Alla Corte dei Conti
Sezione centrale di controllo
sulla gestione delle amministrazioni dello Stato
Oggetto: intervento della Conferenza episcopale italiana circa la Relazione concernente la Destinazione e gestione dell8 per mille: le misure consequenziali finalizzate alla rimozione delle disfunzioni rilevate
Nei giorni scorsi è stata trasmessa al Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa della Conferenza episcopale italiana la Relazione in oggetto, nella quale si rileva fra laltro che alcune criticità segnalate nella relazione Destinazione e gestione dell8 per mille dellIrpef, approvata con la delibera n. 16/2014/G del 23 ottobre 2014 e pubblicata il 19 novembre dello stesso anno, non hanno avuto una soddisfacente soluzione. Da tale rilievo si deduce la necessità di un ulteriore approfondimento e di una presa di posizione da parte delle amministrazioni interessate su alcuni punti del sistema ovvero su alcuni profili della sua gestione, che risultano puntualmente indicati nellarticolata relazione della Corte di Conti.
Questo invito a un ulteriore approfondimento fa apparire opportuno un breve intervento da parte della Conferenza episcopale italiana. Lintento è quello di contribuire, sia pure nellambito di un procedimento che vede come destinatari le amministrazioni pubbliche soggette al controllo del giudice contabile, alla valutazione di un sistema che assume importanza centrale nellassetto dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia.
In tale assetto, fondato come è noto su precise garanzie di rango costituzionale e pattizio, lutilizzazione delle somme dell8 per mille attribuite in base alla libera determinazione dei cittadini è disciplinata in particolare dalla legge n. 222 del 1985. Questa legge di derivazione bilaterale prevede una triplice finalità: sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale e di paesi del terzo mondo, esigenze di culto.
La Chiesa italiana - sia a livello nazionale, sia a livello diocesano - ha utilizzato le somme destinate dai contribuenti in senso conforme alla previsione legale e ha predisposto adeguate forme di rendicontazione e di pubblicità.
Limpostazione adottata e la prassi seguita fino ad oggi non hanno suscitato critiche, salvo alcuni interventi isolati o comunque minoritari. Si puņ anzi rilevare un sostanziale e largo consenso, sia da parte delle istituzioni statali, nelle diverse sedi e ai diversi livelli di competenza, sia da parte dellopinione pubblica, che in larghissima maggioranza esercita a favore della Chiesa cattolica la libertà di scelta prevista dalla legge 222 cit.
Levoluzione del sistema maturata nel corso degli anni ne ha confermato la solidità dellimpianto e lattualità delle ragioni ispiratrici, fondate su valori di libera partecipazione democratica e di garanzia della libertà religiosa che hanno rappresentato e tuttora rappresentano un modello di riferimento anche per altri paesi europei.
Naturalmente ciņ non esclude la possibilità e persino lopportunità, da parte degli organi competenti e secondo le procedure specifiche che devono essere rispettate in questa materia, di attivare forme di verifica volte a individuare particolari aspetti che possano essere migliorati.
In questa prospettiva, i rilievi critici presenti nella Relazione in oggetto richiedono unattenta e approfondita valutazione: alcuni segnalano criticità rispetto alle quali si avverte lesigenza di un approfondimento; altri invece appaiono più problematici, fino a suscitare, in talune formulazioni, perplessità e riserve che puņ essere utile rappresentare.
Rientrano nella prima categoria anzitutto i rilievi relativi allesigenza di un adeguato sistema di pubblicità (intesa come conoscibilità) e di trasparenza del sistema. Sotto questo profilo, limpostazione seguita dalla Chiesa italiana prevede e garantisce accurati meccanismi di controllo e di verifica della concreta utilizzazione delle somme. In particolare, la CEI trasmette al Ministero dellinterno un rendiconto annuale che certifica le destinazioni e luso delle somme pervenute nel precedente esercizio finanziario. La CEI pubblica tale rendiconto sul proprio Notiziario ufficiale, e provvede a diffondere adeguata informazione sugli scopi ai quali ha destinato le somme del finanziamento pubblico. La CEI ha inoltre ritenuto opportuno chiedere alle Diocesi di rendere pubblici tramite strumenti di comunicazione ii rendiconti di erogazione dei fondi ricevuti.
