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Abitare altrimenti: la forza delle pratiche (C.Simonelli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/10


Frasi e comportamenti arroganti e discriminatori certo fanno “scuola”, propagandosi a macchia d’olio e svegliando, si potrebbe dire con Terzani, «il mostro che è dentro di noi» (Lettere contro la guerra). Molte volte dobbiamo tristemente convenire sulla potente “banalità del male” (Hannah Arendt). Siamo però convinti che valga anche il contrario, con dinamiche meno veloci ma capaci di agire altrettanto profondamente.
Resilienza
Tutto questo può sembrare una pia considerazione o un postulato moraleggiante: se qui ci limitiamo poco più che ad affermarlo, possiamo tuttavia rimandare a studi pedagogici che ne parlano con serietà scientifica. è ad esempio il caso delle ricerche sulla “resilienza”: termine desunto dalla fisica dei metalli che indica la capacità di assorbire un urto, in questo caso “un trauma”. Paola Milani e Marco Ius in una recente pubblicazione sugli esiti della Shoà affermano: «Nel nostro indagare abbiamo provato a spostare l’attenzione dal male al bene, da ciò che è morto durante la Shoà a ciò che è nato attraverso di essa: oggi sappiamo che anche nel male Assoluto, nell’esperienza dell’inferno sulla Terra, l’umanità ha trovato un modo di ricominciare»1.
L’idea di base è che la bibliografia, anche quella legata alla più doverosa memoria, narra abitualmente l’orrore, le storie tragicamente concluse. Mancava fino a oggi una bibliografia scientifica che studiasse le storie finite bene, le vicende di chi ha potuto superare il dolore e il dramma, senza “perdersi”, che appunto è stato “resiliente”, perché queste persone non si rivolgono, ovviamente a professionisti “del disagio”. Studiare tuttavia i fattori che hanno accompagnato l’esperienza resiliente può indicare utili piste educative per tutti e, a titolo maggiore, per chi si trova ad accompagnare situazioni di difficoltà, quali quelle ad esempio legate a fughe dalla guerra o dalla fame Le piste educative si sviluppano infatti attorno ai “fattori protettivi”: di essi fa parte anche una situazione in cui varie figure adulte si offrono a creare un mondo di relazioni positive accanto al bambino2.
Scuole e città come laboratori di pace
Seguendo questo tipo di considerazioni si può ritenere che riflettere sulle “buone pratiche” non sia solo strategia consolatoria, ma possa contribuire al loro miglioramento e alla loro diffusione. Che si tratti insomma di questione essenziale in contesto di “progetto educativo”. Che, ad esempio, la scuola elementare di una frazione del vicentino possa passare da essere considerata la sezione da evitare in quanto frequentata da una alta percentuale di bambini “immigrati” a diventare esperienza “pilota” e dunque plesso ambito per la ricchezza dei programmi e della sperimentazione attuata, non è solo il “merito” degli insegnanti e degli adulti, parroco compreso, in essa coinvolti, ma è risorsa educativa e politica di ampia portata3.
Nello stesso senso è doveroso ricordare una festa organizzata in maggio a Milano. Il suo titolo è oltremodo significativo: “Via Padova è meglio di Milano”. Deriva dalla frase di un bambino, che partecipava a un laboratorio di didattica e arte contemporanea, intitolato “Città d’arte”, che comprendeva anche una visita guidata a Via Padova. Siamo già dopo l’episodio conflittuale che ha reso largamente nota la strada anche sui media nazionali come esempio, al solito, di degrado e conflitto etnico tipo “tutti contro tutti”. E questo nonostante varie proteste, comprese quelle di molti abitanti, parroci e vicario della zona compresi, che hanno parlato in quel caso di strumentalizzazione. Bene, il bambino, che abita in un’altra zona della città che per lui è semplicemente “Milano”, interrogato su come gli era sembrata l’esperienza e come gli fosse parsa la via, disse: “Via Padova è meglio di Milano!”.
Così si è perciò intitolata la festa di quartiere aperta alla città (22-23 maggio 2010) organizzata da Vivere in zona 2. Il comitato, che si è proposto come finalità quella di «non agitare le emergenze, ma concorrere a risolverle, [...] ha contribuito a mettere in luce la rilevanza del fenomeno migratorio nella zona; la grande risorsa educativa rappresentata dalle scuole; l’importanza economica di Via Padova, che ormai costituisce una realtà economica integrata e multietnica» [http: www.viapadovamegliodimilano.it: accesso 10/07/2010]. Praticamente la via è stata così valorizzata come «laboratorio multietnico, socioculturale, con risorse umane e materiali disponibili e non pienamente utilizzate o talvolta ignorate». Questi gli obiettivi che il comitato si è prefissato e che ha poi di fatto realizzato nel weekend di festa:
- «offrire un’immagine positiva della via presso la popolazione italiana e straniera;
- favorire l’incontro e la collaborazione delle realtà che in vario modo lavorano per il benessere dei cittadini della zona;
- fornire stimoli, perché l’amministrazione comunale e zonale assuma un ruolo di regia di progettazione condivisa e positiva per la valorizzazione del territorio;
- coinvolgere e sensibilizzare gli abitanti degli altri quartieri, perché (ri)scoprano questa parte di città così ricca di risorse ambientali, culturali ed educative a disposizione di tutti» (idem).
Può valere come commento all’esperienza quanto Calvino scriveva delle Città invisibili:
«è delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto».
Trasformare desideri e paure in laboratori e pratiche è forse la sfida educativa che tutti ci attende nelle complicate città che abitiamo.
 
 
 
1 Paola Milano - Marco Ius, Sotto un cielo di stelle. Educazione, bambini, resilienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010, 9.
2 Paola Milano - Marco Ius, Sotto un cielo di stelle, 259-286.
3 Mi riferisco a Rondò Brenta (VI): speriamo prossimamente di poterci soffermare più ampiamente su questa interessante esperienza.