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Introduzione allo spirito della liturgia

 Joseph Ratzinger

» Leggi l'intervista al Prof. don Paolo Tomatis
"Liturgia tra aggiornamento e tradizione"



» Leggi l'intervista all'arch. Francesca Leto
"Coinvolgimento evocativo o oggettività prescrittiva"
26/03/2013
26/03/2013
26/03/2013
26/03/2013
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26/03/2013
Titolo: “Introduzione allo spirito della liturgia”
Autore: Joseph Ratzinger
Editore: San Paolo (2001)
Numero pagine: 232
Prezzo: 22,00 euro
26/03/2013
Una ripresa del discorso aperto da Romano Guardini con il suo “Lo spirito della liturgia”, che fu momento ispiratore per lo stesso Ratzinger, quando questi cominciò i suoi studi teologici. Ma se l'intento di Guardini era stato di favorire la riscoperta della liturgia nello splendore della sua essenzialità, in un'epoca in cui essa appariva eccessivamente paludata, l'intento di Ratzinger è di renderla alla sua autenticità in un'epoca in cui essa sembra subire troppe e diverse interpretazioni. Come è spiegato nella Premessa: «Si potrebbe dire che la liturgia era allora – nel 1918 - ...simile a un affresco che si era conservato intatto, ma che era quasi coperto da un intonaco successivo... per i credenti essa era ampiamente nascosta da istruzioni e forme di preghiera di carattere privato. Grazie al movimento liturgico e... al Concilio Vaticano II l'affresco fu riportato alla luce... Ma nel frattempo, a causa dei diversi tentativi di restauro o di ricostruzione, nonché per il disturbo arrecato dalla massa dei visitatori... è stato messo gravemente a rischio...». Il volume, la cui prima edizione vide la luce nella festa di sant'Agostino del 1999, è inteso dunque come «un aiuto per la comprensione della fede e per un corretta attuazione della sua forma precipua nella liturgia».
26/03/2013
Joseph Ratzinger (Marktl am Inn, Baviera, 1927), dopo l'ordinazione sacerdotale (1951) ha insegnato teologia nelle università di Bonn, Münster, Tubingen e Regensburg. Partecipò come esperto al Concilio e dal 1969 al 1980 ha preso parte alla Commissione teologica internazionale. Creato arcivescovo di Monaco e cardinale nel 1977, dal 1981 è stato chiamato da Giovanni Paolo II a Roma, quale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (carica che occupava al momento della stesura di “Introduzione allo spirito della liturgia”). Alla morte di quest'ultimo (2005) gli è succeduto sul soglio pontificio col nome di Benedetto XVI. Tra le sue numerosissime opere: “Volk und Haus Gottes in Augusins Lehre von der Kirche” (1954 Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di sant'Agostino), “Die Geschictstheologie des Heiligen Bonaventura” (1959 La teologia della storia di san Bonaventura), “Glaube und Zukunft” (1970 Fede e Futuro), “Dogma und Verkündigung” (1973 Dogma e Annuncio), “Natura e compito della teologia” (1993).
26/03/2013
«La direzione verso oriente si trovava in stretto rapporto con il “segno del Figlio dell'uomo”, con la croce, che annuncia il ritorno del Signore. L'Oriente fu quindi posto molto presto in relazione con il segno della croce. Dove non è possibile rivolgersi insieme verso oriente in maniera esplicita, la croce può servire come l'oriente interiore della fede. Essa dovrebbe trovarsi al centro dell'altare ed essere il punto cui rivolgono lo sguardo tanto il sacerdote che la comunità orante. In tal modo seguiamo l'antica invocazione pronunciata all'inizio dell'eucaristia: “Conversi ad Dominum” - rivolgetevi al Signore. Guardiamo insieme a colui la cui morte ha squarciato il velo del tempio, a colui che sta presso il Padre in nostro favore e ci stringe nelle sue braccia, a colui che fa di noi un nuovo tempio vivente». (pagg. 79-80)
26/03/2013
Se Guardini paragonò la liturgia a un gioco, cioè a un momento che sta al di fuori dell'ordinario scorrere del tempo, occorre qualificare tale paragone per inserirlo nella prospettiva specifica della liberazione. Questa si profila a partire dall'Esodo, proprio perché la terra promessa è quella ove Israele potrà servire Dio, esercitandone il culto nel modo in cui Mosè sul Sinai fu istruito a farlo quando si stabilì l'alleanza: «Israele impara ad adorare Dio nel modo da Lui stesso voluto... L'uomo non può farsi da sé il proprio culto, egli afferra solo il vuoto, se Dio non si mostra». Ora il culto, rettamente inteso, non solo salva l'uomo, ma coinvolge l'intera realtà nella comunione con Dio. In questa si afferma la dipendenza del creato dal Creatore, e la redenzione è ritorno di quello a Questo e comporta pertanto una circuitazione cosmica.
L'indagine svolta dall'Autore segue il racconto biblico, nella prospettiva evangelica. Il tempio, luogo in cui avviene il sacrificio «è solo una copia, e non il vero tempio» ed «è chiaro che il nuovo e definitivo profeta... 'distruggerà' il tempio e di fatto 'cambierà' le leggi date da Mosè». Con Gesù, al posto del tempio di Gerusalemme subentra il tempio universale del Cristo risorto.
 
