Non cè dubbio, il vero vincitore della 66esima edizione del Festival della Canzone Italiana, è stato lui.
Era arrivato da perfetto sconosciuto - se non a un ristretto manipoli daddetti ai lavori - nonostante avesse alle spalle un curriculum straordinario fatto di colonne sonore importanti e di collaborazioni prestigiose con le orchestre di mezzo mondo.
Era arrivato per promuovere quello che di fatto è il suo primo vero album, questo suadente The 12th room, un album per solo pianoforte, di straordinaria semplicità e profondità. Ma ha fatto molto di più: ha dimostrato nel tempio della banalità che è possibile trasformare gli opportunismi della tivù del dolore nello splendore del dolore trasceso in tivù, dando alla locuzione diversamente abile un senso di verità assoluto e lontano anni luce dalle ipocrisie del politically correct.
Sentimenti che vibrano anche tra i quindici tasselli di questo doppio cd, capace darrivare al cuore anche di chi non è avvezzo alle raffinatezze e ai minimalismi della musica classica. Non so come il maestro Bosso - che prima di passare alla classica era il bassista degli Statuto - stia vivendo queste ore in cui da Carneade di lusso sè giocoforza trasformato in popstar. Gli è bastato un quarto dora per realizzare questo piccolo miracolo, ma cè voluta una vita intera e carrettate di sofferenze per costruirlo e renderlo reale. Anche per questo suppongo che ne stia godendo con la stessa mirabile semplicità e sense of humour con cui ha saputo commuovere la platea più complicata ed insidiosa dItalia. Sono infinitamente contento per lui, ma anche per noi tutti: perché ci sono regali capaci di rendere migliori anche chi li riceve.
(Franz Coriasco)