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La speranza, incontro con la vita e con la storia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/02


di Gianni Colzani
Due libri hanno, per così dire, profondamente marcato le trasformazioni spirituali del nostro tempo. Nel 1959, E. Bloch scriveva Il principio speranza e poco dopo, nel 1964, il teologo J. Moltmann dava alle stampe la sua Teologia della speranza. Al contrario, nel 1979, H. Jonas pubblicava Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica. Partendo dalla consapevolezza che la persona é un essere che progetta e che continuamente si spinge verso il futuro, i primi autori sottolineavano i temi del progresso e dello sviluppo, nella certezza che l’umanità é chiamata a realizzare le sue enormi potenzialità; una volta svanite le illusioni sul modello di sviluppo tecnologico e l’euforia della modernità, il secondo si accontenta più realisticamente della responsabilità verso chi verrà dopo di noi, del non fare troppi danni.Queste indicazioni bastano per far emergere tutta una serie di interrogativi sul surriscaldamento del pianeta e l’inquinamento, sulla sovrappopolazione e l’ingegneria genetica, sulla fame e gli organismi geneticamente modificati, sulla instabilità dei mercati e la debolezza degli organismi internazionali, sulla mancanza di giustizia e l’aggressività delle religioni, sul terrorismo e le guerre regionali... Non sappiamo dove stiamo andando e questo genera ansia, timore e ripiegamento a difesa dei propri interessi. Per una breve stagione, dopo il crollo del muro di Berlino, si era parlato della fine delle contrapposizioni, di una casa comune e di un mondo armonioso, di un nuovo ordine mondiale; oggi quelle speranze sono state spazzate via e si parla di futuro sulla base oscura e angosciante di rischi costruiti, di uno scontro di civiltà, di un mondo in fuga.In questo contesto la mobilità umana é quasi una cifra del senso di questa vita. Il turismo dei ricchi pretende di trovare altrove quella felicità che non sanno scoprire nella vita reale; l’emigrazione dei poveri insegue un sogno di maggior benessere e dignità che, per troppi giovani e troppe donne, finisce nelle spire stritolanti di una società che, rispettando solo il denaro ed il piacere, ne ha fatto i suoi idoli; le guerre regionali con la fine di esperienze di convivenza ed il conseguente spostamento, forzoso, di interi popoli va ridisegnando il volto dei Balcani, dell’Africa e di certe zone dell’Asia. Lungi dall’intendere il “villaggio globale” come metafora di un’unica grande famiglia e la globalizzazione come la figura di una crescente responsabilità di tutti verso tutti, la nostra multiculturalità é segnata da divisioni che ci rendono stranieri, e anche nemici, gli uni degli altri.In questo mondo in fuga, lo straniero non pone solo problemi di relazioni ma anche di identità; di fronte all’altro non ci si scopre solo aperti o chiusi ma, anche, profondamente diversi da quello che si pensava di essere. Senza scomodare troppo la psicanalisi, si può davvero riconoscere che lo straniero, fuori di noi, fa emergere lo sconosciuto che é dentro di noi: ci si accorge così di essere aggressivi, violenti, per niente accoglienti... In questo mondo in fuga qual’é il ruolo dei cristiani? Devono condividere l’angoscia di tutti e rivolgere al loro Dio il grido del profeta: «sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11) o possono ricavare dalla loro fede una certezza sconosciuta ad altri e mormorare, anche con la bocca nella polvere e l’angoscia nel cuore: «forse c’é ancora speranza» (Lam 3,29)? I cristiani non sono depositari di una conoscenza particolare, non sanno qualcosa più degli altri, non sanno quando e come il regno verrà; credono però che il regno verrà e da questa certezza sul destino ultimo del mondo sono chiamati a ricavarne una profonda sapienza di vita, una sapienza liberante e pacificante. UNA NUOVA FIGURA DI FUTURO: IL FUTURO DI DIOIl sogno cristiano del futuro ultimo é originale ed unico. Del tutto diverso dalle previsioni e dalle anticipazioni che ci vengono offerte dalla scienza. Questa considera il futuro come l’impresa della libertà umana alle prese con l’oggettività del mondo; come una pianta é tutta nel suo seme, così il futuro é tutto nelle possibilità che offre la struttura del cosmo. Il futuro é legato alle possibilità, non-ancora sviluppate, che la nostra libertà saprà cogliere e che la nostra razionalità ci permette di intuire attraverso l’anticipazione e la previsione.Il futuro cristiano non é semplicemente non-ancora, possibilità insita nel cosmo, ma é qualcosa che mi viene incontro come un libero dono di Dio. Il volto cristiano del futuro ultimo e definitivo é il Cristo crocifisso e abbandonato che, mentre si appropria tutto l’orizzonte tragico della storia umana, vi introduce però un modo nuovo ed originale nel viverlo, cioè l’abbandono filiale nelle mani del Padre. La resurrezione rende possibile a tutti, per la forza dello Spirito ed il dono della grazia, il vivere questa esperienza filiale. Questa é la nostra fede: Dio si china sul non-senso assoluto, sulla dignità sfigurata, sulla morte per essere al fianco di tutti, lui che fa rivivere i morti e che chiama ad esistere ciò che non é.La croce di Gesù non é compresa adeguatamente quando é letta solo sulla base della redenzione dei peccati, solo sulla base della soddisfazione; é piuttosto la collocazione della condizione umana in una situazione nuova che, mentre la redime, la rivela a se stessa. In questo senso la croce non é compresa pienamente nemmeno quando é vista come pienezza, come realizzazione di quanto - da sempre - l’uomo va cercando. É piuttosto l’irruzione del novum, di un mondo e di una umanità