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 Home page - Un libro al mese - COINVOLGIMENTO EVOCATIVO O OGGETTIVITÀ PRESCRITTIVA 

Coinvolgimento evocativo o oggettività prescrittiva

Intervista all'arch. Francesca Leto*
a proposito dei libri “Lo spirito della liturgia – I santi segni” (1918-22) di Romano Guardini 
e “Introduzione allo spirito della liturgia” (2001) di Joseph Ratzinger.
 
* Dopo la laurea in architettura, nel 2012 si licenzia in Teologia con specializzazione in liturgia pastorale, presso l'Istituto S. Giustina a Padova. La sua attività principale è rivolta alla progettazione dello spazio sacro e agli adeguamenti liturgici. Ha vinto il concorso Progetti Pilota CEI, VI edizione, per il complesso parrocchiale di S. Ignazio da Laconi ad Olbia. In qualità di consulente per la liturgia è stata chiamata a collaborare con gruppi partecipanti a diversi concorsi, tra i quali quello per il complesso parrocchiale di S. Maria del Carmine a Castellammare di Stabia (terzo posto) e a quello per il complesso parrocchiale di Varignano, Viareggio (con Gliarchitettiassociati), cui è stata attribuita una speciale menzione per l'impianto liturgico.
Scrive articoli per riviste e miscellanee.
 

Gli argomenti trattati nella rubrica “Un libro al mese” sono ridiscussi in interviste con diversi esperti. Ne nasce un colloquio volto ad approfondire gli argomenti esposti nei volumi. Le opinioni presentate sono qualificate ma personali, non necessariamente condivise da chi promuove la rubrica.
Una struttura simile ma un orientamento diverso: alla visione evocativa e coinvolgente di Guardini, che all'inizio del XX secolo prefigura un rinnovamento liturgico atto a coinvolgere le persone e immagina i luoghi come eloquenti quanto partecipi, Ratzinger contrappone una visione fondata sul recupero della tradizione storica al fine di incidere sulle incertezze emerse dopo il Concilio.
14/10/2016

Ho sempre sul tavolo il volume di Guardini e lo consulto spesso. Quello di Ratzinger invece sta in libreria: lo consculto con minor frequenza. Per quanto abbiano simiglianze nella struttura, sono diversi. Lo scritto di Guardini ha un'intensa capacità poetica ed evocativa. Permette di gettare uno sguardo sempre nuovo sul progetto dello spazio per il culto. Invita a scoprire sempre qualcos'altro sulla liturgia. Il suo approccio è di tipo fenomenologico e legato all'esperienza personale: racconta quel che l'Autore ha vissuto e ha la capacità di introdurre anche chi legge nello stesso campo esperienziale.
Anche il testo di Ratzinger ha un valore divulgativo, ma questo inevitabilmente segue uno stile più incentrato sull'analisi storica e critica.




 
14/10/2016

Penso per esempio a quanto scrive Guardini in I santi segni sui gradini: “Li hai saliti infinite volte. Ma hai penetrato quello che, in quel mentre, avveniva in te?... Quando saliamo i gradini, non sale soltanto il piede, bensì anche tutto l'essere nostro. Anche spiritualmente noi saliamo...”. Quando ho coordinato il progetto per la chiesa di Olbia, che è risultato vincitore del concorso Progetti Pilota del 2011, ho immaginato subito l'altare ben elvato su tre gradini: individuato nella sua singolarità così che appaia unico e quasi staccato dal suolo. È vero che anche la Nota pastorale sulle nuova chiese del 1993 chiede che l'altare sia ben visibile da tutti. Ma non basta questa indicazione: tant'è che in molte chiese dei nostri giorni ci si trova di fronte al cosiddetto “presbiterio plenario”: specie di palcoscenico, ben visibile ed elevato, in cui peraltro si assommano diversi poli liturgici così che la loro individuazione resta problematica. Il testo di Guardini è una fonte ricca di suggestione e rende non in modo prescrittivo il senso dell'importanza e dell'unicità del luogo nel suo intimo rapporto con l'azione liturgica e con le persone. Ed è proprio questo quel che ho inteso trasfondere nel progetto per Olbia.
Un altro passo che sento emotivamente molto vicino è quello sul portale: il luogo che segna un passaggio fondante e implica un cambiamento del modo di porsi nello spazio. Altro l'ambiente esterno, altro quello interno alla chiesa, che comporta un atteggiamento diverso a quello della quotidianità.
In un suo scritto del '29 sulla basilica di Monreale, Guardini parla dell'esperienza di quello spazio liturgico durante una celebrazione. Riferendosi all'architettura nel momento della processione introitale, racconta: “Le sue forme si mossero. Entrando in relazione con le persone che avanzavano con solennità, nello sfiorarsi delle vesti e dei colori alle pareti e nelle arcate, gli spazi si misero in movimento... vennero incontro alle orecchie tese in ascolto e agli occhi in contemplazione ...”. Perché la liturgia non è solo la parola detta o una serie di gesti, ma è tutto l'insieme dell'ambiente e della sua relazione con quanto vi avviene. Guardini, nel terzo capitolo di Lo spirito della liturgia parla dello “stile” della liturgia. Ritiene che questa si estrinsechi nella capacità di esperire l'essenzialità, per cui metaforicamente la paragona alla schiettezza delle forme del tempio greco di Segesta, che nella sua spoglia semplicità appare più vero e vigoroso della gotica cattedrale di Colonia. Perché l'incontro con ciò che è essenziale riconduce all'univesalità che è propria del linguaggio liturgico, il cui valore è intrisecamente comunitario. Laddove invece la ricchezza di ornamenti esprime la ricerca dell'individualità, che è tipica dell'uomo moderno.

