«Questi è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo»  - Introduzione al Tempo di Pasqua 

Introduzione al Tempo di Pasqua   versione testuale

In questo mese sovrabbondante
abbondò il tuo dono su tutti, senza invidia.
Le gocce del Nisan sono state superate, o Signore,
dai tuoi beni sparsi su ciascuno.
Fino alle spine si chinò
nella tua misericordia il tuo dono.
Se la zizzania è cresciuta,
si è adornata e ha soffocato la bontà con il silenzio,
non negare, Signore, la tua misericordia
a chi ha sete di rendere gloria con un canto.
(Efrem il Siro, Sulla risurrezione V, 1)
 
Il tempo santo dei cinquanta giorni si qualifica come tempo dell’esultanza per la risurrezione del Signore e per le opere meravigliose che l’amore del Padre compie in coloro che sono stati resi figli. In queste settimane la Chiesa non fa altro che contemplare nell’esistenza dei suoi figli il riflesso della Pasqua che decreta la fine della morte, la vittoria della vita e il trionfo della grazia sulla caducità. Non soltanto lo stupore per l’evento passato della risurrezione, ma la lode riconoscente per l’evento attuale della Chiesa, madre feconda di figli che nascono da un così grande mistero.
Nel nostro emisfero il tempo pasquale coincide con l’apice della primavera e i primi segnali dell’estate, con il caldo che riempie le giornate dopo il lungo inverno e il verde, dei prati e i colori dei fiori che abbelliscono l’ambiente. Anche l’impegno scolastico va verso la conclusione con la giusta attesa di chi deve raccogliere il frutto della fatica di tanti mesi. Sembra quasi che l’esplosione di vita nella natura e il desiderio di riposo e di meritato divertimento contraddicano con l’impegno che viene chiesto ai credenti in questo periodo: mantenere viva la tensione che li ha sostenuti nel tempo quaresimale, accompagnare i neofiti nel loro percorso di fede, partecipare ai santi misteri con rinnovato stupore. Effettivamente sarebbe stolto celebrare con enfasi la grande Veglia, raccogliersi commossi attorno alla fiamma del cero e poi disperdere il tesoro di fede accumulato nella Quaresima e nel Triduo pasquale.
Come canta Efrem, il diacono poeta dell’antica chiesa di Nisibi, dovremmo proprio approfittare della sovrabbondanza di questo periodo per cogliere, per similitudine, l’eccedenza di altri doni: la vita, la misericordia, la pace, che scaturiscono dai misteri santi che la Chiesa celebra. La ricchezza di doni che caratterizza il mese ebraico di Nisan, quando «tesse e veste la terra» (Sulla risurrezione IV, 4), è superata dai doni di Dio e dalla misericordia del Signore che avvolge ogni cosa e copre la vita degli uomini.
Non è il tempo della superficialità di chi crede che il male non sia ancora in grado di nuocere e che la zizzania non possa ancora attecchire, ma piuttosto il tempo nei quali il Misericordioso è ancora di più cercato, invocato e celebrato dalla Chiesa, sua sposa. È un dono reale, che sempre sostiene il passo, a volte spedito e a volte incerto, della Chiesa. Un dono che può essere gustato soprattutto quando la Chiesa sa abbandonarsi alla bellezza e alla gratuità dei gesti della liturgia e si lascia dire e dare la misericordia da un’invocazione accorata, dalla fiamma di un lume, da uno scroscio di acqua battesimale. È la precedenza del dono che fonda e legittima ogni impegno per il credente. Infatti, «nella preghiera della Chiesa il riferimento alla misericordia, lungi dall’essere solamente parenetico, è altamente performativo, vale a dire che mentre la invochiamo con fede, ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente  ci trasforma» (Francesco, Misericordia et misera, 5).
La cura per non disperdere la grazia è, così, in primo luogo cura di un gesto gratuito che nel fluire del tempo rende sempre vivo l’incontro con il Risorto.