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Opinione pubblica sulle migrazioni


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/02


OPINIONE PUBBLICA SULLE MIGRAZIONI
di Salvatore Mazza
Difficile parlare di migranti e migrazioni senza che, presto o (poco più) tardi, il discorso non scivoli verso la polemica “casalinga”. Difficile, se non impossibile. Si tratta, d’altra parte, del problema del giorno. Anzi, del problema del nostro tempo. Attorno al quale si confrontano e si scontrano ragioni “alte” e grette lamentazioni, maturano straordinarie attitudini solidaristiche e individualismi sempre più esasperati, si autoalimentano paure antiche e macroscopiche contraddizioni.Ci si commuove, certo, quando la televisione ci mostra popoli interi che muoiono di fame, o costretti da guerre e calamità naturali ad abbandonare le proprie case, e tutti s’è pronti a mettere mano al portafoglio. Ma quando fame, guerra, o la natura impazzita spinge quella gente davanti alle nostre porte di casa, la stessa questione assume immediatamente un contorno diverso. Molto diverso. C’è, in questa schizofrenia, la superficialità indotta da un sistema di informazione che non riesce ad andare oltre la comunicazioni empatica. Incapace, nel migliore dei casi, di approfondire, spiegare, comprendere. O, nel peggiore, scientificamente mirato a suscitare confusione e avversione.In tal modo, per colpa o per dolo, finisce per sfuggire il dato basilare: che multietnicità, multireligiosità, non saranno un “accidente” delle nostre società del futuro, ma ne saranno “sostanza”. Perché in questa direzione spinge, inevitabilmente, il futuro. E spinge forte: anche e soprattutto per le scelte politiche ed economiche compiute proprio da quelle società che si sentono “assediate”. Così che confusione si aggiunge a confusione, fino a che nell’opinione pubblica si smarrisce ogni senso di misura, di giustizia, di equità.A questo destino non sembra sfuggire neppure la stessa comunità ecclesiale che, pure, tra le comunità sociali “organizzate” è quella che per prima s’è posta di fronte al problema in maniera complessiva. Ossia dando vita, da un lato, a innumerevoli iniziative concrete - in molte realtà locali le uniche peraltro esistenti - e, dall’altro, sviluppando alla luce del Vangelo una riflessione a tutto campo. Ma se le prime sono figlie della seconda, l’impressione è che questa riflessione resti tuttavia chiusa non nelle sagrestie, ma in circoli ancora più ristretti. E che, dunque, pur chiaramente segnata da una spiccata venatura solidaristica, l’opinione ecclesiale sulle migrazioni finisca per appiattirsi sulla genericità dell’opinione pubblica senza riuscire a influenzarla e neppure, forse a scalfirla.Si aprono, a questo punto, una serie di interrogativi decisivi. Perché ciò avviene? C’è una carenza di comunicazione interecclesiale? O si è incapaci di comunicare con la società? Oppure sono gli stessi valori di accoglienza, di dialogo, di fraternità, a trovare difficilmente cittadinanza all’interno della comunità ecclesiale quando si parla di migrazioni? C’è una carenza di capacità pedagogica, o poca disponibilità all’ascolto?L’elenco delle domande potrebbe continuare, ma il punto, ovviamente, sono le risposte. Perché, alla fine, la ragione della fondamentale non-esistenza di un’opinione pubblica intraecclesiale sulle migrazioni sta nella somma di ragioni che tutte queste domande interrogano. Forse perché per troppi anni, in passato, la pastorale dei migranti è apparsa alla comunità quasi una specie di esercizio intellettuale con una sorta di risvolto caritativo. Rovesciare questa sensibilità è, oggi, la sfida che aspetta i cristiani.