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L’abbraccio ai poveri e ai migranti del nuovo vescovo di Palermo   versione testuale
Articolo di Luca Insalaco - Palermo

(9 dicembre 2015) - I poveri, gli emarginati, i migranti: don Corrado Lorefice sceglie gli ultimi come bussola della propria esistenza, li designa come stella cometa di una «Chiesa povera e per i poveri». Il neo-arcivescovo di Palermo, nel messaggio letto nel corso della cerimonia della propria ordinazione episcopale, ha voluto soffermarsi sull’importanza di custodire la memoria dei santi e dei martiri espressi dalla terra di Sicilia, sul desiderio di «ascoltare la santità e la fede operante della Chiesa palermitana, di imparare come essa accoglie e vive la Parola di Dio ospitata nelle pagine della Scrittura e nelle pagine della sua Storia, come si conforma al Suo Signore nei segni sacramentali della Chiesa – la Frazione del pane, l’ascolto orante della Parola, i Poveri e i Piccoli – e nei segni dei tempi».
Una Chiesa, quella palermitana, che «in tante forme e con grande creatività condivide e solleva la fatica di chi stenta a vivere». Il pensiero di don Corrado è andato ai servizi resi in città in favore dei migranti e all’attività offerta, tra gli altri, dall’oratorio Santa Chiara e dal Centro Astalli, senza dimenticare la Caritas e la Missione Speranza e Carità, la comunità fondata da Biagio Conte che, fin dalla sua nascita, ha offerto a un gran numero di stranieri un letto e un pasto caldo. «Per un vescovo, per il vescovo che io vorrei essere tra di voi – ha spiegato don Corrado – custodire la memoria vuol dire essere dalla parte dei poveri, a cui voglio stare accanto e che avrò sempre come bussola della mia vita in mezzo a voi» e, quindi, anche «a chi fugge dalle guerre e dalla fame». «Questo – ha aggiunto – comporta per me fare argine concretamente, con forza, insieme con voi e con tutto me stesso, ai “poteri di questo mondo” che vogliono annientare la dignità e la bellezza del nostro essere uomini».
Il nuovo pastore di Palermo, dunque, parte dagli ultimi, da chi vive ai margini della società. Non a caso ha scelto come motto per il proprio stemma e quindi come faro del proprio ministero quanto detto da Gesù ai discepoli: «Exemplum dedi vobis» («Vi ho dato infatti l’esempio»), intendendo così «vivere radicalmente la missione del Figlio dell’uomo che è venuto per servire e non per essere servito» (Mc 10,45). 
Quello enunciato non è un programma teorico, un elenco di pie intenzioni. Papa Francesco ha scelto don Lorefice come pastore della più imponente diocesi dell’Isola perché in lui ha visto un sacerdote che «conosce l’odore delle proprie pecore». È stato in Siria, conosce l’Africa e il Medio Oriente per averci vissuto e per avere toccato, da parroco, i drammi e le speranze di chi ha trovato in Sicilia un approdo di salvezza. Sa da cosa fuggono queste persone e la condizione di marginalità che sono costrette a vivere una volta giunti in Italia, lontani da un miraggio chiamato integrazione. «Dio – ha ricordato il presule – ha deciso di entrare nella storia dominata dai grandi, dai re e dagli imperatori che opprimono i popoli – e oggi possiamo dare un nome preciso all’oppressore, ovvero a questo sistema economico crudele che affama le genti e distrugge il pianeta, riducendo gli uomini a una merce di scambio – per contribuire a cambiare il corso delle cose, operando attraverso tutti coloro che ‘cooperano’ per il Vangelo».
A questa rivoluzione del Vangelo possono partecipare tutti gli uomini di buona volontà, senza distinzioni, perché la Chiesa «è la casa di tutti, la casa che per fedeltà al Vangelo del suo Signore accoglie tutti e non ha nemici, non alza barriere, non accampa diritti o privilegi». Infatti, «Dio ci ama, ama ogni donna e ogni uomo, prima e indipendentemente da ogni merito e da ogni virtù. Ci ama mentre siamo poveri e peccatori». Eccoli i poveri: siamo noi. Peccatori noi per primi, poveri come gli altri.
(Luca Insalaco - Palermo)