diversa che proprio dalla pasqua ha origine. Certo vi é sempre la possibilità della ironia di Nicodemo. Come può un uomo nascere di nuovo quando é vecchio? come può l’umanità ricominciare quando la storia ha imposto il valore della forza e della ricchezza? Di fronte a questo scetticismo, la Pasqua va colta ed annunciata come l’inizio del nuovo, come l’inizio della libertà dei figli di Dio.Nasce così il futuro cristiano; non è lo sviluppo delle possibilità del cosmo, non é omogeneo alle potenzialità umane ma é l’ingresso di una autentica novità che sta al di là delle possibilità umane e che è dono di Dio. Questo futuro é qualcosa di unico. Questa speranza non si aggiunge alla fede come un di più ma é nella realtà di quanto crediamo. La memoria Christi non può piegarsi alle pure ragioni del realismo, perché dimenticherebbe il coraggio della speranza, né può rassegnarsi a quelle della forza e del successo, perché dimenticherebbe la croce. É compito della libertà cristiana ricavare da questa novità, da questo singolare futuro cristiano tutte le conseguenze possibili. LA SAPIENZA CRISTIANA DEL FUTURO ALLA PROVALa vita cristiana deve riconoscere la priorità della fede ma deve praticare il primato della speranza: la fede é il primo gesto ma spetta alla speranza animare di valori e di significati la vita. In questo senso, la fede cristiana deve oggi essere di tipo sapienziale, deve cioè liberare dall’angoscia e restituire alla libertà dei figli di Dio. É uno stile, una spiritualità nuova che deve emergere: é lo stile e la spiritualità di chi ha una appartenenza e ne é fiero. «Se l’esistenza umana non é più protesa verso Dio nella speranza e in tale tensione non é sorretta, essa si disprezza non solo sessualmente ma anche nella avidità, nella brama di possesso di ogni genere o anche e anzitutto nella evagatio mentis, nella sfrenatezza spirituale di cui sono sintomi la verbosità del discorso vacuo, l’insaziabilità della curiosità, la ricerca immoderata di distrazioni di luogo, la provvisorietà di chi si sente senza patria e privo di radici» (H. Schlier).In una parola si tratta di rendere ragione della speranza che ci è stata affidata dalla fede, anche se non sempre siamo stati educati a questo. A me pare che siano due i principali campi che si spalancano davanti alla nostra speranza: l’ampio fronte della dimensione tragica della vita a cui va aggiunto il peso drammatico della cattiveria e del male e l’ambito del futuro umano liberamente progettato ed attuato. É in questi campi che deve emergere la sapienza cristiana di un futuro diverso, animato dalla fede.Il primo ambito é quello del male e della dimensione tragica dell’esistenza. Si tratta di un ambito che comprende la morte ed i disastri naturali, la malattia e la sofferenza priva di senso ma, insieme, le tragedie del male: la guerra e la violenza, la ingiustizia eretta a sistema ed il clima intimidatorio, l’oppressione e la violazione dei diritti e della democrazia.La croce ci insegna a riportare la libertà dell’amore là dove il peccato ha spezzato la dignità della prima creazione. Questo comporta il rifiutare di essere felici da soli per cercare e praticare una solidarietà con tutti, specie con gli ultimi ed i bisognosi. Come splendidamente dice Gaudium et Spes 1, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi é di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». La speranza cristiana non può essere svigorita al punto da venir ridotta alla sola salvezza individuale, il cristiano non ha nulla da spartire con le parole di Caino: sono forse io il custode di mio fratello? Sì, Dio ci ha voluti testimoni l’un l’altro del suo amore.Il secondo ambito é quello del futuro umano liberamente voluto e progettato. A questo riguardo dobbiamo distaccarci da una fede nella creazione costruita attorno alla sola onnipotenza; se la pensiamo trinitariamente, allora la creazione, la positività dell’altro in una comunione costruita non attorno ai bisogni ma sulla base del libero e gratuito consegnarsi l’uno all’altro. La stessa incarnazione non va vista come l’affiancarsi della natura umana a quella divina ma come la relazione dinamica in cui Dio si consegna liberamente e per amore all’umanità ed, a sua volta, questa si consegna a Dio. Il cristiano é solidale con un mondo impegnato per il suo domani ma sa anche di non potersi fermare che quando Dio sarà tutto in tutti. La speranza cristiana non é disinteressata al presente ma assume una proposta totale in modo che i singoli avvenimenti liberano la portata definitiva che é all’opera nella storia. La capacità critica va coniugata con la pazienza del costruire e del testimoniare, giorno dopo giorno, un futuro diverso.Per questo la speranza cristiana é radicalmente diversa dall’ottimismo e dalla evasione. Il primo é l’atteggiamento pigro di chi ritiene che, col tempo, le cose andranno a posto da sole e si aggiusteranno da sé; il secondo é il carpe diem, é l’atteggiamento di chi afferra il presente accontentandosi di esso e caricandolo di un senso che non ha. Il primo minimizza il tragico ed il male, il secondo distorce il presente e cancella la responsabilità. In realtà la speranza é la responsabilità di un progetto che riconcilia con la vita e la storia umana e che, per questo, stimola all’azione; la speranza non é ripetizione di un ordine intoccabile ma risveglio per un cammino. «É impossibile entrare in rapporto con l’Assoluto e non portarne per sempre una ferita. Chi crede, chi ha incontrato Dio sa che qualcosa é stato seminato nella nostra terra e sta germogliando nel cuore degli uomini e della storia, sa che dal giorno in cui Cristo si é levato dal sepolcro, nel mondo splende il sole che dissipa ogni tenebra e non conosce tramonto» (Marcel).