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Il Convegno Nazionale degli operatori pastorali tra i Rom e Sinti


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/02


di Pinuccia Scaramuzzetti
Dal 14 al 16 giugno 2002, a Verona presso la sede del CUM, religiose/i, laiche/i, sacerdoti diocesani impegnati nella condivisione di vita, nella catechesi o più semplicemente nell’amicizia con sinti e rom, più di novanta persone in tutto si sono incontrate in convegno per verificare la qualità della loro presenza di evangelizzazione. Il tema affrontato: “Quello che lo Spirito dice alle Chiese (Ap. 2,7). Comunità cattoliche e vangeliste: un bilancio”.Il motivo contingente che ha indotto a scegliere questo tema è il fatto che alcuni operatori pastorali si sono trovati a vivere “la conversione” di amici sinti che si sono fatti “vangelisti”, cioè hanno aderito al movimento evangelico pentecostale tzigano.Sono passati circa dieci anni e più ed è sembrato giunto il momento di una verifica generale: qual è l’atteggiamento degli operatori cattolici, come si collocano i sinti vangelisti rispetto a loro, quale riflesso ha avuto questo fatto su sinti e rom cattolici.E sembrato opportuno anche avvalersi della collaborazione di due persone esterne a questa pastorale, ma preziose per la loro competenza: lo psichiatra dott. Fabio De Nardi e il biblista don Augusto Barbi, che hanno tenuto due interessanti relazioni su temi più ampi, ma sempre in qualche modo attinenti all’argomento considerato.Don Piero Gabella, direttore dell’Unpres (Ufficio Nazionale per la Pastorale tra i Rom e Sinti), ha aperto il convegno con un breve benvenuto, esprimendo la sua preoccupazione per il clima di emarginazione sociale in cui certi gruppi, come i rom e i sinti, si trovano a vivere e anche per il calo dell’attenzione pastorale in alcune regioni soprattutto del centro e sud Italia. Quindi è stata data lettura del saluto inviato da S.E. Mons. Hamao, presidente del Pontificio Consiglio per le Migrazioni, e da S.E. Mons. Betori, segretario della CEI. A lavori iniziati, è venuto a salutare i convegnisti il vescovo di Verona, Padre Flavio Carraro.Il contributo di S.E. Mons. Belotti, membro della CEMi incaricato del settore Rom e Sinti, è stato riservato alla liturgia di apertura venerdì sera che, preparata dal gruppo piemontese, ruotava intorno al tema di Ezechiele: “cuore di pietra - cuore nuovo”.Mons. Chirayath, del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, ha presieduto l’Eucarestia del sabato, animata dalle Piccole sorelle di Gesù, mentre mons. Petris, Direttore Generale della Migrantes, ha tenuto l’omelia nella Messa conclusiva della domenica, animata dal gruppo della Toscana.Il primo pomeriggio del convegno è stato dedicato a testimonianze di persone che, dopo un percorso di condivisione di vita cristiana con amici sinti o rom, si sono trovate ad osservare il loro cambiamento di rotta: un modo diverso di vivere il cristianesimo. L’appartenenza ad un’altra Chiesa con la coscienza di iniziare solo in quel momento la sequela di Cristo. I rapporti si sono fatti freddi e solo successivamente l’amicizia è stata ritrovata, è nata la consapevolezza in entrambe le parti, cattolici e vangelisti di vivere esperienze affini, di poter condividere dei momenti di fede, di potersi comunicare dei contenuti. E quanto hanno espresso le Piccole sorelle di Gesù accampate a Bologna e G. Gabrieli di Mantova narrando il loro vissuto, che comprendeva, in più casi, la comune preghiera accanto ad un malato, lo scambio sulla Parola.Due preti cattolici, don Mario Riboldi e don Francesco Cipriani, hanno narrato i loro rapporti con i pastori pentecostali. Rapporti improntati alla diffidenza, minati da un giudizio pesante