Su questo si innesta il tema della continua contemporaneità del sacrificio salvifico di Cristo, nel cammino dell'umanità verso il compimento della “Città di Dio”, come questa è descritta da sant'Agostino. In questa prospettiva, passato, presente e futuro si compenetrano e «toccano l'eternità». Ora, nel procedere dall'ombra all'immagine verso la realtà dell'essere, la liturgia esprime la condizione intermedia del trovarsi in cammino, e questo si manifesta attraverso segni, simboli, ma anche luoghi: la comunità cristiana ha bisogno di un luogo in cui riunirsi nell'incontro liturgico. E tale luogo differisce dai templi delle altre religioni, che sono intesi quali spazi riservati alle divinità. Per il cristiano il culto è celebrato da Cristo stesso nella chiesa, che è luogo della comunità.
 
Le sinagoghe, da cui derivano le chiese cristiane, sono disposte secondo una precisa direzione: sono rivolte verso Gerusalemme, là dove nel Tempio sta l'Arca dell'alleanza, di cui la Torà è segno. Prive di caratteri architettonici propri, le sinagoghe sono erette nella forma della basilica: la costruzione tipicamente greca riservata alle riunioni pubbliche.
Nel passaggio dalla sinagoga alla chiesa cristiana si compiono alcune innovazioni: la chiesa non è più rivolta verso Gerusalemme, bensì verso oriente: «Non si tratta di culto solare, ma è il cosmo che parla di Cristo... L'oriente sostituisce come simbolo il tempio... nell'incarnazione la natura umana è diventata veramente il trono di Dio, che è così legato per sempre alla terra e accessibile alla nostra preghiera». Ovviamente l'oriente è inteso quale simbolo di Cristo e così il simbolo di Cristo, la croce, diventa elemento ordinatore della direzionalità della chiesa ove il contesto non consente il vero e proprio “orientamento”.
 
La comunità cristiana radunata nel rito si rivolge verso l'altare, poiché questo rappresenta un «ingresso dell'oriente nella comunità radunata e un'uscita della comunità dal carcere di questo mondo» attraverso il velo squarciato del tempio.
Nel passaggio dalla sinagoga alla chiesa cristiana, il luogo della Torà diviene il luogo dei Vangeli, coperto da un velo per sottolinearne la santità. Allo stesso modo anche l'altare è coperto dal velo dal quale nelle chiese orientali si sviluppa l'iconostasi.
 
Nell'approfondire il tema dello “orientamento”, l'A. discute la generale disposizione della chiesa, evidenziando che la disposizione dell'altare “verso il popolo” generalizzatosi dopo il Concilio Vaticano II, sia in parte frutto di un fraintendimento che deriva da «una nuova idea dell'essenza della liturgia come pasto comunitario». Da un lato, nell'antichità non si solevano celebrare pasti solenni con i commensali raccolti attorno a una mensa, infatti i commensali, spiega Bouyer “...stavano tutti seduti, o distesi, sul lato convesso di una tavola a forma di sigma....”. E inoltre, evidenzia l'A. «Il Signore ha indubbiamente istituito la novità del culto cristiano nell'ambito di un banchetto pasquale ebraico, ma ci ha comandato di ripetere questa novità, non il banchetto come tale».
Quando la chiesa era costruita “orientata”, era la celebrazione a essere “orientata” con il sacerdote e i fedeli che guardavano assieme verso oriente, ovvero verso l'immagine di Cristo. Il fatto che alcune chiese, come San Pietro in Vaticano, avessero l'ingresso (non l'abside) verso oriente, fece sì che il presbitero celebrasse rivolto verso i fedeli (perché questi si trovavano a oriente dell'altare), mentre nel momento della preghiera tutti, fedeli e sacerdote, si rivolgevano assieme verso oriente.
L'usanza postconciliare ha privilegiato invece il senso del “banchetto” fondandosi sull'idea che fedeli e sacerdote dovessero porsi gli uni di fronte all'altro. Così però il sacerdote «diventa il vero e proprio punto di riferimento di tutta la celebrazione» e questo «dà alla comunità l'aspetto di un tutto chiuso in se stesso».
Le nuove usanze postconciliari hanno giustamente avvicinato il popolo all'altare che «spesso era troppo lontano dai fedeli» e hanno stabilito una chiara distinzione tra la liturgia della parola e la liturgia eucaristica. Ma va recuperato il comune orientamento di sacerdote e fedeli nel momento della preghiera.
 
