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Vietato il Niqab nei luoghi pubblici   versione testuale
Corte dei diritti umani
Con sentenza dell’11 Luglio scorso (Affaire n. 37798/13 - Belcacemi et Oussar c. Belgique) la Corte europea dei diritti umani ha avallato il divieto introdotto dalla legislazione del Belgio di indossare il Niqab, il velo islamico integrale. Per la Corte, la restrizione risponde ad una garanzia di coesione sociale, di “protezione dei diritti e delle libertà altrui” necessaria “in una società democratica”.
La vicenda prende le mosse dai ricorsi presentati in Belgio da tre donne musulmane, contro la legge del 2011 che ha introdotto il divieto di indossare il Niqab, il velo che copre interamente il volto, fatta eccezione per gli occhi, in tutti i luoghi pubblici.
Sui ricorsi, la Corte Edu ha osservato che, pur correndo il rischio di contribuire al consolidamento di “stereotipi” verso determinate categorie di persone, il divieto mira ad assicurare le condizioni del vivere insieme, come elementi della protezione di diritti e libertà altrui che può considerarsi necessaria per il funzionamento di una società democratica.
Secondo la giurisprudenza della Corte, lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento nell’adempimento degli obblighi derivanti dall’art. 8 CEDU,  motivo per cui il Belgio era libero di reagire nella maniera che riteneva più idonea a garantire le relazioni umane all’interno della propria società e la sopravvivenza della democrazia.
In secondo luogo, la Corte ha analizzato le sanzioni previste in caso di infrazione del divieto; queste ultime sono state ritenute rispettabili del principio di proporzione. Nello specifico la legge prevedeva come sanzioni delle multe e, solo a seguito di una violazione ripetuta della norma, veniva prevista la detenzione in carcere, che quindi non ha applicazione in automatico. La legge belga, difatti, classifica come ibrido il reato: in parte ricadente nel diritto penale e in parte considerato come un illecito amministrativo, prevedendo misure alternative che possono essere messe in pratica anche a livello municipale.
Il giudizio è stato adottato all’unanimità, ma due tra i giudici, Spano e Karakas, hanno espresso un’opinione concorrente, cercando di limitare la portata della sentenza e ricordando che il destinatario della Convenzione EDU è il singolo e la tutela della sua dignità umana, motivo per cui eventuali limitazioni ai diritti tutelati, come nel caso di specie, sono giustificati soltanto alla luce di particolari condizioni oggettive, ugualmente degne di protezione.
In definitiva, la Corte, nell’esame del caso, non ha individuato nessuna violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto per la vita famigliare e privata), dell’articolo 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) e dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).