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Fra le macerie, la primavera   versione testuale

Con l’intervento di Piero Chinellato, psichiatra e psicoterapeuta, prosegue la riflessione lanciata dal Copercom sul Messaggio di Papa Francesco per la 51esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. In precedenza avevano scritto Domenico Delle FoglieCarlo Marroni e Tonino Cantelmi.

La partenza è in salita, perché è arduo commentare un messaggio che ha come obiettivo “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo” facendo perno sulla “buona notizia”, quando la tua terra è alle prese con la peggiore notizia della tua generazione: il terremoto. E ti è chiaro che non si tratta di un dramma che in poco tempo potrà essere sovrascritto da lieti eventi e affidato a un dolente ma placato album di memorie.

Le notifiche dell’Ingv danno conto quotidianamente di una terra che non si è ancora acquietata. Le ferite inferte ai paesi, alle comunità, alle infrastrutture, alle case e alle chiese, alle persone, alla vita hanno appena cominciato a essere medicate; quando potranno essere avviate a guarigione, richiederanno anni anche solo per cicatrizzare. Ed è forte il timore che le cicatrici snaturino i volti di tanti borghi rendendoli irriconoscibili perfino a chi ci ha vissuto. Qui nelle Marche manca anche il riflesso della fama che mitiga o almeno accarezza la tragedia con la visibilità e la solidarietà epidermica veicolata dai media. Ma i tre quarti dei danni e degli sfollati – lo ricordo ai tanti per i quali il sisma è sinonimo di Norcia e Amatrice – sono qui, in parte preponderante nella mia provincia di Macerata, con Camerino, Visso, Pieve Torina, Muccia, Caldarola, Tolentino, San Ginesio… i cui centri storici sono distrutti o comunque barcollano, transennati e chiusi all’accesso.

Eppure, proprio qui è davvero possibile rilevare che, come scrive il Papa nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni sociali, «ogni nuovo dramma che accade nella storia del mondo diventa anche scenario di una possibile buona notizia, dal momento che l’amore riesce sempre a trovare la strada della prossimità e a suscitare cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire».

Proprio queste parole, che potrebbero apparire consolatorie e qualcuno giudicare addirittura ipocrite («la solita broda di buoni sentimenti...»), sono state quotidiana esperienza nei 6 mesi seguiti al funesto 24 agosto 2016. La tragedia, le perdite (per grazia di Dio davvero straordinaria, considerata l’intensità della scossa del 30 ottobre, qui da noi non di vite umane), la paura, le vite sconvolte hanno fatto spessissimo l’esperienza di una “messa in sicurezza” determinata, più che dall’intervento istituzionale, da una mano tesa, da un cuore aperto, da un orecchio attento e disponibile, da qualcuno mai visto prima che si è fatto in quattro per assistere l’anziano impaurito o un bambino scosso. E nello strazio di dover abbandonare precipitosamente la casa di una vita, trasformatasi improvvisamente da focolare rassicurante in minaccia incombente, la vicinanza e il sorriso confidente di chi si è prodigato ben oltre il mansionario è stata l’unica barriera che ha impedito alla disperazione di dilagare.

Ancora il Papa: «Chi, con fede, si lascia guidare dallo Spirito Santo diventa capace di discernere in ogni avvenimento ciò che accade tra Dio e l’umanità, riconoscendo come Egli stesso, nello scenario drammatico di questo mondo, stia componendo la trama di una storia di salvezza». Innumerevoli, spossati, imploranti, veementi, i «perché?» elevatisi in questi 180 giorni. Nessuno ha una risposta, ma tra tanto male abbiamo toccato con mano che il bene c’è e che quella «trama di una storia di salvezza» si serve ancora una volta delle mani degli uomini e delle donne di buona volontà. Una fiducia sperimentata che placa gli animi esacerbati e apre varchi alla confidenza, con gli uomini e di nuovo con Dio.

Torna così a germogliare, assieme alla primavera, la speranza, «la più umile delle virtù, perché rimane nascosta nelle pieghe della vita, ma è simile al lievito che fa fermentare tutta la pasta». Avrà bisogno di tempo per radicarsi; le buone pratiche della ricostruzione, oneste ed efficaci, le forniranno il concime per crescere e irrobustirsi, ma è comunque già all’opera. Confidiamo che nessuno abbia l’impudenza di mortificarla.
Piero Chinellato - Giornalista