La necessità di assicurare sempre meglio la conoscibilità dei dati e la trasparenza del sistema deve essere armonizzata con lesigenza, pure rilevata, di contenere le spese investite in pubblicità. Non si puņ ignorare, peraltro, che proprio tali spese concorrono in misura significativa a realizzare unadeguata informazione dei cittadini e quindi a garantire leffettivo esercizio della libertà di scelta.
Una specifica riflessione deve essere riservata al tema delle conseguenze derivanti dalla perdurante mancanza di una legge sulla libertà religiosa. Si avverte lesigenza che la riflessione sui disegni di legge in materia, da tempo al centro del dibattito dottrinale e parlamentare, possa svilupparsi secondo una prospettiva coerente con i principi fondanti del disegno costituzionale di disciplina del fenomeno religioso e al tempo stesso avvertita dei mutamenti sociali, culturali e religiosi da tempo in atto nel nostro Paese.
Fra i rilievi che suscitano invece fondate riserve si devono richiamare, in particolare, quelli che riguardano lammontare complessivo delle risorse attribuite dai cittadini a favore delle confessioni religiose, e soprattutto della Chiesa cattolica, e quelli relativi al meccanismo di riparto dei fondi derivanti dalle scelte non espresse.
Le affermazioni contenute nella Relazione circa lentità del finanziamento - che non solo evocano lattivazione da parte statale delle procedure di revisione del sistema ma si spingono fino a ritenere in parte venute meno le ragioni che giustificano tale sistema - presentano profili problematici e in talune risultano esorbitanti.
Non si puņ ignorare infatti che con il nuovo sistema è stata attribuita ai cittadini la facoltà di decidere quale debba essere la destinazione di una quota del bilancio dello Stato misurata su una parte del gettito Irpef. Un caso di democrazia nellindirizzo della spesa pubblica, nellambito di finalità predefinite, che coinvolge anche il cittadino non praticante o addirittura non credente, il quale apprezza l‘opera della Chiesa in Italia e intende che la collettività nazionale la riconosca e la sostenga, assegnandole una quota, seppur modesta, del gettito fiscale.
In uno Stato democratico-sociale come il nostro, lapporto alle confessioni religiose delle risorse pubbliche è fondato sullapprezzamento della rilevanza sociale, culturale ed etica della presenza e dell‘azione della Chiesa e sul compito, che la Costituzione italiana assegna alla Repubblica, di rimuovere gli ostacoli e di promuovere le condizioni per il pieno esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini, tra le quali vi è indubbiamente la libertà religiosa (cf. artt. 3, 7, 8, 19, 20 Cost.).
Rispetto a tale impostazione, occorre evitare il rischio di una visione parziale, che non solo ignora o trascura i benefici per la collettività che derivano dallimpiego dell8 per mille da parte delle confessioni religiose, ma finisce per mettere in discussione i capisaldi del sistema, prospettando opzioni di politica del diritto discutibili nel merito e comunque estranee al perimetro dellindagine amministrativa contabile.
La disciplina bilaterale riserva a specifici organi e procedure - e in particolare alla Commissione paritetica istituita a norma dellart. 49 della legge n. 222 del 1985 - il compito di procedere, con cadenza triennale, alla valutazione del gettito della quota dell8 per mille Irpef, al fine di predisporre eventuali modifiche. Risulta significativo che fino ad oggi i lavori della Commissione si siano sempre conclusi, in sede di Relazione finale, con un giudizio di sostanziale condiviso apprezzamento circa la funzionalità del sistema, maturato allesito di un esame rigoroso e dettagliato.
Quanto poi al meccanismo delle cosiddette scelte non espresse, si deve osservare che la mancata espressione della propria scelta non equivale - e non puņ essere assimilata in via interpretativa - al rifiuto del sistema o alla volontà di non parteciparvi.
La scelta del legislatore è stata quella di ripartire una quota dellIrpef generale sul modello delle votazioni politiche, momento esemplare di partecipazione democratica, dove il numero dei votanti non determina il numero dei seggi da assegnare, che sono infatti assegnati tutti, anche se non tutti gli elettori si recano alle urne.
Questa scelta rimane ancora oggi pienamente attuale, in quanto ispirata a ragioni di principio che non possono essere ignorate per esigenze economiche contingenti, esigenze che sembrano rappresentare la motivazione prevalente, se non esclusiva, di alcune ipotesi alternative emerse nel dibattito.