all’inizio, recuperati attraverso la stima e l’amicizia poi. Don Francesco ha raccontato gesti pubblici di fratellanza da parte dei pastori: abbraccio durante un funerale “vangelista”, ascolto dell’omelia in chiesa e partecipazione alla preghiera durante un funerale cattolico.L’ultimo intervento era una riflessione della sottoscritta sul modo dei roma cattolici di vivere la loro religione e la distanza-vicinanza con i vangelisti e i gage cattolici. Il percorso “altro” dei sinti “vangelisti” è stato infatti l’occasione per riflettere sul differente modo di vivere la fede dei romora cattolici rispetto alla comunità di gage con cui vivo all’interno del medesimo accampamento, differenza che non è sinonimo di inferiorità, ma piuttosto di differente cultura, diverso modo di vivere l’umanità, Un’affinità fra questi roma e i sinti “vangelisti”, forse proprio per l’appartenenza culturale, è nell’importanza attribuita alla preghiera di guarigione.Le testimonianze sono state ascoltate con attenzione, direi quasi con emozione, dai presenti che rivivevano in quanto narrato l’esperienza di chi parlava ma anche, in molti casi, il loro stesso vissuto.Sabato mattina Cristina Simonelli ha introdotto le relazioni sottolineandone il doppio binario: “da una parte De Nardi offre un contributo su un tema particolare, ma fondamentale, come quello della dinamica psicologica della preghiera che nasce in un momento così profondo e delicato per ogni uomo e donna come quello del pericolo, della malattia e della vita minacciata, dall’altra don Barbi propone una riflessione biblica su un tema largo come quello dello Spirito e il processo di discernimento nella comunità ecclesiale”.Don Augusto ha commentato tre testi di Luca in Atti in cui si mettono a fuoco dei conflitti che sorgono all’interno della comunità, il discernimento attuato, le modalità di soluzione trovate.Si tratta di At. 6, quando vengono scelti i sette per servire alle mense e si accenna alla distinzione fra ellenisti ed ebrei; At. 10, in cui si narra l’incontro fra Pietro e Cornelio, dove il contrasto è tra ebrei e pagani, At. 13, dove si descrive il concilio di Gerusalemme e la diatriba riguarda la circoncisione o meno dei pagani.Luca usa questo criterio: mette in luce un elemento del conflitto che ne sottende molti altri, è interessato al processo per cui il conflitto viene risolto e questo fatto diventa un elemento di crescita per la comunità. L’accordo non è nel compromesso, ma su un piano più alto, nel discernimento operato con criteri teologici, in un clima di corresponsabilità dove tutta l’ecclesia è coinvolta per giungere a decisioni operative condivise.Fabio De Nardi parlando della preghiera ne sottolinea la duplice valenza: il punto di vista dello psicologo e quello del credente e distingue la sua posizioni personale da quella assunta in genere dalla psichiatria. Egli sottolinea non i conflitti fra gruppi, come aveva fatto Barbi, ma i conflitti interiori nel relazionarsi con Dio.Nel pregare ad esempio c’è un’esigenza di genuinità, di depurarci da quelle aree di bugia che ci avvolgono: da una parte è necessaria una grande armonia interiore, d’altra parte può essere proprio la preghiera un aiuto a superare, a uscire dal marasma.La preghiera chiede di decentrarsi rispetto al proprio “io”, ma la psichiatria dice che collocarsi al di fuori del proprio “io” è una manifestazione patologica. Nel pregare ci rivolgiamo al Dio rivelato, ma anche a un Dio molto personale, che rivestiamo delle nostre attese. La nostra preghiera perciò può caricarsi di illusorietà - per il non credente la preghiera di domanda è un atteggiamento di infantilismo psichico -, ma la richiesta insistente perché Dio si convinca che questo figlio ha bisogno del suo intervento è