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Fabris: dentro questo tempo   versione testuale







Dopo il convegno nazionale “Testimoni digitali” (Roma, 22-24 aprile 2010) e il seminario “Diocesi in rete” (Roma, 23-24 novembre 2010), a Macerata si tiene, dal 19 al 21 maggio 2011, il convegno nazionale “Abitanti digitali”, promosso dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Cei. Sul tema del convegno il Sir ha raccolto le riflessioni di Adriano Fabris, docente di filosofia morale all'Università degli Studi di Pisa....
 
 
Ogni volta che trova sviluppo, nella storia dell’umanità, una determinata tecnologia emergono metafore significative, che dicono la novità di quest’esperienza e indicano in che modo la si può rendere meno estranea. Non sfugge a questa situazione il mondo di Internet. Quella della rete, infatti, è essa stessa una metafora. Il mare di Internet si “naviga”, e attraversare la realtà virtuale può essere concepito proprio come un’avventura. Il web 2.0 è un “ambiente” popolato di comunità. Nella prospettiva del web 3.0, di cui già si parla, gli “spazi” immensi della rete, nonché ciò che in rete può essere condiviso, lasciano il posto ai “giardini” ben recintati di cui parla “Wired” a proposito delle “apps” di uno “smartphone”.
È giusto allora domandarsi – e non a caso ciò viene fatto nel convegno di Macerata su “Abitanti digitali” – come questo nuovo “ambiente”, queste nuove “comunità”, questi stessi “giardini” possono essere “abitati”. Urge in altre parole approfondire i mutamenti concettuali che le nuove tecnologie comportano, i modi in cui, in relazione ad essi, possiamo comportarci in maniera buona, i riflessi educativi di un tale mutamento di paradigma, le forme concrete in cui cambiano le relazioni interumane e muta la percezione della propria identità. Si tratta di questioni di carattere ontologico, etico, pedagogico, sociologico da cui la nostra realtà quotidiana è ormai profondamente permeata. E sulle quali la Chiesa cattolica da tempo ha concentrato la sua attenzione: come dimostrano gli ultimi due messaggi del Sommo Pontefice per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, alcuni documenti redatti già alcuni anni fa dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e, soprattutto, le ultime occasioni di riflessione che l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali ha dedicato alle urgenze della comunicazione online. Fra queste spicca per interesse e partecipazione il convegno svoltosi l’anno passato sul tema: “Testimoni digitali”.
Com’è noto, la posizione della Chiesa su questi temi è attenta ed equilibrata. È interesse della Chiesa, ancora una volta, “stare dentro il suo tempo” e considerare l’uso delle nuove tecnologie un’opportunità anche sul versante dell’evangelizzazione. Ma non solo per questo il suo sguardo è permeato, potremmo dire, da realismo e ottimismo insieme. C’è un’attenzione forte alle giovani generazioni, quelle dei cosiddetti “nativi digitali”: coloro cioè che ormai non possono concepire la loro vita senza il riferimento a ciò che queste tecnologie offrono. C’è la consapevolezza che anche su questo piano si gioca la “sfida educativa” alla quale la Chiesa italiana ha dedicato gli “Orientamenti pastorali” del prossimo decennio.
Il problema, dunque, non è più quello di considerare la rete dall’esterno: non è più soltanto, potremmo dire, quello di elaborare un’etica della rete. È necessario piuttosto offrire modalità giuste e vere di “abitare” questa dimensione, ascoltando anche le esperienze di chi in essa condivide tempo e sentimenti. Bisogna, in altre parole, lavorare per lo sviluppo di un’etica nella rete.
Anche di questo parlerà il convegno di Macerata. Lo farà con riflessioni di esperti e di pastori. Lo farà cercando di cogliere nei social network nuove occasioni di condivisione, di confronto e di dialogo. Senza dimenticare che, in ogni caso, il criterio dell’eticità di cui parlavo non può venire dalla rete stessa, ma piuttosto s’annuncia in quella proposta di orientamento complessivo che riguarda, in tutti i suoi aspetti, la nostra vita quotidiana.