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Lampedusa e le sorprese di Dio    versione testuale
Articolo di Alessandro Cordaro
(27 dicembre 2912) - Realizzata in parrocchia, nei giorni scorsi, dai ragazzi cresimandi guidati dal viceparroco don Giorgio Casula, una drammatizzazione in preparazione al Natale, che abbiamo intitolato “Dialoghi di fede”, ha messo in luce le grandissime difficoltà di Maria e di Giuseppe, non solo dal punto di vista della fede, ma anche squisitamente umano. Ci piace raccontare, però, anche il contesto “natalizio” di questi giorni, vissuto nell’isola di Lampedusa, un contesto molto “particolare”. Dopo un pranzo di fraternità, con padre Stefano, padre Giorgio e la signora Vita, a casa di Giusy si è giunti al caffè, quando il giovane viceparroco mi “inchioda” con la sua dolcezza alla quale non puoi dire di no: “Alessà, mi aiuteresti nella preparazione di una sorta di Recital?”. Faccio presente che mancano pochi giorni e un “cattivo” pensiero mi sale alla mente (“Vabbè, dico di sì, tanto se fallisce non sarà colpa mia”).
Questo lavoro teatrale è un desiderio emerso durante gli incontri di preparazione alla cresima, tenuti la domenica da padre Giorgio, ma i ragazzi che hanno detto sì a questa sfida (il tempo è veramente poco) sono quelli di un gruppetto che il mercoledì approfondisce con “Giorgino” le tematiche della domenica.
Primo giorno di prove: gli “attori” leggono il copione, messi in cerchio in una stanza; e già capisci che c’è qualcosa di “strano”, i dialoghi tra Miryam e Joseph sono quelli di una coppia moderna, ma nello stesso tempo di una fede bellissima, dove uno si appoggia sull’altro.
“Sono incinta” dice lei. “Ma come, la nostra legge ci impone la fedeltà, dimmi che è uno scherzo” risponde lui. Questo l’inizio, per farvi capire cosa ne sta venendo fuori.
“Mi sono trovata una figura d’uomo! C’era luce” ricorda Miryam, mentre lui è preoccupato di cosa deve dire agli anziani (nella lapidazione prevista sarà il promesso sposo a dover tirare la prima pietra).
Le prove continuano di sera, in chiesa, ma un altro fatto è indice di qualcosa che voglio raccontarvi: i ragazzi entrano così tanto nella parte che è un piacere ascoltarli; sì, hanno accolto il Messaggio e si lasciano lavorare da questo …
Padre Giorgio, con l’iniziale supporto di Giusy e di Elisabetta (cresimande pure loro e aiuto regista), guida gli attori con dolcezza, ma anche con inaspettata autorità e loro apprezzano: sì, hanno accolto pure lui, chiaramente, e si vede.
La recita continua come se fossimo sotto il cielo di Nazaret: ecco i pettegolezzi delle lavandaie e delle donne del paese, il licenziamento di Giuseppe da parte del suo timoroso datore di lavoro, il dialogo tra Miryam e sua madre, Anna, e sua sorella (“figlia mia, da quando ti è successo sei anche diversa! Il tuo volto!”), la preparazione al matrimonio. Pensateci: noi rischiamo sempre di plastificare le scene del Vangelo, mentre occorre sempre togliere questa pellicola per entrarvi e vivere dentro il cuore di quegli avvenimenti.
Si sposano Miryam e Joseph e il livello del dialogo, adesso, è altamente intimo, dolce e di fede condivisa: Carmen e Giacomo, ormai, sono sempre di più compenetrati in quella coppia di duemila anni fa, esprimendosi con tutto se stessi in quel palco improvvisato che sono i gradini davanti l’altare.
“È anche figlio tuo perché hai difeso la sua vita, anzi lo sei due volte perché hai fatto rinascere sua madre” dice la futura mamma. “È figlio tuo, ma per il mondo sarò suo padre” le risponde il futuro sposo.
