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Il web 2.0, ossia la seconda fase di Internet, è oggi insieme causa e soluzione dell«information overload», una sorta di babele informativa che investe la personautente e la sommerge. Basta cliccare su uno dei più comuni motori di ricerca per essere inondati da una mole di informazioni tale da dover ricorrere ad altri strumenti messi a disposizione dalla Rete per districarsi nella giungla telematica. Alcuni esperti di new media, entusiasti della prima ora, oggi sembrano aver «resettato» opinioni e concetti espressi allepoca della diffusione popolare di Internet. Negli Usa soprattutto, ma anche in Europa, studiosi come Andrew Keen sono stati etichettati come esponenti del «net criticism», una corrente di pensiero secondo la quale qualcosa «è cominciato ad andare storto nella rivoluzione digitale». Affermazione questultima di Jaron Lanier, autore del libro «You are not a gadget» che in Italia è approdato meno di un mese fa in libreria con il titolo «Tu non sei un gadget» (Mondadori). Lanier spiega che «il World Wide Web è stato inondato da una fiumana di tecnologie di pessimo livello talvolta etichettate come Web 2.0. Questa ideologia promuove una libertà radicale, ma paradossalmente si tratta di una libertà riservata più alle macchine che alle persone. Eppure se ne sente parlare come di «cultura open». Commenti anonimi sui blog, video vacui che cercano di essere spiritosi e «mash-up» dilettanteschi: cose che possono sembrare solo banali e inoffensive, ma che nel loro insieme, in quanto pratica diffusa di comunicazione frammentaria e impersonale, hanno depauperato linterazione fra le persone». Una sottolineatura che mette in evidenza la caratteristica dellambiente mediatico di essere un vero e proprio campo di battaglia dove è possibile, soprattutto dopo la crisi economica, conquistare consumatori, fare propaganda politica, promuovere progetti. Nel web, insomma, si è immersi in un mercato dove ognuno cerca di espandere il proprio spazio, o per dirla con un termine caro a Internet, il proprio «dominio» in nome di una libertà che, forse, a sentire questa nuova corrente di pensiero critico, non è come la si immaginava allepoca del web 1.0, cioè circa venti anni fa. E se per gli utilizzatori di quelli che un tempo si chiamavano «Home computer» il passaggio ai «Personal computer» e alla connessione «on line» ha fatto credere di essere più liberi e capaci di oltrepassare confini (seppur virtuali), per i guru della fase 2 di Internet «trascorrere il tempo con i media è luso principale a cui abbiamo destinato la nostra libertà». Parole, queste, del sociologo Todd Gitlin. La verità, spiegano i critici della Rete, è che la persona umana è assediata dallinnovazione tecnologica. Da qui lamara constatazione dopo ore e ore di navigazione: non tutti hanno le risorse economiche, tecnologiche e le competenze per farsi strada in questo rinnovato ambiente virtuale. E comunque, la grandissima maggioranza di quelli che hanno accesso al web restano presenze del tutto marginali, quasi insignificanti, come ha detto un altro esponente del «net criticism», lolandese Geert Lovink nel suo libro «Zero Comments»: «Sei in rete, ma è come non ci fossi perché nessuno si accorge di te e non hai la forza per importi, per farti vedere». Per molte persone la tecnologia rende più ricca e più democratica la cultura, ma non è detto che sia esattamente lopposto. Se da una parte, per frenare londata del «net criticism», gli aspetti positivi della Rete non mancano, dallaltra parte questa corrente di esperti è un campanello che richiama al discernimento: ci mette in guardia da un mondo virtuale che può condurre a varie conseguenze, ma soprattutto a una: il rischio dellindifferenza nei confronti del vero. |
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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 25-NOV-10
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