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Adulti «immigrati digitali» che nel web faticano ad alfabetizzarsi. Sono i genitori e i docenti dei bambini che navigano nelle tecnologie da veri «nativi digitali». Un ‘gap‘ che depotenzia leducazione alluso del web: a scuola si insegna la videoscrittura, il disegno e la ricerca sui siti culturali, ma i ragazzi imparano da soli - a loro rischio e pericolo - a navigare, chattare, giocare, scaricare, comunicare sui social network come Facebook. È quanto emerge dalla campagna di diffusione dellinformazione sui sistemi di tutela della navigazione dei minori, condotta dallassociazione Centro Elis, col sostegno dalla FeoFivol, su 50 scuole primarie di Roma che ha coinvolto mille genitori: distribuendo 2 mila guide per navigare senza pericoli e 2 mila fumetti ‘Internet sicuro‘ di Disney e Microsoft, pubblicizzando il sito www.ilfiltro.it. Un progetto che dovrebbe essere ripetuto il prossimo anno, grazie allinteresse del Campidoglio. Tutte le primarie coinvolte hanno dunque unora di informatica settimanale in unaula dedicata. Positivo che nel 76% dei casi i pc siano a semicerchio e non in file, che impedirebbero al docente di vedere cosa si guarda. Negativo che il 96% dei pc non abbia un sistema di protezione della navigazione, che il 36% non abbia Internet, che il 24% dei bambini abbia visto porno sul computer di casa. «Internet è diventato indispensabile - dice Michele Crudele, direttore del Centro Elis - e controllare non vuol dire proibire. Nonostante i pericoli, è necessario insegnare ai bambini ad affrontarli, come quando si attraversa la strada. Tenerli isolati dai microbi non fa sviluppare gli anticorpi e rischia di fare molto danno al primo impatto». Allora bisogna educare già i bambini, perché nelladolescenza può essere troppo tardi; limitare la navigazione a siti selezionati, come in una biblioteca per ragazzi; dotare ogni scuola di un tecnico in grado di gestire connessioni sicure. La deputata Paola Binetti ricorda che tra i rischi non cè solo pornografia e adescamenti: «Devono imparare a distinguere laffidabilità delle informazioni. E a guardarsi dallambiguità intrinseca dei social network: su Facebook cè un profilo ‘Paola Binetti‘ che non è mio ma non posso cancellare, perché a chi li crea non si chiede lidentità». |
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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 05-MAG-09
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