Eccoli in viaggio per Betlemme, per obbedire a Roma e al suo censimento.
Qui i dialoghi sono sulle difficoltà materiali del parto (“Mi sono fatto spiegare tutto da mia madre” dice Miryam), la strada da prendere, l’odore del mare che giunge a loro, il nome da scegliere e il ricordo ancora di quei giorni a Nazaret (“Miryam, volevo fuggire!” confessa lui, mentre lei esclama “Tu sei tra i più coraggiosi. L’angelo ti ha guidato una notte, ma poi sono venuti i giorni contro tutta la comunità”)…
Il cammino continua e siamo quasi ai giorni del parto: Joseph non potrà assistere per la legge della contaminazione e quindi Miryam deve fare tutto da sola, ricordandosi degli insegnamenti di Anna, sua madre …
Eccolo, il bambino è nato e Miryam racconta: “Le gambe mi facevano male e mi sono inginocchiata e dicevo: - Affacciati bimbo mio, vienimi incontro, mamma tua è pronta per prenderti appena spunta la testolina”.
“Miryam andiamo!” conclude questo dialogo tra sposo e sposa: occorre intraprendere un altro viaggio, verso l’Egitto, per sfuggire all’odio di Erode.
Durante le prove, devo dirvi, che la chiesa non è vuota.
Ci sono degli spettatori, nella penombra, seduti negli ultimi banchi.
Giovani uomini e donne, che guardano, ascoltano e cercano di capire.
Alcuni sono scalzi perché hanno lasciato le loro scarpe fuori dalla chiesa e cercano una croce … di legno. La chiedono a padre Stefano e a padre Giorgio (il quale li chiama “gioia mia”, proprio come chiama i suoi ragazzi durante le prove). Padre Stefano entra ed esce dalla chiesa, con un berretto di Babbo Natale (“Babbo”, sì: quest’uomo ha una paternità grande come il Mediterraneo, ormai), mentre altri uomini e donne della parrocchia, vestiti di rosso e con la barba bianca, pure loro seduti negli ultimi banchi, aspettano di iniziare il loro giro serale di animazione e di lode al Signore, con chitarre e cembali, portando panettoni, allegrezza e soprattutto fraternità a chi è solo come qualche anziano. Allora, è qui che capisci che quest’anno, in questi giorni, “Lampedusa è Betlemme”, per usare le parole di padre Stefano, proprio perché il puzzle che si sta componendo viene dall’Alto e quando Lui crea questi “quadri”, il cuore dell’uomo può soltanto farti dire: “Allah akbar!” (in arabo, Dio è grande!). Ma come si fa a non vedere nel cammino di Miryam e Joseph quello dei tanti immigrati che approdano nell’Isola e che da qualche mese, per certi versi, la vivono? Come si fa a non vedere nei pettegolezzi della gente di Nazaret la superficialità di chi guarda questi fratelli, etichettandoli in un certo modo?
Come si fa a non vedere nell’odio di Erode, tutte le ferocie di guerra dalle quali molta di questa gente è costretta a fuggire?
Quella “grotta” è a Lampedusa e si alterna con il Golgota di quella collina di due anni fa: un processo all’inverso, sì. Per farci capire che una rinascita è possibile, sempre! Vedere uomini e donne d’Africa danzare e lodare Iddio, davanti alla capanna della Natività sul sagrato della Chiesa o vederli distribuire panettoni e fraternità per le case degli ammalati è uno spettacolo dello Spirito (“il quale fa nuove tutte le cose”).
Dio è così: imprevedibile.
Due anni fa aveva deciso di “installare” una Via Crucis vivente, in quei famosi cinquantotto giorni, oggi ha “disegnato” i giorni del Parto ancora nell’isola.
Uomo della Croce e Bambino della grotta.
Dio che si dona a tutti.
Oggi come ieri.
E per sempre.
(Alessandro Cordaro - insegnante di religione)