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Quali atteggiamenti la comunità cristiana deve assumere per favorire la partecipazione dei disabili ai sacramenti dell'iniziazione cristiana?


Ufficio Catechistico Nazionale - Iniziazione Cristiana e Disabili



Relazione di Don ROBERTO CAMILLOTTI




INTRODUZIONE


Con gratitudine: ... alla mia Chiesa


Sento la necessità di aprire questa relazione esprimendo la mia gratitudine alla Chiesa diocesana in cui sono prete; una gratitudine che scaturisce da questa constata-zione: proprio 10 anni fa, per realizzare l’impegno di "presentare indicazioni pastorali e ordinamenti liturgici che rispondano in modo più adeguato all’impianto della vita cri-stiana nelle situazioni del nostro ambiente"(1) iniziava la ricerca di risposte alle do-mande "Come piantare in maniera genuina ceppi di nuove vite cristiane ? Come garantire lo sviluppo dall’inizio battesimale alla maturità ..." (2) ma non solo; si poneva il problema dell’ammissione ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana dei bambini disabili e dei bambini e ragazzi con problemi psichici.
Con questa attenzione particolare la Chiesa vittoriese affermava che "L’ammissione degli handicappati psichici non solo alla Cresima, ma anche all’eucaristia, pone in risalto che tutti i battezzati per mezzo dell’eucaristia vengono pienamente inseriti nella Chiesa, corpo mistico di Cristo" (3).
Certo, sono consapevole che non basta aver scritto delle indicazioni pastorali per vivere un modo nuovo di essere e fare Chiesa; mi sembra però importante che nella di-sciplina della Chiesa ci siano delle indicazioni, doverose per tutti, che non sono gesti di favore o deroghe alle norme vigenti ma espressione di una verità radicata profondamente nel Mistero della Chiesa stessa. Sono indicazioni, quelle presenti nel Direttorio per l’iniziazione cristiana della Diocesi di Vittorio Veneto, che attendono ancora una piena e più ampia realizzazione (4) ma, oltre che orientare in modo concorde le attenzioni pasto-rali, hanno impedito almeno il verificarsi di situazioni di emarginazione in occasione della celebrazione dei Sacramenti.


... Ai giovani-adulti, ai ragazzi e ai bambini incontrati


Ne ho incontrati tanti in questi anni.
Ho vissuto co
n
loro momenti di ricerca, di preparazione e celebrazione dei Sa-cramenti, brevi itinerari catechistici, grandi pellegrinaggi, momenti di vacanza e momenti di ascolto dello Spirito.
Grazie al Signore perché il loro desiderio d’incontro, di comunione e di comunità è stato una molla che ci ha spinti - è più bello cercare insieme! - ad ascoltare con più at-tenzione, a cercare con più fantasia, a proporre con più coraggio momenti, strumenti ed occasioni per vivere la gioia e la bellezza di essere Chiesa; non Chiesa di settore, non Chiesa per disabili, ma solo Chiesa!
Non siamo stati insieme a sognare perché "i sogni da soli non conducono a nulla se non alla disperazione" (5), ed è facile, facilissimo in certe situazioni, sognare e far sogna-re... ma siamo stati insieme a costruire piccoli progetti di comunità cristiana.
In molte di queste persone è forte la richiesta di essere Chiesa, di sentirsi parte viva di un Corpo che, pur essendo composto di molte parti, di tutte si avvale e in tutte fa pulsare la vita. E non penso solo a quanti possono esprimere esplicitamente con la parola o con altro linguaggio questo bisogno ma anche a tanti altri in cui l’appartenenza ad un Corpo più grande del loro corpo, passa attraverso un abbraccio, un vocalizzo ripetuto, una filastrocca ...
Queste persone che molto spesso, proprio per la loro condizione, non hanno as-sorbito quelle dosi massicce di individualismo e di autosufficienza che tanto caratterizzano la nostra esistenza: scoprire ed accogliere le istanze all’incontro presenti in ognuno di loro ha significato, per me e per altri, ritrovare il gusto e l’impegno di essere Chiesa nella semplicità di un progetto segnato concretamente dalla condivisione reale tra tutti, nel valore della ricerca del Vangelo per dar significato alla vita di tutti, nella preghiera e nell’ascolto della Parola che a tutti parla (6). Senza idealizzare, che l’idealizzazione non è mai un buon servizio alla persona. Ma la scoperta che nel cuore di o
gn
uno, nessuno escluso, si cela una grande domanda di comunione interpersonale e perciò di Chiesa, mi incoraggia e mi spinge a cercare, accogliere, offrire di più. Anche di questo sono grato al Signore!


