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La Svizzera e i progetti d'integrazione


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/02


di Vittorio Gazerro
In occasione del congresso di Lugano (28.02-02.03.02; cfr. Dossier di SM 2/02), organizzato dall’Associazione Amici di Mons. Eugenio Corecco e dall’Unione giuristi cattolici italiani dedicato al tema delle migrazioni e del pluralismo religioso, con la partecipazione di insigni relatori (tra gli altri Romiti, Formigoni, Card. Ratzinger, il Vescovo di Lugano, Giuseppe Torti, J. Daniel Gerber), sono stati affrontati temi molto importanti riguardanti la politica verso gli stranieri in Europa, dagli interrogativi di natura filosofica e teologica ai problemi della povertà e disuguaglianza, dalla tolleranza alla globalizzazione, alle esperienze d’integrazione attuate in questi anni nei Paesi europei.A Lugano si è avuto conferma del fatto che le migrazioni non sono da considerarsi un fenomeno transitorio, ma costituiscono ormai un dato di fatto con cui le società occidentali, industrializzate e ricche, dovranno continuare a tener conto a confrontarsi, cercando di dare soluzioni efficaci e possibilmente concertate tra i Paesi interessati ai fenomeni migratori.In questo ambito, nonostante alcune modifiche da operare, la politica svizzera di integrazione è stata indicata a modello, considerato che la Confederazione ha saputo garantire la convivenza pacifica della popolazione locale con le varie componenti straniere.Attualmente in Svizzera la popolazione straniera sfiora il 20% (19,70), alla fine del 2001 erano 1.419.095 gli stranieri, di cui 1.073.303 in possesso di un permesso di domicilio (B), mentre il resto (346.792) ha un permesso annuale (C).Alla popolazione straniera i poteri amministrativi locali hanno dedicato una serie di interventi che, superando l’ottica degli enti assistenziali privati, divenuti una priorità a livello politico, sono stati assunti in modo istituzionale dalla Commissione Federale per gli stranieri (EKA-Eidgenössische Konsultative Ausländerkommission) di Berna. Così per la prima volta la Confederazione ha stanziato in favore dell’integrazione 10 milioni di franchi per il 2001 e 12 per il 2002.Il modello elvetico, a parere degli esperti convenuti a Lugano, ha funzionato meglio degli altri grazie alla struttura federalista che ha lasciato ai Cantoni la gestione del problema e grazie anche ad una certa predisposizione alla diversità data dalla natura multiculturale della Svizzera.è però chiaro che il Consiglio Federale non può attuare una politica senza considerare le opinioni popolari (diversità tra Cantone e Cantone) e la conseguente sensibilità per il fenomeno migratorio. In relazione a ciò c’è da tener presente che nei prossimi mesi saranno presentate in Svizzera alcune importanti iniziative politiche: una nuova legge sugli stranieri, una nuova legge sul lavoro nero, una nuova legge sulle naturalizzazioni e un nuovo dispositivo sul diritto d’asilo.Si tratta di scadenze improrogabili per la società svizzera, viste le continue pressioni migratorie dei nuovi gruppi etnici verso la Svizzera, determinate dalle grandi differenze del livello di vita tra Nord e Sud, dai conflitti ed elevata natalità presenti nei Paesi del Terzo Mondo.Certamente, tenendo presente le valutazioni del Consiglio Federale, dell’EKA e dell’Istituto di studi mediterranei di Lugano, il modello svizzero di integrazione è l’esempio più riuscito di società democratica multinazionale.è un modello unico, non esportabile, ma che deve essere conosciuto dagli altri Stati europei, anche in considerazione del fatto che gli Stati Uniti come la Francia, in riferimento ai recenti avvenimenti, hanno avuto scarso successo con quanto da loro realizzato nel settore dell’integrazione degli stranieri, a causa dell’incapacità di distinguere tra etnicità e nazionalità.Certamente la struttura federalista della Confederazione ha permesso la realizzazione di molti progetti d’integrazione, tutti programmati ed adeguati al contesto locale ed alle esigenze espresse dai gruppi etnici interessati.Come previsto, il maggior numero di iniziative si sono realizzate nei Cantoni di lingua tedesca dove maggiore è la presenza di lavoratori stranieri, da Zurigo ad Aarau, da Coira a Lucerna, a Basilea a Winterthur.Con il motto “Da und dort Leben in zwei Welten” nel Cantone Aarau gli immigrati provenienti dall’Italia, Germania, Ungheria, Turchia e paesi dell’ex Jugoslavia hanno avuto modo di presentare in diverse mostre itineranti la storia della loro vita, con foto, oggetti vari e testimonianze, da quando sono partiti dal loro paese all’arrivo in Svizzera, all’impiego nel settore lavorativo affidato. In quest’occasione vengono attuati ed approfonditi i temi riguardanti i diritti accordati agli stranieri, la politica d’integrazione esistente in Svizzera, gli stereotipi emergenti da una parte e dall’altra nei due mondi culturali, l’autoctono e lo straniero e, segnatamente, nel mondo del lavoro, la fabbrica.Ed è proprio a questa realtà, “der Betrieb” che nel Cantone di Zurigo