"In che modo e‘ possibile avere in Rete una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o peggio indecifrabili?". A porsi questa domanda e il direttore dellUfficio Nazionale delle Comunicazioni Sociali e portavoce della Cei, don Domenico Pompili, che ha aperto oggi a Roma il convegno nazionale "Chiesa in rete 2.0" promosso insieme al Servizio Informatico della Chiesa Italiana. "Non vi e dubbio - rileva Pompili - che e cresciuto il rapporto con la Rete, ma la domanda resta: come dobbiamo essere noi stessi, fino in fondo, senza per questo assumere uno stile linguistico desueto, quando non tautologico, cioe ripetitivo?". Per don Pompili, i responsabili dei siti internet delle diocesi e delle altre realta cattoliche debbono chiedersi anche se "e giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E, daltra parte, in che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi?". "Non vi e dubbio - sottolinea - che ci siano in giro difensori entusiasti del virtuale che tendono a minimizzare il suo impatto, cosi come vi sono ostinati detrattori del virtuale che vorrebbero descriverlo necessariamente come antitesi allumano". Un altro interrogativo riguarda il "nuovo individualismo che cresce": "In che modo questo individualismo interconnesso ridisegna il territorio umano e, dunque, la dinamica relazionale?". Ma la questione centrale "e quella che si muove tra identita e linguaggi". In questi anni, ricorda il sacerdote, "non sono mancati pertinenti pronunciamenti da parte del Magistero. Ultimo in ordine di tempo, lannunciato messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia) che lascia chiaramente immaginare - e in modo dichiaratamente pro-positivo - che in questo ambito si gioca una partita importante dellumano". (AGI)