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Quasi nelle stesse ore in cui i pastori sardi occupavano laeroporto di Olbia per protestare contro la Regione che non tutelerebbe i loro interessi, una piccola folla si raccoglieva in California davanti agli uffici di Google, il bulimico pantagruele di internet, per dimostrare contro laccordo che lazienda di Mountain View ha appena stilato con Verizon Wireless, uno dei massimi operatori di telecomunicazioni degli Usa, accordo che ridefinisce i termini della cosiddetta neutralità della rete e che secondo alcuni preluderebbe alla fine della trasparenza di internet. Fin dalla sua comparsa la rete è stata, in linea di principio e di fatto, fedele alla consegna dellassoluta parità di accesso e di trattamento di tutti gli utenti e di tutti i contenuti. Ma i progressi tecnologici e laumento dei profitti connessi alle proprie attività sembrano aver persuaso Google a rivedere la linea di condotta, finora basata sul principio codificato in unespressione divenuta celebre - dont be evil cioè «non fare del male» - che tra laltro imponeva di non sfruttare a fini commerciale i dati personali che gli utenti consegnano alla rete. Senza entrare in particolari tecnici, è utile fare alcune osservazioni sulla fine prossima ventura della età dellinnocenza. In primo luogo questa deriva non riguarda solo la rete, ma coinvolge anche la televisione: a parte lo spesso discusso canone Rai, le prime reti tv commerciali avevano basato la loro politica sulla gratuità dellaccesso, poiché gli introiti derivavano dalla pubblicità. Negli ultimi tempi, tuttavia, accanto ai canali generalisti gratuiti sono comparsi canali specializzati a pagamento, dedicati a sport, film, cultura e altro. Ciò da una parte discrimina tra coloro che possono e quanti non possono pagare la tassa, dallaltra introduce una differenza qualitativa tra i canali tassati e quelli generalisti, che sono sempre più infestati dalle interruzioni pubblicitarie e dalla banalità - se non volgarità - dei contenuti. Una simile discriminazione quanto a utenti e contenuti si profila anche per internet: chi vorrà accedere a materiali di alto livello e vorrà fruire dei progressi tecnici (leggi alta velocità) dovrà rassegnarsi a pagare. Addio gratuità, democrazia, trasparenza, neutralità... Non per nulla si dice che viviamo nellera dellinformazione: al di là del fatto scontato che oggi linformazione è alla base della nostra società, il fenomeno più rilevante è che linformazione sta acquistando un valore economico via via maggiore. È difficile per unazienda come Google - che nel 2009 soprattutto grazie alla pubblicità online ha fatturato oltre 23 miliardi di dollari - resistere alla tentazione di incrementare i profitti, tanto più che si sta profilando allorizzonte la temibile concorrenza di Facebook la cui struttura consente di inviare messaggi mirati a mezzo miliardo di persone (tanti sono oggi gli utenti del social network più popolare). Unaltra considerazione, più generale, riguarda i diritti dautore e i profitti derivanti dalle opere dellingegno e artistiche: negli ultimi anni la possibilità si scaricare gratis - e impunemente - dalla rete musica, film e quantaltro ha messo in crisi la fiorente industria dei cd e dei dvd. Sotto il profilo giuridico, è entrato in crisi il concetto di copyright , che sta cedendo al copyleft, cioè in sostanza al mancato introito dei diritti. Si ha un bel dire che la rete è nata trasparente e che tale deve rimanere: che ne dicono gli autori, gli editori, tutto il mondo che ruota intorno alla produzione delle opere artistiche? Insomma, la vicenda Google-Verizon ci offre la conferma che è cominciata una grande rivoluzione sul concetto di informazione e sulle sue incarnazioni: una rivoluzione che coinvolge laspetto economico e finanziario di internet, e che rischia seriamente di rendere anche sul web i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. |
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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 16-AGO-10
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