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 Home GMCS2017 - Per agire - La ragazza senza nome 
La ragazza senza nome   versione testuale

«La “compassione” è una caratteristica essenziale della misericordia di Dio. Dio ha compassione di noi. Cosa vuol dire? Patisce con noi, le nostre sofferenze Lui le sente. Compassione significa “compartire con”. Il verbo indica che le viscere si muovono e fremono alla vista del male dell’uomo. E nei gesti e nelle azioni del buon samaritano riconosciamo l’agire misericordioso di Dio in tutta la storia della salvezza» (Francesco, Udienza, 27 aprile 2016). È la riflessione di papa Francesco a partire dalla figura del buon samaritano, che non si volta dall’altro lato ma si ferma accanto al bisognoso e gli presta soccorso. Un richiamo ad essere prossimi all’altro, a tendere la mano a chi è in difficoltà. Di questo tratta il film “La ragazza senza nome” (“La fille inconnue”, 2016) di Jean-Pierre e Luc Dardenne, 15. proposta cinematografica per il ciclo sulla “buona notizia” curato dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e dalla Commissione Nazionale Valutazione Film CEI.
 
Il coraggio di Jenny, in difesa della memoria e del prossimo
In concorso al 69. Festival di Cannes, “La ragazza senza nome” (“La fille inconnue”, 2016) dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, già vincitori di due Palme d’oro a Cannes con “Rosetta” (1999) e “L'enfant” (2005), è un ulteriore viaggio nelle periferie d’Europa, raccontando le storie degli ultimi e dei più disgraziati. Qui la protagonista è nuovamente una donna – da ricordare Rosetta nell’omonimo film, Lorna in “Il matrimonio di Lorna” e Sandra in “Due giorni, una notte” –, Jenny (Adèle Haenel) un medico trentenne che lavora per il servizio sanitario pubblico. Una sera Jenny non risponde a una richiesta di aiuto oltre l’orario di visite e il giorno dopo viene a sapere della morte sospetta di una persona nei pressi dell’ambulatorio. Tale fatto scuoterà profondamente la ragazza, che si spingerà così a risalire all’identità della vittima e scoprire una piaga ben più profonda.
I due registi belgi offrono un nuovo affresco sociale inquadrando in particolare la società europea che vive ai margini, dove si raccolgono storie sofferte di poveri e migranti. Attraverso la protagonista Jenny i Dardenne guidano lo spettatore nelle pieghe buie della società contemporanea, mettendolo dinanzi a realtà di privazione e isolamento. Jenny cerca di rompere questo silenzio, di frantumare la barriera di separazione tra ceti sociali benestanti e chi vive di stenti; un dedicarsi alla verità, agli altri, che conduce Jenny ai limite delle proprie forze e resistenze.
Seppure il film sia stato accolto in maniera più tiepida rispetto ai precedenti, richiedendo anche uno sforzo ai due registi di rimettere mano al montaggio dopo il passaggio a Cannes prima dell’uscita in sala, i Dardenne si confermano dei poeti sociali: il modo in cui dirigono la macchina da presa è duro e insieme poetico, dando volto e parola alle vite fragili che spesso non guadagnano la soglia della nostra attenzione. Inseguono la via del realismo, ma sanno dipingere anche l’orizzonte degli eventi con tinte di colore, di speranza: è il caso soprattutto di “Il ragazzo con la bicicletta” e “Due giorni, una notte”. I Dardenne graffiano con le loro immagini, colpiscono allo stomaco lo spettatore, ma regalano anche un abbraccio di tenerezza e misericordia.
 
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
Negli anni passati i fratelli Dardenne hanno colpito pubblico e critica con film di bel nitore drammatico e di forte spessore etico quali “Il figlio”, “Rosetta”, “Il ragazzo con la bicicletta”, “Due giorni una notte” e altri. Sempre attenti a osservare i delicati equilibri sociali in atto nella società belga che guardano con acutezza e taglio compassionevole, i fratelli registi affidano la loro discesa negli inferi di una Nazione densa di contraddizioni a un unico personaggio. Jenny Davin, medico protagonista, ha carattere insieme forte ma di debole reazione. Costantemente sola e senza sostegno, non ha famiglia, non un'amica, non un diversivo. È come se fosse un carattere monocorde destinato a portarsi addosso il peso di tutto il 'male' degli altri. Timida e non appagata, Jenny sconta il risentimento e la rabbia di quanti approfittano della sua inattesa disponibilità. Jenny va verso un sacrificio silenzioso e sottotraccia, e intorno a lei, alla conclusione (tronca, repentina, improvvisa) del suo personaggio resta qualcosa di irrisolto, di non detto, di trattenuto. Come se quella ragazza senza nome, che non si vede mai, riuscisse infine a essere più 'visibile' della stessa Jenny. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.
 


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