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Veloce come il vento    versione testuale

«La vita dell’uomo non è solo una cronaca asettica di avvenimenti, ma è storia, una storia che attende di essere raccontata». Sono le parole di papa Francesco nel Messaggio per la 51a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, chiamate a introdurre la seconda proposta cinematografica per il ciclo di film sulla “buona notizia”: Veloce come il vento (2016) di Matteo Rovere, storia di una famiglia frammentata nella provincia emiliana che trova la forza e il coraggio di riscattarsi, di ristabilire la tenerezza dei legami. Il film è consigliato nell’ambito della proposta sviluppata dall’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali e la Commissione Nazionale Valutazione Film CEI per approfondire il Messaggio del Papa.
 
Veloce come il vento, storia di famiglia e di riscatto
Vincitore di tre Nastri d’argento nel 2016 – Miglior attore Stefano Accorsi, Miglior esordio Matilda De Angelis, Miglior montaggio Gianni Vezzosi –, il film Veloce come il vento di Matteo Rovere si ispira liberamente alla storia del campione di rally Carlo Capone, ma anche alla giovane promessa dell’automobilismo Michela Cerruti.
Siamo in Emilia-Romagna, Giulia De Martino (Matilda De Angelis) è una giovane pilota di diciassette anni del circuito GT, allenata dal padre Mario (Giuseppe Gaiani). Durante una gara il papà accusa un improvviso malore e muore, gettando nella disperazione e nelle difficoltà economiche la ragazza insieme al fratellino più piccolo Nico (Giulio Pugnaghi), che rischia di essere affidato ai servizi sociali. La situazione cambia all’arrivo di Loris (Stefano Accorsi), fratello maggiore di Giulia, un tempo anche lui campione di automobilismo, scivolato in disgrazia e tormentato dall’abuso di droghe. Loris, però, sembra l’unica speranza per Giulia, perché potrebbe permetterle di tenere con sé il piccolo Nico, aiutandola anche negli allenamenti per il campionato.
Matteo Rovere mette a segno un bel racconto di formazione, la storia dell’adolescente Giulia chiamata ad assumersi le responsabilità di una vita adulta, chiusa nel suo dolore e pronta aggredire la vita che l’ha graffiata. La ragazza dovrà imparare per di più a condividere lo spazio, la casa, con il fratello Loris con cui non c’è dialogo, non c’è sopportazione. Una sfida complessa, cui Giulia non si sottrae, ma si mette in gioco con tenacia e grinta, sia a livello personale che sulle quattro ruote nel campionato GT. Un percorso di crescita che la porterà anche al cambiamento, a rivedere le sue rigidità e soprattutto a scoprire la tenerezza che si nasconde nella disordinata esistenza del fratello, il quale saprà trovare il modo di farsi apprezzare. Oltre al romanzo di formazione, troviamo anche una fotografia di una famiglia lacerata che trova la via della riconciliazione, il cammino per medicare le ferite e tornare a sperare nel domani insieme.
Dal punto di vista narrativo e stilistico, Veloce come il vento è un film di indubbia qualità. Matteo Rovere ha lavorato sul ritmo narrativo, sulla caratterizzazione credibile dei personaggi – ottimi gli attori, tutti – e sulle atmosfere livide ma mai prive di luminosità. Un’opera coinvolgente, dalle tinte cupe e da scene a volte problematiche, ma mai gratuite; scelte narrative funzionali alla logica del racconto giocato sul riscatto, sulla possibilità di riprendere in mano la vita e la famiglia stessa.
 
Per approfondire
Diverse sono le storie di adolescenti in cerca di speranza che il cinema ha raccontato negli ultimi anni. Anzitutto In un mondo migliore (Hævnen, 2010) di Susanne Bier, Premio Oscar come miglior film straniero, film sull’adolescenza inquieta che vira in chiave positiva, così come The Blind Side (2009) di John Lee Hancock, storia vera di un giovane afroamericano adottato da una famiglia borghese bianca che contro ogni pregiudizio sociale offre al ragazzo calore familiare e un’opportunità per affermarsi nella vita grazie allo sport. Ancora, dall’Italia arrivano storie positive: Il terzo tempo (2012) di Enrico Maria Artale, film sullo sport (il rugby) come occasione per trovare un senso al proprio vivere allo sbando, per costruire relazioni solide e vere grazie a gioco di squadra, Scialla! (2011) di Francesco Bruni, un giovane in cerca di punti di riferimento tra scuola e famiglia, il brioso Banana (2015) di Andrea Jublin, lo sguardo fiducioso di un ragazzo di quattordici anni che invita famiglia e professori ad affrontare il quotidiano con ottimismo.
 
Valutazione Pastorale Commissione Nazionale Valutazione Film
Dopo due film variamente intrecciati sul versante psico-sociologico e, a dire il vero, non del tutto riusciti (Un gioco da ragazze, 2008; Gli sfiorati, 2011), Rovere cambia decisamente registro, scenario, ambito di riferimento. Scegliere come scenario il mondo delle corse automobilistiche, e focalizzare in una ragazzina di 17 anni la protagonista principale significa avviarsi all'interno di una storia che si scontra con una realtà dinamica e movimentata, fatta di inciampi, distinguo, errori, occasioni e qualche rimpianto. Loris e Giulia cominciano con una violenta litigata, con un'ostilità reciproca che significa la non volontà di fare qualche passo avanti. È solo attraverso un percorso fatto di piccoli/grandi passi e di progressiva comprensione che Loris e Giulia fanno scattare la luce di quella ritrovata armonia che vuol dire un futuro diverso e migliore. Sembra quasi incredibile che un finale così 'positivo' arrivi a suggellare una vicenda italiana. In realtà il copione elimina facili soluzioni, sdolcinamenti e banali armonie. Forse il clima emiliano romagnolo si adatta troppo semplicemente alla vicenda in fin dei conti non troppo 'negativa'. Forse il realismo cede presto all'altra faccia della favola, e il finale arriva a riempire un vuoto persino immaginato e non dichiarato. Resta tutto il comparto di contorno: le corse, le riprese sulle piste e nelle strade, la scelta della lingua locale, i personaggi di contorno che fanno autenticità e costruiscono quella idea di sporco, di fango, di pericolo che crea suspense e tensione. Il film è comunque di encomiabile tenuta e, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e meritevole di dibattiti.

 

Le altre tappe del percorso