.... e alla maggior parte delle loro famiglie


Incontrare bambini, ragazzi e giovani disabili significa quasi sempre incontrare contemporaneamente e in modo diretto anche le loro famiglie; famiglie che sono presenti nella vita delle persone disabili tanto da formare una simbiosi di esistenze.
Molte di queste famiglie mi hanno offerto l’immagine viva di una Chiesa che per i propri figli vuole il meglio, anche nell’esperienza di fede. Soprattutto, mi hanno fatto costante memoria della grande necessità di dare spessore concreto, non solo nel lin-guaggio dei segni ma anche nell’attenzione alla vita.
Alle famiglie, e ai genitori in particolare dei disabili, sta particolarmente a cuore l’impegno di una Chiesa che annuncia il mistero della Risurrezione favorendo tutto ciò che fin d’ora contribuisce a dare dignità, a riabilitare, in ogni aspetto possibile, l’esistenza dei loro figli; una Chiesa che "da’ la comunione" favorendo il reale inserimento e la so-cializzazione delle persone disabili (7). I genitori sono particolarmente attenti ad una comunità cristiana che vive sì la vita liturgico-sacramentale con i loro figli ; ma che, proprio in virtù di questa vita condivisa, non trascura ma si fa carico e si rende partecipe di tutti gli aspetti, presenti e futuri, dell’esistenza di questi bambini e ragazzi: tutti coloro che hanno modo di avvicinarsi e di incontrare le famiglie di persone disabili, conoscono quanto pesi su di loro la preoccupazione per il presente e per il futuro.
Sono grato alle famiglie di tante persone disabili perché sono legittimamente "famiglie esigenti": esigono che, che nella loro comunità, il culto e lo stile fraterno di vita siano congiuntamente vissuti nell’unico riferimento a Gesù Cristo. Per me sacerdote, chiamato a trasmettere e pre
sie
dere l’eucaristia queste famiglie sono uno stimolo conti-nuo, talvolta un pungolo, affinché la fedeltà al Signore Gesù che ha detto "Fate questo in memoria di me" (8) sia una fedeltà completa, non solo liturgica (9).
Quante volte, nelle celebrazioni come negli incontri di approfondimento della fede o di semplice e spontaneo dialogo, ho sentito risuonare dentro di me la parola dell’Apostolo: "Andatevene in pace...ma se non date loro il necessario.."(10).
Non che mi si chiedessero soluzioni ! Al sacerdote, all’intera comunità cristiana le famiglie delle persone disabili non chiedono soluzioni e risposte alle domande e ai pro-blemi che caratterizzano la loro vita, chiedono partecipazione e reale condivisione dell’assillo che si portano dentro, chiedono alla Chiesa, comunità eucaristica, di essere "non agenzia di beneficenza che raccoglie e distribuisce, ma gruppo che si coinvolge, condivide, compartecipa, dona.. convinti che solo su questi atti di personali donazioni e di corali collaborazioni Dio interviene e rende feconda l’opera ben al di là delle iniziali possibilità e della consueta immaginazione"(11). Per una comunità cristiana e, in essa, per un prete, chiamati costantemente alla conversione per essere "dentro la storia con il dono della carità", l’incontro e l’ascolto di queste famiglie diventa davvero occasione di grazia e, quindi, motivo per essere grati al Signore!