della povertà del suo domandare, intensifica la sua invocazione affinché il suo cammino verso la pasqua ormai vicina non si rallenti, perché le sue ginocchia vacillanti non abbiano a storpiarsi e soprattutto perché possa ricevere da Dio “la ricchezza della grazia” e così, rinnovata nello spirito, sia in grado di corrispondere al suo amore (cf. Colletta alternativa). Essa rivolge la sua supplica al Padre, il quale ha inviato “premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri” per ammonire il suo popolo ed esortarlo a convertirsi (Prima Lettura). Dio, infatti, continua a concedere gratuitamente al suo popolo un tempo di grazia, nonostante il suo peccato, e lo fa chiamando a collaborare al suo piano di salvezza perfino un re pagano, Ciro di Persia, al fine di permettere a tutti di fare ritorno nella terra promessa, di fare ritorno a Lui con tutto il cuore. Anche per la Chiesa Dio ha stabilito un tempo di conversione ed ha aperto i tesori della sua grazia. Anche per essa si sono schiuse le porte della riconciliazione e della pace. Ce lo ricorda l’Apostolo nella seconda lettura: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,4-5). Nessun cammino ascetico e nessun impegno può dunque provocare l’intervento salvifico di Dio poiché Questi è spinto unicamente dalla sua fedeltà e dal suo amore. I fedeli, da parte loro, «assidui nella preghiera e nella carità operosa», sono chiamati ad attingere «ai misteri della redenzione
la pienezza della vita nuova» (Prefazio). Scrivendo agli Efesini l’apostolo Paolo aggiunge che per grazia siamo salvati mediante la fede, e che questo non viene da noi, ma è dono di Dio (cf. Ef 5,8). Questi, come leggiamo nel vangelo, «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. [Egli] non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17).
Quanto detto ci riporta, ancora una volta, a Ravenna, ma questa volta all’interno della splendida Cappella dell’Arcivescovado, dedicata a Sant’Andrea. Si tratta di uno spazio liturgico a pianta cruciforme costruito nel V-VI sec. da Pietro II come oratorio privato dei vescovi cattolici. Siamo in un tempo in cui il culto dominante nella città imperiale era quello ariano. È un’aula interamente rivestita di marmo nella parte inferiore e a mosaico in quella superiore. Il programma decorativo intende glorificare la figura di Cristo, il cui monogramma è presente in tutta la cappella, secondo una teologia dichiaratamente anti-ariana. Colpisce immediatamente la presenza del Salvatore rappresentato come un prode guerriero, con il nimbo crociato e l’arma spirituale della croce tenuta in mano. Mostra il libro aperto sul quale si leggono in latino le parole evangeliche: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Calpesta i simboli del male, secondo le parole del Sal 90,13: «…camminerai e calpesterai il leone e il drago» poiché Egli è il Christus militans et victor. In tal modo, non solo viene presentata la verità della fede ortodossa contro gli ariani che negavano l’identità divina di Gesù e quindi il suo potere salvifico, ma viene altresì proclamata la fede in colui che è in tutto uguale al Padre, “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre…” (Simbolo di fede).
Egli si è fatto uomo “per noi e per la nostra salvezza”. In lui soltanto, nel suo nome, è dato all’uomo di essere salvato. Egli scaccia l’errore e la menzogna, sottomette il peccato che tiene l’uomo prigioniero dell’ignoranza e del male. Il Cristo milite è anche il simbolo e il modello per ogni cristiano che è chiamato a combattere per il Regno di Dio, per la propria salvezza e per la salvezza del mondo intero. Unita a Cristo e associata alla sua vittoria pasquale la Chiesa può accogliere l’esortazione dell’Apostolo: «Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo…Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede…prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio» (Ef 6,11-17).