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"Scogli" miracolosi in un mare d'indifferenza    versione testuale
Articolo di Elena De Pasquale

(18 gennaio 2013) - Suggestione e magia: queste le parole più adatte per descrivere l’emozione provata di fronte all’immagine dell’isola dei Conigli, incantevole scorcio della più grande delle Pelagie, Lampedusa, completamente coperta di neve nei giorni di Natale. Una sorta di “miracolo” della natura che lascia a bocca aperta. Sgombriamo subito il campo da equivoci evitando di alimentare false illusioni: nulla di tutto ciò è avvenuto nell’accogliente, e solitamente calda, culla del Mediterraneo. Dove sono altri, invece, i miracoli che si materializzano. La loro caratteristica non è rappresentata dall’eccezionalità, bensì dalla quotidianità. La quotidianità nei gesti d’accoglienza. Tra qualche settimana, fine gennaio inizio febbraio, saranno trascorsi due anni dai giorni della grande emergenza. Era il nove febbraio quando al molo Favaloro avvenne il primo imponente sbarco di uomini, donne e bambini, giunti sulle coste della Sicilia, dopo lunghi, freddi ed intensi giorni di navigazione, in balìa delle onde, su malandati pezzi di legno. Nelle settimane successive, gli arrivi divennero sempre più intensi, fino allo scoppiare, appunto, di un’emergenza senza precedenti per la comunità locale. Che, purtroppo, ancora oggi, esattamente come in quei mesi, si è sentita e continua a sentirsi abbandonata. Hanno fatto meno clamore, perché la loro cadenza non è stata incisiva quanto la volta precedente, ma gli sbarchi, a Lampedusa e Linosa, non sono mai cessati. E, cosa ben più grave, non hanno trovato fine le sofferenze di chi, in estate o in inverno, col sole o con la pioggia, ha abbandonato la propria terra, la propria casa, la propria famiglia, nel miraggio di una salvezza che potrebbe non arrivare mai.
Nei Paesi del Nord Africa, non sono più i giorni della “Primavera araba”, ma le tensioni geopolitiche non sono meno preoccupanti. Lo dimostrano i recenti salvataggi avvenuti nel Canale di Sicilia ad opera degli angeli del mare, gli uomini di Guardia Costiera e Guardia di Finanza, e la condizione, nuovamente emergenziale, che si registra nel Centro d’accoglienza di contrada Imbriacola a Lampedusa. Nei giorni scorsi, il sindaco dell’Isola, Giusy Nicolini in una lettera aperta rivolta alle istituzioni governative, è tornata a denunciare lo stato in cui sono costretti gli oltre novecento immigrati rinchiusi tra le quattro mura del Centro isolano, dove purtroppo, nonostante il costante lavoro del personale che lì opera, non si riescono a garantire sufficienti e dignitose condizioni di vita.
Quasi mille i fratelli africani che aspettano di sapere cosa li attende: se il ritorno in patria o il trasferimento in altro Centro.
Vittime innocenti ed inconsapevoli di quello che, come chiarito anche da una recente operazione svolta dalla Guardia di Finanza di La Spezia, è il crudele meccanismo di commercio di vite umane. In tre anni, dalla Nigeria all’Europa, sono stati trasferiti circa diecimila migranti. E Lampedusa, purtroppo, ha rappresentato il passaggio “obbligato” di questa rete. Secondo quanto emerso dalle indagini, l’organizzazione imbarcava gli immigrati, per lo più donne poi costrette sulla strada, su natanti illegali, consentendone l’ingresso in Europa attraverso le isole delle Pelagie. Dove gli appelli lanciati a più riprese dall’amministrazione locale e dalla comunità ecclesiale, al fine, appunto, di avviare interventi a tutela dei migranti, continuano a cadere nel vuoto.
La situazione gestionale delle politiche migratorie rimane dunque emergenziale. Le affermazioni rilasciate dal ministro degli Interni Annamaria Cancellieri, dettasi particolarmente preoccupata per la condizione del Centro di contrada Imbriacola, ne sono ulteriore testimonianza. Nel rapporto stilato dall’esponente dell’esecutivo del governo Monti, la “geografia” dall’accoglienza appare critica in tutto il Paese, dove al momento risultano essere assistite circa 17.500 persone:  poco più di 2000 sono presenti nel Centro di accoglienza di Mineo, oltre 6.200 nelle strutture di prima accoglienza e per richiedenti asilo (Cara, Cda, Cpsa). Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e le loro sezioni, ha però evidenziano la Cancellieri, lavorano a pieno ritmo e dal primo agosto 2011 al trenta ottobre 2012 hanno esaminato complessivamente circa 39.000 domande. Una cifra in cui sono state ricomprese le istanze presentate dalle persone fuggite dal Nord Africa, con un esito di accoglimento di circa il 41%. Statistiche “fredde” cui fa da contraltare il tepore dell’accoglienza lampedusana. Che, ancora una volta da sola, sopperisce alle falle di un sistema in cui gli immigrati continuano ad essere considerati un problema e non una risorsa. Non si affronta il cambiamento, si preferisce non fare i conti con una società in perenne evoluzione, ma, soprattutto, in continua mobilità. Si nasconde la polvere sotto il tappeto. Un tappeto costituito dal velo d’acqua, sotto il quale, senza far rumore, scompaiono i volti di migliaia di innocenti. In silenzio, nel buio della notte, salpano dalle coste di Tunisia, Egitto ed Algeria; in silenzio vedono scivolare via la loro vita senza potersi nemmeno aggrappare ai barconi che a stento riescono a reggerne il carico di speranze. Qualche volta quelle luci di vita vengono intercettate dai radar delle motovedette che, anche tra le onde in tempesta, iniziano una sfrenata corsa contro il tempo per non arrivare quando potrebbe essere troppo tardi, quando potrebbe essere già stato il Mediterraneo ad aver fatto il “lavoro sporco”, risucchiando ogni traccia delle loro anime. Quando questo accade, solo Lampedusa e Linosa, “scogli” miracolosi in una mare di indifferenza, piangono i fratelli scomparsi. Nell’arcipelago delle Pelagie, il miracolo del Natale ha gli occhi, intensi e profondi, di coloro i quali, ogni giorno, vedono negato il diritto alla vita.
(Elena De Pasquale – Ufficio Migrantes Messina)