comunque legittima.Questi continui rimandi fra psicologia e religione riguardano la nostra umanità: sta a noi mantenere un equilibrio con umiltà: si tratta di mettersi al di fuori del proprio “io” senza perdersi, tenendo i piedi per terra, umiltà infatti deriva da humus, terra.Le relazioni, insieme alle testimonianze, sono state suggestioni per i lavori di gruppo, che sono stati molto animati, a conferma dell’interesse suscitato dal tema del convegno.Ciascun gruppo ha seguito la medesima traccia e la composizione è stata casuale, cioè non si sono scelti né i compagni, né l’animatore del gruppo.Si rifletteva, a partire dalla propria esperienza, sulla malattia, il pericolo della vita e la preghiera e sul rapporto Vangelisti-Cattolici, vicinanze e differenze. Un secondo momento era riservato alla verifica della propria esperienza alla luce di quanto emerso: diversità, dialogo, successo-insuccesso.Nella tavola rotonda della domenica mattina sono stati riportati alcuni interrogativi o commenti espressi nei gruppi, affidati alle risposte di don Barbi.Egli ha sottolineato che, con il fenomeno dei “Vangelisti” siamo di fronte ad una realtà completamente estranea. Bisogna valutare “il vissuto di fede”, ciò che i teologi chiamano “fides qua” considerando che queste persone si sono aperte ad una fiduciosità nuova, ad una preghiera di abbandono e che alcuni aspetti della loro vita sono cambiati. Anche se per “il contenuto della fede” “fides quae” ci sono delle differenze, vedere gli aspetti che ci uniscono, come la fede in Gesù Cristo, una certa ministerialità, e soppesare le differenze, come un certo fondamentalismo biblico.Il fondamentalismo, non solo quello biblico, è un motivi di chiusura, di limitazione dell’uomo in ogni religione… Gesù è stato così libero da raggiungere i gruppi più marginali. Gli irrigidimenti privano gli altri, ma anche noi stessi di possibilità.Quanto all’accusa di irenismo e influenza new ages fatta alla narrazione di alcune esperienze del primo giorno, don Augusto vi trova piuttosto l’apprezzamento del vissuto di fede di alcune persone.Un commento alla relazione di De Nardi: ciò che egli dice della preghiera sembra l’introduzione alla preghiera cristiana che ci è stata insegnata da Cristo, che si rivolge a Dio come “Abba”; e a quanto è stato detto sui “gesti” di preghiera: non è il gesto in sé ad essere “magico”, ma l’intenzionalità sottesa al gesto e porta l’esempio dell’emorroissa.Alcune risposte all’assemblea concludono il convegno, di cui certamente una è comprensibilmente nel cuore di molti: Perché non siamo stati noi ad essere ascoltati? Perché, pur avendo sentito lo stesso messaggio, certi sinti non si sono aperti ad accoglierlo finché non hanno sentito le stesse cose predicate dai “Vangelisti”?Don Augusto riconosce l’umanità e la liceità dell’interrogativo e riconosce che sono molte le componenti trasversali che rendono accessibile un messaggio, fra le più importanti: l’appartenenza, cioè il fatto che siano i tuoi a dirtelo, e l’emotività che crea sintonia nella comunicazione.Quando l’assemblea si scioglie, l’impressione è che nessuno ritenga che la partecipazione sia stata inutile, né qualcuno dubita che si sia trattato di un convegno sulla pastorale. Direi che ciò che è emerso è che la richiesta dell’annuncio cristiano sia uno dei bisogni fondamentali di questo popolo e che, se un tempo pensare che questa era la priorità di ogni presenza di operatori dell’Unpres fra i rom e i sinti poteva sembrare velleitario, questa occasione ha dimostrato che essa ha quanto mai senso, come l’ascolto, la lettura dei gesti di preghiera la condivisione dell’atteggiamento di figli verso il Padre, il superamento di conflitti per la crescita della Chiesa in mezzo a questo popolo.