15 maggio - Pentecoste   versione testuale

«Prenderemo dimora presso di voi»
 
Letture
At 2,1-11 Come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?.
Lo Spirito abilita alla missione perché fa percepire il legame profondo e originario che, a partire da Dio, collega tutti gli uomini, e che può in ogni momento essere vivificato e riattivato.
Sal 104/103 Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature.
Il salmo invita alla contemplazione del creato, visto come segno dell’amore divino che si espande e si diffonde in ogni creatura.
Rm 8,8-17 Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.
Il dono dello Spirito ha una dimensione universale.
Gv 14,15-16.23-26 Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Il dono dello Spirito ha una dimensione intima e personale, che riveste la profondità della persona e la mette in collegamento con tutta la storia e tutto il mondo.
 
In breve 
Vivere il Giubileo della misericordia: la preghiera dei figli
Lo Spirito suscita in noi un grido inesprimibile: Abbà! Paolo non lo traduce: appunto perché è il sentimento profondo della figliolanza che precede ogni lingua, che non si identifica con nessuna espressione linguistica. Celebrare il giubileo della misericordia significa appunto recuperare la dimensione originaria della figliolanza, che ci accomuna ad ogni creatura, ad ogni persona, ad ogni popolo, ad ogni cultura, nel riferimento all’unico Dio, origine di tutti.
 
Prepararsi al Congresso Eucaristico: Cristo si fa incontro ad ogni uomo, accogliendo ogni cultura, valorizzando la bellezza di tutto il creato
Il mondo globalizzato, interdipendente, è divenuto una sorta di nuova Babele, da un lato caotica e dispersiva, dall’altro massificante e oppressiva. Soprattutto la questione ecologica è il campanello d’allarme che segnala che non è più possibile abusare delle risorse materiali ed etiche dell’umanità, senza collegarle alla giustizia. Il Risorto che celebriamo nell’Eucaristia ci conduce alla nuova Gerusalemme: da un lato aperta alla ricchezza di ogni diversità; dall’altro accomunata da un comune riferimento a Dio. Per la potenza dello Spirito pane e vino, frutti della creazione, diventano corpo e sangue di Cristo. Tutto il creato partecipa del cammino verso il compimento.

«Prenderemo dimora presso di voi» 
 
Lo Spirito che rinnova il creato
“Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra”: il ritornello del salmo responsoriale di Pentecoste allarga a dismisura la visuale espressa dalla lettura, di per sé già ampia: nell’esperienza dell’effusione improvvisa dello Spirito sulla primitiva comunità sono coinvolti “Giudei osservanti di ogni nazione sotto il cielo”, e quindi tendenzialmente già tutto il mondo abitato. Ma la risposta nella preghiera va ancora oltre: chiama in causa l’azione dello Spirito su tutta la creazione, su tutta la terra. Siamo invitati a contemplare con animo grato le “opere del Signore”, fatte «tutte con saggezza», in tutta la terra «piena delle creature» di Dio (cf. Sal 104/103). Nell’orizzonte della solennità di Pentecoste non sta solo Gerusalemme, né solo Israele, né soltanto i credenti di Israele di ogni nazione, e neppure soltanto tutti i popoli: celebriamo l’azione dello Spirito che rinnova “la faccia di tutta la terra”.
 
Profezia del mondo presente
L’intuizione universalistica della tradizione liturgica si presenta oggi come particolarmente attuale, addirittura profetica: in un mondo ormai largamente interdipendente non è più possibile contrapporre e separare il destino della comunità umana dal destino della creazione, come lucidamente ha riconosciuto Papa Francesco nell’enciclica Laudato Sii:
 
La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società».[7] L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». (Francesco, Laudato sii, n. 5)
 
La creazione come lingua comune
Nei secoli il rapporto dell’uomo con la creazione è stato un potente fattore di unità e comunione per tutta l’umanità: la lingua comune, persa a Babele, si ritrovava almeno nelle grandi percezioni cosmiche. Giorno e notte, sole e luna, mare, vento, cibo, stagioni… tutti i popoli vivevano le stesse esperienze fondamentali, si confrontavano con le stesse realtà e difficoltà.
Oggi uno degli aspetti della perturbazione nei rapporti tra uomo e uomo e uomo e creato è proprio nell’eliminazione di questo sfondo comune. L’umanità si divide tra chi può riscaldarsi d’inverno e rinfrescarsi d’estate, con i mezzi della tecnologia, e chi non può; tra i popoli e i gruppi che hanno ampio accesso alle risorse (acqua potabile, aria, terreni edificabili) e quelli che ne sono privi. Nelle città e nelle nazioni si creano ambienti artificiali ideali, dotati di ogni confort, a cui corrispondono altrove ambienti degradati, inquinati, adatti solo a una vita stentata.
Lo Spirito della Pentecoste invita tutti a riscoprire la “lingua comune” della creazione, con le sue leggi e il suo equilibrio, che non può essere sfruttato dai pochi a scapito dei molti.
 
La creazione come fattore di diversità
Riascoltare la voce dello Spirito creatore, che annuncia “le grandi opere di Dio” (Atti 2,11) potrà significare anche riscoprire il valore delle differenze. Nei secoli il rapporto dell’umanità con la creazione è stato fonte di una grande varietà e differenziazione dei popoli e delle culture. È di moda il termine “biodiversità”: esso esprime la varietà sorprendente che le creature assumono in relazione al loro ambiente. Leggendo per intero il salmo 103 vediamo come una simile contemplazione possa facilmente diventare preghiera.
Nei nostri tempi l’azione dell’uomo tende ad appiattire e livellare la diversità degli ambienti naturali. dove era una foresta, con migliaia di specie animali e vegetali, si stabilisce una piantagione, una monocultura. Dove era una prateria, sorge la periferia di una città. Dove prima era la differenza, regnano livellamento e appiattimento: anche a livello umano. Sparisce la differenza delle culture, dei popoli, delle loro tradizioni, subentra una sorta di sub-cultura unica, in cui il guadagno e il consumo tendono ad essere i principali fattori di aggregazione e riferimento.
Lo Spirito della Pentecoste invita tutti a riscoprire la fecondità delle differenze, sia tornando a contemplare la varietà del creato, sia tornando a relazionarsi e dialogare con la diversità delle culture, valorizzate soprattutto nei loro aspetti spirituali ed autenticamente umani.
 
Figli e fratelli
Sembra che il discorso sulla creazione ci abbia fatto deviare dal nucleo proprio della Pentecoste: invece ci riporta esattamente al centro. Chi può guardare al Creato con occhi semplici e riconoscenti, con uno sguardo di fanciullo, che scopre la bontà di Dio, creatore e provvidente, può riconoscere facilmente la paternità di Dio, anch’essa dono dello Spirito. La lettera ai Romani, al capitolo 8, mostra come dallo Spirito proceda la preghiera inesprimibile: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15). E se la leggiamo oltre i limiti della pericope liturgica, troviamo il quadro grandioso di “tutta insieme la creazione” che “geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” (Rm 8,22).
Anche il brano evangelico insiste sulla profonda unione tra il discepolo, il Figlio e il Padre, realizzata nello Spirito: “il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui, e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23)”. Non si tratta di un misticismo disincarnato: subito dopo si aggiunge “chi non mi ama, non osserva le mie parole” (Gv 14,24). L’amore si incarna in una esistenza profondamente unificata.
Lo Spirito di comunione non permette separazioni e fratture: se ci si riconosce come Figli di Dio, ci si riconosce fratelli, legati da un destino comune, inseriti nella medesima creazione, incamminati verso la stessa partecipazione alla gloria.