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Donne in attesa... che si "specchiano" nel Mediterraneo    versione testuale
Articolo di Maria Veronica Policardi
(7 marzo 2012) - Un quadro, un immagine, quella di una donna messa di spalle, coperta da uno scialle che lascia a vedere pochissimo del suo corpo, ferma lì davanti al mare, con gli occhi chiusi come raccolta in una preghiera. È l’immagine della donna lampedusana, della donna, madre e moglie, che sta aspettando che i suoi uomini ritornino dopo giorni di lavoro.
È una vecchia immagine, quella delle nostre donne, ormai dimenticata e consumata dagli anni. La donna dipinta è tesa, in ansia, chiude gli occhi accennando segni di preghiera nei confronti di chi tarda ad arrivare. In lontananza si vede una piccola barca, quasi un puntino nell’immenso mare. Allo stesso tempo sembra possa essere, invece, l’immagine di una donna africana, ferma, immobile su una spiaggia della Tunisia, col suo velo che copre quasi tutto e che attende che la barca, dove sono suo marito e suo figlio, scompaia dall’orizzonte. Anche lei ha gli occhi chiusi ed è raccolta in preghiera, nella sua di preghiera.
Da una parte della costa una straniera che affida al mare la speranza che i suoi uomini riescano ad allontanarsi, sull’altra sponda una lampedusana che affida al mare la speranza che i suoi uomini riescano ad avvicinarsi. Se solo queste donne si potessero confrontare sulla stessa spiaggia e nello stesso momento capirebbero che le accomuna lo stesso coraggio e la stessa forza. Capirebbero che non sono poi così diverse e che entrambe vorrebbero un futuro migliore per la propria famiglia. Forse entrambe vorrebbero essere su una barca per fuggire, convinte che restare dove si è significhi rinunciare al domani per se stesse e per le loro famiglie. Forse entrambe vorrebbero che nessuno si allontanasse dalla loro terra costretti a cercare fortuna altrove.
Nel complicato intreccio della storia degli uomini, si potrebbe affermare che ogni donna ne è il personaggio principale proprio nel momento in cui sembra mettersi da parte, in attesa. 
L’essere donna è un universo assai complesso costituito da relazioni, emozioni, affetti, spesso anche frustrazioni ed umiliazioni. Realizzarsi nella società come lavoratrice, madre e compagna, significa individuare sia la propria identità sia rimarcare il proprio ruolo.
Fin da bambine le donne hanno vissuto l’inferiorità rispetto agli uomini: avevano minori possibilità di accesso all’istruzione, minori diritti nella famiglia e nella società. Nelle famiglie povere, la “preferenza” era data ai maschi, quando si trattava di frequentare la scuola e non era raro il caso in cui le ragazze dovevano lavorare per mantenere agli studi i fratelli maschi.
La divisione sessuale del lavoro è sempre esistita e la posizione della donna-moglie veniva sempre più svalutata. Non si può però non sottolineare il suo ruolo di mediazione culturale. La donna è mediatrice tra il mondo, la storia, i legami, le tradizioni che le sono state lasciate e il nuovo mondo nel quale si trova a vivere tra la famiglia d’origine e il proprio nucleo familiare.
La vita della donna è caratterizzata, quindi, dal ruolo della mediazione, una mediazione che ha un significato fortemente positivo nel senso che contribuisce a stabilire o a ristabilire rapporti interpersonali equilibrati. È lei che cerca di non sciogliere i legami della famiglia, è lei la prima a sacrificarsi nelle scelte importanti.
Se ancor oggi, purtroppo, le donne italiane s’interrogano sullo stato di attuazione delle “pari opportunità”, per le donne straniere il compito è senz’altro più difficile. Accanto a donne che oggi rivendicano i propri diritti si incontrano donne che nel passato non si sono mai poste il problema di sottrarsi all’autorità del padre o del marito, che si sono riconosciute pienamente nelle tradizioni della comunità originaria e che si sono trovate, loro malgrado, a dover provvedere alle necessità economiche della propria famiglia e nel caso delle migranti questa è una situazione anche presente. Ed ecco che nel presente l’immagine del dipinto cambia.
La donna non c’è più, c’è solo il mare e una piccola barca. La donna lampedusana non è più ad aspettare immobile che qualcuno ritorni. Ha scelto un futuro diverso che non sempre si rivela migliore e vuole essere anche lei artefice di un qualsiasi cambiamento. La donna africana è adesso su quella barca. Ha scelto di dare un futuro diverso al bambino che porta in grembo, vuole allontanarlo dalla guerra, dalla povertà e renderlo libero. Arriveranno entrambe lontano e proprio a partire dal “nostro” approdo,  Lampedusa, per loro sarà scritta una nuova storia che ogni donna-madre si augura possa essere a lieto fine.
(Maria Veronica Policardi - Periodico “Isola Bella”)