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 Home GMCS2016 - Per agire - Nel deserto, sulle tracce dell'Infinito 
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Nel deserto, sulle tracce dell'Infinito   versione testuale

Deserto, luogo della voce di Dio
«Il deserto è il luogo dove si può ascoltare la voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca veramente il nostro destino, la vita o la morte. E come sentiamo la voce di Dio? La sentiamo nella sua Parola» (Angelus, 22 febbraio 2015).
Così papa Francesco affronta il tema del deserto, luogo sì della tentazione del male, ma anche luogo dove cogliere la voce, la grazia, del Signore.
Il tema del deserto, dell’itinerario fisico-spirituale verso il riscatto, così come il richiamo all’opera di misericordia corporale “Dar da bere agli assetati”, è il tema della seconda proposta cinematografica: Tracks. Attraverso il deserto (Tracks, 2014) di di John Curran.
Il film si inserisce nel ciclo cinema e Giubileo proposto dalla Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI - Fondazione Ente dello Spettacolo, d’intesa con l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.
 
La sfida del deserto con Tracks
In concorso alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia (2013), Tracks. Attraverso il deserto (Tracks, 2014) di John Curran – autore noto anche per Il velo dipinto – porta sullo schermo la storia vera di Robyn Davidson, ispirandosi al suo memorabile viaggio a piedi nel deserto australiano per 2.700 km. Il film prende la mosse dal libro della Davidson Tracce (edito in Italia da Rizzoli) e dal reportage del fotografo Rick Smolan sulle pagine del «National Geographic».
Tracks è la vicenda di una giovane donna, Robyn (Mia Wasikowska), che negli anni ’70 decide di sfidare il deserto a piedi in Australia, con il solo supporto di quattro cammelli e un cane. Unica eccezione durante i mesi di cammino sono gli alcuni incontri con il fotografo Smolan (Adam Driver), per gli scatti del reportage.
Quello che Robyn compie è un viaggio indubbiamente fisico, una prova con(tro) se stessi; misurarsi con i rischi di una vita in sottrazione, negli smisurati spazi del deserto. Ma il film rivela qualcosa di più. È un percorso esistenziale, un viaggio nelle pieghe del proprio animo per scacciare le proprie paure, i rimossi del proprio vissuto, e per tornare a riscoprire il senso della vita.
Robyn sfida il deserto perché è smarrita, sfinita da una serie di delusioni e sofferenze. Non le rimane altro che mettersi in gioco e trovare una nuova prospettiva. È dunque in quegli spazi aperti, al cospetto della maestosità della natura, che la protagonista si sente fragile, sola, ma allo stesso tempo forte e viva. Robyn mette a fuoco le proprie debolezze e le affronta con disperato coraggio.
Prima e all’inizio del viaggio, la protagonista non accetta l’aiuto di nessuno. È diffidente e delusa dall’altro. Si sente abbandonata e sola. La sua famiglia è dispersa, frammentata. Il viaggio, però, sarà l’occasione per ricredersi, per ritrovare finalmente un senso di condivisione, per scoprire la ricchezza della vita condivisa.
Emblematico, anche nella prospettiva della misericordia – “Dar da bere agli assetati” –,  è l’approdo di Robyn al mare, dopo 2.700 km. L’immergersi in acqua con i suoi cammelli è il traguardo del percorso fisico, ma è soprattutto il momento di ristoro di un animo riconciliato, risanato dalle tante ferite. L’Acqua diviene pertanto simbolo di pace, di rinascita.
 
 
Per approfondire con la Cnvf e Cinematografo.it
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI: «(…) Robyn parte a piedi agli inizi del 1977 e arriva a destinazione sulla costa occidentale australiana dopo nove mesi e 2.700 chilometri, alla fine del 1977. Un servizio sull'impresa appare sul numero di marzo 1978 del National Geografic. Ottiene grande successo, e Robyn decide di scrivere un libro, "Tracks", pubblicato nel 1980. Questi ampi dettagli servono per far capire che la storia è vera, e le versione filmica, tutto sommato, anche. L'obiettivo è quello di dipingere una sorta di epopea del viaggio in solitario, un cammino epico e disperato per ridare fiato al mito della conquista del West in versione oceanica. Spazi infiniti, disagi, privazioni: la regia coglie bene gli affanni, non altrettanto i propositi e i significati. C'è un solo momento nel quale esce dal viso sofferente di Robyn il pianto per una solitudine che sa di paura di fronte all'ignoto. Ma poi arrivano l'oceano, l'aria, il fotografo. E la vita ricomincia. Il diario alla fine conquista ed emoziona ma senza toccare vertici di metaforica capacità descrittiva. E il film, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti. » (www.cnvf.it).
 
Rivista del Cinematografo - Cinematografo.it: «La giovane Robyn, che trova in Mia Wasikowska un’interprete fisicamente e spiritualmente fedele, conosce la meta del suo viaggio ma non la sua destinazione, il movente più intimo. D’altra parte, come in ogni on the road che si rispetti, la meta è partire, un mettersi in moto puntando, più che alla fine del cammino, alle trasformazioni che il cammino prospetta. La sua lunga camminata nel deserto è così diversa dalla nostra? Non abbiamo anche noi un deserto da attraversare, con le sorprese e i pericoli nascosti, gli incontri fortuiti e quelli che era meglio evitare? E quella solitudine che Mia/Robyn cercava e che d’improvviso sente montare dentro, contro di lei, non è un’esperienza che possiamo fare tutti noi che viviamo, dannatamente ma fortunatamente, in mezzo agli altri? Senza enfasi né spettacolo, Tracks segue una parabola inversa a quella di Into the Wild, pur tallonandolo da vicino: a differenza del novello Thoreau di Sean Penn, la nostra eroina sopravvive perché “accetta” – pur con le dovute riserve e limitazioni – il sostegno dell’altro» (Gianluca Arnone).