il G.B.I. (Gewerkschaft Bau und Industrie), Sindacato dell’industria e delle costituzioni, ha realizzato alcune iniziative in favore dei lavoratori immigrati: incontri di informazione e formazione, corsi di tedesco di vario livello, corsi di fine settimana per approfondire il contesto socio-industriale svizzero utilizzando le sei lingue dei gruppi etnici più numerosi (italiano, spagnolo, portoghese, serbo-croato, albanese, turco).Il progetto del GBI intende fornire un’adeguata formazione ai lavoratori stranieri, in modo da promuovere conoscenze e competenze utili al loro lavoro professionale ed al conseguente attivo inserimento nel settore di attività.In questo ambito un ruolo fondamentale è svolto dalla padronanza della lingua locale, finalità sostenuta nel Cantone Coira col progetto “Das Tor öffnen” (aprire la porta) e sempre a Zurigo da quello denominato “Deutsche Konversation” rivolto prevalentemente alle donne immigrate su iniziativa del KERS (Hjlfswerk der Evangelischen Kirchen Schwejz), un’associazione molto impegnata nell’assistenza sociale alle famiglie immigrate.Le iniziative del Cantone Lucerna si sono rivolte da una parte a sostenere col progetto “Integration dank Partizipation” il coinvolgimento degli immigrati albanesi alla vita culturale e sociale del territorio utilizzando anche animatori per il tempo libero, dall’altra con il progetto “Fort und Weiterbildung” si è voluto intervenire verso gli immigrati della prima generazione (arrivati negli anni ‘50 e ‘60), in maggioranza spagnoli che, anche dopo il pensionamento, intendono rimanere in Svizzera.Il sostegno dell’EKA è stato decisivo perché il gruppo spagnolo, pur contando nella Svizzera tedesca di una presenza di 152 associazioni, da anni non riusciva ad organizzare iniziative formative di tale livello per i connazionali che avevano terminato il loro ciclo lavorativo.L’utilizzazione del tempo libero a scopi formativi e la partecipazione degli immigrati alla vita sociale e culturale locale, comunale o cantonale, costituiscono ulteriori aspetti dell’integrazione che la EKA di Berna ha tenuto conto nel sostenere i progetti dei diversi gruppi etnici, in particolare delle donne che, per molteplici condizioni di vita, rimangono lontane e spesso escluse dalle iniziative locali finalizzate all’informazione e all’integrazione.Per favorire questi contatti sociali l’associazione “Johanna” organizza da maggio a settembre nella città di Basilea corsi di lingua tedesca per le donne immigrate da 41 Paesi. “Lernen im Park” è il progetto finanziato dall’EKA con 14 corsi di alfabetizzazione e di conversazione che si svolgono nei giardini della città, proprio nel tempo della giornata in cui le donne possono essere libere o vi si trovano già con i propri figli.Per facilitare ancora i contatti tra le donne immigrate e la città si sviluppa a Basilea il progetto “Deutsch und Integration im Quartier” che intende offrire adeguate conoscenza della società locale per “eine integrierte Mutter” che diviene così una mediatrice culturale tra la famiglia e l’ambiente di vita e di lavoro, in primo luogo il quartiere di residenza. Infatti i contenuti del modulo progettuale riguardano quattro temi: il mio quartiere, l’ecologia e il traffico, la salute, la formazione e l’uso del tempo libero.Un progetto d’integrazione che intende utilizzare quotidianamente i luoghi d’incontro degli immigrati è quello di Zurigo, promosso dal Club basket Korac su “Sport und Integration”, con squadre svizzere e giocatori d’origine straniera che partecipano insieme a campionati locali o cantonali.Dallo sport a servizio dell’integrazione si passa ad un altro progetto nominato “Bus” come mezzo che intende facilitare l’incontro tra i giovani immigrati. Si tratta di un bus a due piani messo a disposizione del centro per il tempo libero della città di Martigny (Vallese) che si sposta periodicamente vicino alle scuole, discoteche, supermercato, centri sociali, musei. Il “Bus” vuole essere un invito all’incontro, un ponte tra le tradizionali attività di tempo libero e le esigenze dei nuovi gruppi di giovani che possono discutere e prendere iniziative culturali. Questa stessa finalità emerge in un recentissimo progetto finanziato sempre dall’EKA ed organizzato dall’Ufficio scuola di Biel su “Sprache zwischen Elternhaus und Schule”, in cui la lingua locale diviene tramite i giovani un mezzo di collegamento tra la famiglia emigrata e la scuola, al fine di chiarire le difficoltà dei rapporti tra scuola, genitori e figli.Il coinvolgimento delle famiglie nei programmi d’integrazione si ripropone in Ticino nel progetto “Genitori, figli e operatori in una nuova realtà”, promosso dal DFP-Dipartimento della formazione professionale e della cultura del Cantone.Il progetto si rivolge ai genitori dei giovani stranieri iscritti nelle classi del pre-tirocinio d’integrazione e ai responsabili dei centri di accoglienza e delle associazioni umanitarie. Il pre-tirocinio di integrazione, ponendosi tra la scuola dell’obbligo e la formazione professionale, comprende un corso annuale di formazione (a tempo