Non estraneo al problema dell'organizzazione del luogo di culto, è quello dell'arte a questo legata, di cui l'A. discute in un capitolo che ripercorre la storia della rappresentazione degli avvenimenti evangelici, ponendo in risalto come dopo il Concilio si sia verificato un «nuovo iconoclasmo», che se da un lato contribuisce ad allontanare molte opere kitsch e indegne, dall'altro lascia un vuoto: «L'arte diventa sperimentazione con mondi che si crea da sé, una vuota “creatività” che non percepisce più lo Spirito Creatore...». Alla domanda “come si andrà avanti” Ratzinger risponde con una serie di considerazioni: 1 La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell'Incarnazione di Dio; 2 L'arte sacra trova i suoi contenuti nelle immagini della storia della salvezza, a cominciare dalla creazione; 3 Le immagini della storia di Dio con gli uomini non mostrano solo una sequenza di eventi passati, ma sono strettamente collegate all'azione liturgica attuale; 4 Le immagini di Cristo e dei santi non sono “fotografie” poiché devono alludere a qualcosa che supera ciò che è materiale e devono anche «insegnare un nuovo modo di vedere che percepisce l'invisibile dentro il visibile»; 5 La Chiesa d'Occidente non deve rinunciare al cammino percorso dal momento in cui nel XIII secolo ha accolto un'arte sacra espressa in forme contemporanee, «deve però far finalmente sue le conclusioni del settimo concilio ecumenico, il Niceno secondo, che ha riconosciuto l'importanza fondamentale e il luogo teologico dell'immagine all'interno della Chiesa».
 
Nel successivo capitolo, dedicato alla musica liturgica, per la quale l'A. sottolinea l'importanza della parola come «modalità più elevata di annuncio», il rapporto con liturgia e con la fede è riproposto come via perché l'arte dei nostri giorni trovi un riferimento che la nobiliti, strappandola dalla banalità del relativismo.
La parte finale del volume è dedicata al rito. «La grandezza della liturgia si fonda proprio sulla sua non arbitrarietà»: pur non essendo forma rigida, essa non è neppure terreno aperto a interpretazioni soggettive.
 
Nella liturgia la partecipazione attiva si esplica attraverso il partecipare del fedele al sacrificio di Cristo: «La vera 'azione' della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso». E il segno della croce, che ne esprime l'essenza, è segno cosmico riconosciuto già prima del cristianesimo, per esempio in Platone, quale immagine della divinità: «La croce del Golgota è prefigurata nella struttura stessa del cosmo». È anche segno di benedizione, gesto che dovrebbe tornare a fare pare della vita quotidiana delle persone per «abbeverarla con l'energia dell'amore che proviene dal Signore».
Nell'esaminare gli atteggiamenti legati alla pratica del culto, l'A. propone tra l'altro una rivalutazione dell'inginocchiarsi, perché l'adorazione non sia intesa in senso solamente “spirituale” senza autentica incarnazione.
 
E nella rivalutazione dei gesti della fede rientra anche un apprezzamento per la pietà popolare, «humus senza cui la liturgia non può prosperare» (pg. 198): essa va amata, se necessario purificata, ma sempre con grande rispetto.
 
Nel percorso seguito dal testo, si ravvisa costante l'obiettivo di rendere la liturgia, e tutto ciò che la concerne, alla realtà oggettiva, aliena da soggettivismi. Gli abiti liturgici sono intesi quale espressione fondamentale di questo: essi devono anzitutto manifestare che il sacerdote «non è qui come persona privata, come questo o come quello, ma al posto di un altro – di Cristo».
26/03/2013
È importante leggere il volume di Ratzinger insieme con quello di Guardini, entrambi dedicati allo “spirito della liturgia”. Tra i due scorre quasi tutto il XX secolo coi suoi molteplici travagli, ma in entrambi si avverte la visione della liturgia come il “luogo” precipuo dell'educazione alla fede. Il testo di Ratzinger, per quanto anch'esso di tipo divulgativo, è più elaborato di quello di Guardini, che forse è più denso di afflato poetico. L'argomentazione di Ratzinger è fondata su continui richiami, in particolare alle tradizioni precristiane e paleocristiane: forse anche per rispondere a una certa cultura diffusasi dopo il Vaticano II, di guardare agli esempi del cristianesimo delle origini per trovarvi ispirazione per rifondare il presente e per stabilire una cesura con abitudini acquisite nel corso della storia. L'intento di Ratzinger è volto a dimostrare una continuità nel succedersi delle epoche, per quel che riguarda gli aspetti essenziali della liturgia. Nello svolgere le sue argomentazioni, l'Autore non tralascia accenti polemici verso quelli che considera aspetti degenerativi che negli ultimi decenni hanno aperto squarci di relativismo nella liturgia, ma anche nel dialogo tra Chiesa e cultura contemporanea. In effetti, continuità e fedeltà non escludono forme celebrative e configurazioni dello spazio per il culto tali da valorizzare il rito e rendere la partecipazione dell’assemblea più consapevole e fruttuosa. L’A., mentre mette in guardia da soggettivismi indebiti, trasmette con le sue riflessioni l’amore per la liturgia come azione di Dio e anche azione della Chiesa, chiamata a vivere in modo sempre più cosciente e coinvolgente il mistero che si celebra.
 
 
 
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