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Essere Chiesa nel segno delle migrazioni (G.Perego)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/10


“Viviamo in un contesto europeo rinnovato: le migrazioni ne sono un segno evidente, che interpella la Chiesa nella ricerca di nuovi modelli pastorali per vivere la comunione nel cambiamento e nella diversità”. è questo un messaggio chiaro emerso al termine del Convegno dei missionari e operatori pastorali, organizzato a Delémont, dal 25 al 28 ottobre 2010, dalla Coordinazione nazionale Missioni Cattoliche di Lingua Italiana (MCLI) in Svizzera.
Il Convegno si era aperto con una relazione interessante del pastoralista viennese Paul Zulehner, che ha tracciato le sfide che la Chiesa vive in Europa, dove le migrazioni portano nuove storie e racconti religiosi, dove si ricercano esperienze nuove di spiritualità, mentre cresce l’ateismo e l’indifferenza e il cristianesimo rimane ormai una scelta del 10% della popolazione europea, accompagnata spesso da forme di chiusura e di avversione verso il pluralismo.
In questo contesto come cambia la pastorale migratoria? Padre Graziano Tasello ha cercato di rileggere la forma della pastorale migratoria del ‘900 distinguendo tre momenti: una Chiesa accanto ai migranti, è la prima stagione pastorale generata dal magistero sociale di Leone XIII e dei Vescovi Scalabrini e Bonomelli; segue una stagione pastorale che da una situazione di transitorietà diventa permanente, con l’organizzazione della missione; il Concilio Vaticano II inaugura una nuova stagione di pastorale migratoria, che serve la cattolicità della Chiesa, più che in termini quantitativi in senso qualitativo, con nuove scelte di stile; infine un’ultima stagione pastorale, l’attuale, è quella che valorizza le migrazioni come condizione della Chiesa: la Chiesa migrante, pellegrina, che sa incontrare nei diversi luoghi della vita. Una prospettiva interessante di pastorale migratoria, quella aperta da P. Tassello, che interpella anche la Chiesa italiana, ancora ricca di un tassello di Chiesa nel mondo - 4 milioni sono gli emigranti italiani all’estero, quasi la metà dei quali in Europa -, a rileggere la pastorale migratoria ad intra (il fenomeno nuovo e ormai strutturale dell’immigrazione e ad extram (l’esperienza di pastorale dell’emigrazione).
Anche il contesto italiano, come quello europeo, è cambiato. L’abbandono della fede è cresciuto, tanto che il 17% degli italiani non dichiara alcuna appartenenza religiosa, mentre è fortemente diminuita la scelta vocazionale a una vita consacrata (da 30.000 vocazioni al sacerdozio a 5.000) e la ‘parabola del clero’ si fa sentire ogni anno di più, al punto tale che sono ormai 3.000 i sacerdoti stranieri che prestano la loro attività pastorale nelle nostre diocesi. Al tempo stesso un nuovo popolo cristiano è giunto tra noi, da esperienze di Chiese africane, asiatiche e latinoamericane diverse: quasi un milione ormai di cattolici che esprimono una Chiesa in cammino, ma anche missionaria nel quotidiano, anche a partire dalle fatiche, sofferenze, dalla ricerca di una vita felice per sé e la propria famiglia.
Come in questo contesto di ‘missione’, quale è quello italiano, giustificare ancora una volta una missione all’estero, anche tra i fratelli emigranti? A questa domanda possiamo rispondere solo se è maturata in noi una forte consapevolezza europea, anche nel concepire la missione e la cura animarum. Il contesto europeo, nato da un’intelligenza politica di varie personalità cristiane (De Gasperi, Adenauer, Schuman), può essere un nuovo laboratorio di sperimentazione della ‘nuova evangelizzazione’. Occorre, però, superare alcuni modelli chiusi, quasi corporativi, di missione, per una missione che rimetta al centro - come ha invitato a fare il Concilio Vaticano II - la Chiesa locale, valorizzando in essa e non parallelamente ad essa, ogni forma e esperienza di ‘chiesa migrante’.
Occorre oggi sviluppare le intuizioni accennate dalla Istruzione Erga migrantes, che spinge a sperimentare forme di comunione e unità pastorale che mettano al centro sempre la parrocchia nella Chiesa locale, ma aperta, multiculturale, che valorizza la diversità. E nella Chiesa locale, aperta attraverso le parrocchie, possono ancora trovare spazio, le parrocchie personali e le missioni, ma solo al servizio dell’unità e della cattolicità, della santità e dell’apostolicità della Chiesa.
In questo senso, presbiteri, diaconi e laici possono mettersi ancora in cammino anche dall’Italia nel contesto europeo per dare ‘qualità’ a una presenza cristiana che diversamente rischia di scadere in folclore. Un cammino che chiede anche un ritorno, dopo un congruo tempo, per raccontare e valutare, allargare il respiro di una fede che in Europa può ritrovare nuovi spazi e nuove forme per essere credibile.