pieno) destinato a ragazzi stranieri in età tra i quindici e i ventuno anni, residenti nel Cantone e giunti da poco in Svizzera per ricongiungersi con il proprio padre e/o madre.Alla fine dell’anno di pre-tirocinio la maggior parte dei giovani sceglie la via dell’apprendistato, mentre una minima parte continua gli studi accedendo a scuole a tempo pieno quali scuole di commercio, licei o istituti d’arte.Il corso di italiano, che accompagna lo studio di alcune materie, si sviluppa nel corso dell’anno intorno a tre tematiche basilari: la conoscenza di sé, del mondo del lavoro e del territorio con le sue strutture sociali. Il piano di attività tiene conto dell’approccio interculturale e cura molto il piano relazionale.Il progetto del Ticino mette in evidenza alcuni tratti comuni con gli altri progetti d’integrazione sostenuti dall’EKA di Berna. Nella coincidenza di due importanti comuni condizioni, l’area adolescenti e l’area stranieri, tutti i giovani immigrati dei vari gruppi etnici, dagli italiani agli slavi, dagli spagnoli agli albanesi, ai turchi, mettono in evidenza nel loro rapporto con la società locale situazioni di incertezza rispetto al sé, all’identità maschile e femminile ed alle conseguenti relazioni ed inadeguatezza dei valori di cui sono portatori i genitori.Ne derivano problematiche conflittuali tra genitori e figli (tra generazioni) e situazioni cariche di tensioni difficili da gestire e affrontabili solo se - come avviene nelle iniziative sostenute dall’EDK - c’è nel progetto la presenza di un’organizzazione sociale o culturale (scuole o uffici scolastici o sindacati) che possono con la loro presenza e conoscenza della problematica far fronte alle diverse difficoltà e aspetti organizzativi.Un fattore presente in tutti i progetti, e che per la sua significatività va considerato in tutte le esperienze d’integrazione è rappresentato dal fatto che i giovani apprendendo la nuova lingua (nel nostro caso tedesco, francese, italiano) apprendono contemporaneamente tratti culturali del vivere sociale che sono in contrasto con quelli del loro paese d’origine e con quelli veicolati dai loro genitori, più cauti in genere ad accogliere caratteristiche ed usi del paese d’accoglienza. è un aspetto importante per la formazione dell’identità del giovane immigrato e per il suo processo d’integrazione.Ciò è emerso non solo nel Ticino, ma anche nei tre progetti organizzati per accelerare a Ginevra l’integrazione dei giovani della diaspora albanese, con l’autorevole intervento dell’UPA (Università Popolare Albanese), come già evidenziato dai recenti rapporti della Commissione Federale degli Stranieri (EKA).Da non trascurare anche per le future iniziative in favore dell’integrazione è un altro fattore emergente relativo alla decisione o meno (e fino a che punto) di conservare da parte dei giovani immigrati la cultura del paese di provenienza. In questo quadro rilevante è il ruolo della lingua materna e il suo riconoscimento nella scuola locale.L’insieme dei progetti EKA di questo anno stanno mostrando che la cultura e lingua d’origine rappresentano una situazione forte, sentita molto all’interno della famiglia e che va adeguatamente valutata e valorizzata riconoscendo il ruolo dei genitori nella formazione dei figli. Di quest’ultimo aspetto l’EKA ha compreso il rilevante significato, rivolgendo una particolare attenzione alla partecipazione delle donne e della madri immigrate alle iniziative d’integrazione, attenzione che prima d’ora non c’era stata, come non c’era stato un interessamento alle condizioni generali della famiglia immigrata in Svizzera. Quest’attenzione è stata sollecitata anche dai recenti documenti elaborati dalla EDK - la Conferenza svizzera dei direttori della pubblica istruzione - in relazione al ruolo fondamentale della famiglia per il successo scolastico dei giovani d’origine straniera.Pertanto fondamentale rimane il ruolo che i genitori possono svolgere nell’accompagnare e consigliare i figli nella delicata fase della formazione integrale della loro personalità e del successivo orientamento scolastico e professionale.Il bilancio di quest’anno di progetti per l’integrazione sostenuti dall’EKA - progetti che possono essere assunti come modelli ed essere realizzati anche in altri Stati europei per le stesse finalità - è senz’altro positivo ed incoraggiante, come hanno riconosciuto le stesse associazioni e gruppi di emigrati presenti in Svizzera.Occorrerà certamente investire più risorse a livello federale e cantonale per diffonderli maggiormente sul territorio elvetico, rivolgendosi non solo alle grandi città, ma anche a quelle località dove forti e numerose sono le comunità straniere.Come risulta dalla varietà delle tematiche affrontate e dall’articolazione dei progetti nelle realtà locali, il piano delle iniziative per l’integrazione dell’EKA va proseguito ed esteso, in modo da coinvolgere più gruppi etnici. Così potranno crescere oltre le competenze linguistiche quelle culturali e sociali che rendono efficace e concreta l’integrazione degli stranieri nella società elvetica.