 
14/10/2016

E anche in questo si realizza l'incontro e il fruttuoso dialogo tra Guardini e l'architetto Rudolf Schwarz, che era amico di Mies van der Rohe e legato al Bauhaus. Fu Schwarz che convinse Guardini a elaborare quello spazio silente quanto solenne della Sala dei Cavalieri del castello di Rothenfels. A volte, secondo un'interpretazione assolutamente superficiale, il loro lavoro è inteso solo in modo funzionle. C'è invece nel loro dialogo una ricerca acccurata e un'opera di indagine profonda. È questa che dà luogo a spazi semplici ma allo stesso tempo intensamente evocativi: quel che Le Corbusier chiamò “lo spazio indicibile”. Qualcosa che non ha nulla a che vedere con la superficialità che è tipica dell'approccio piattamente funzionalista, purtroppo assai diffuso nell'architettura moderna.
 
14/10/2016

Il discorso qui diviene assai complesso e delicato. Guardini ha un peculiare modo di sviluppare il concetto di simbolo che possiamo evincere anche dallo sviluppo de I santi segni. Lo scopo dello scritto di Ratzinger è di dare indicazioni chiare, storicamente fondate, oggettive, mentre svolge una grabata polemica rivolta ad alcuni atteggiamenti emersi dopo il Concilio: per questo si diffonde su tematiche quali quelle dell'orientamento dello spazio, dell'atteggiamento dell'orante (in piedi, in ginocchio, a mani giute, a mani protese e aperte...). E ricorre a molteplici esempi storici a sostegno delle sue tesi. Ma questa ricerca di una nuova oggettività, per esempio su un argomento complesso come quello dell'orientamento, diviene assai problematica. Un esempio: quando svolgo una lezione soglio chiedere dove stanno i punti cadinali, e quasi nessuno mai lo sa. Perché nella città contemporanea l'importanza dell'orientamento è svanita. E, d'altro canto, nel corso della celebrazione sono abituata a orientarmi verso l'altare (a prescindere alla direzione verso la quale questo si trovi), non verso il presbitero che presiede, anche se sta accanto a questo. Non trovo che se il presidente è rivolto verso il popolo usurpi la centralità dell'altare, come sostiene Ratzinger. Questo può avvenire solo nelle chiese mal concepite, dove lo spazio non è focalizzato sull'altare, sul cielo e sull'oltre. Nella sua elaborazione, Ratzinger tiene distinte l'interiorità della persona e l'esteriorità del gesto, l'azione è secondaria, è subordinata all'oratio, al culto spirituale del soggetto.
Per Guardini invece non v'è distinzione tra atteggiamento esteriore e interiore: la persona, il pensiero, il sentimento, l'intenzione e i suoi gesti sono intesi come uniti e indivisibili. E lo stesso vale per lo spazio, che è inteso come parte attiva dell'azione liturgica.
Al proposito  penso all'importanza dell'ambone e della sua collocazione. Guardini non ne parla: all'epoca si usava leggere dall'altare. Ma oggi la processione che svolge il diacono, tenendo ben alto l'evangelario prima di posarlo sul leggio dell'ambone e baciarlo, è di fondamntale importanza perché il popolo possa partecipare pienamente alla proclamazione. Il profumo di incenso e la luce delle candele fan sì che la partecipazione sia completa: è un fatto fisico e insieme intellettivo. Ma perché possa avvenire quest'azione dal significato così intenso, altare e ambone devono essere ben distanziati. Cosa che si trova rarissimamente nelle chiese contemporanee. E se al posto dell'ambone che sta a cerniera tra presbiterio e assemblea, c'è solo un leggio accanto all'atare, che processione può mai aver luogo?
 
14/10/2016

Certo. Lo spazio liturgico richiede una gradualità di soglie e di pecorsi. La successione di sagrato, portale, nartece, navata, altare, abside è scandita da una serie di soglie che danno valore ai passi. Anche i luoghi pubblici o quelli privati dovrebbero avere la capacità di evocare una simile gradualità, che è quanto dà significato all'avvicinarsi, all'arrivare, al sostare. Come scrive Christian Norberg Schultz: il luogo è tale se permette l'incontro. E l'azione dell'approssimarsi e dell'arrivare è quanto prepara all'incontro.
 
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