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Profezia nelle migrazioni (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/09


Durante l’anno 2009 che volge al suo termine la nostra riflessione di fondo si è snodata seguendo un “filo di Arianna” ideale nell’intrigo degli avvenimenti umani, specialmente quelli legati alla mobilità umana, per scoprirvi l’azione divina che dia all’uomo la sua piena dignità e libertà, la sua vera realizzazione: le “cose nuove” che rinnovano davvero.
E così abbiamo richiamato quel messaggio solenne e grondante speranza: “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5), l’innovazione che scaturisce dall’ “uomo nuovo”, Gesù di Nazareth, il cui messaggio genera il rinnovamento di ogni uomo che Lo accetta (SM 1/09), anche del mondo della mobilità umana. Conseguentemente abbiamo poi riflettuto su “innovazione e rinnovamento” (SM 2/09) illuminati anche da Paolo di Tarso per scoprire, soprattutto nelle giovani generazioni dei migranti, i germi di un vero cambiamento più che generazionale, ciò che sarebbe automatico, bensì comportamentale,ossia di promettente novità. Un cambiamento che abbiamo quindi cercato di verificare all’interno della stessa Migrantes e nelle sue relazioni con gli interlocutori offrendo a tutti il rapporto pastorale sulla propria attività nell’anno 2008 (SM 3/09). L’Apostolo Paolo ci ha ancora una volta guidato nelle riflessioni per la “Giornata Mondiale delle Migrazioni 2009” con la sua netta dichiarazione sulla nuova condizione dei credenti nella società ecclesiale: “Non più stranieri né ospiti”, ma tutti membri della famiglia di Dio (SM 5/08).
Proseguendo questo percorso, dobbiamo notare che come il Popolo eletto, prima smarrito nel suo duro cammino attraverso il deserto e poi zoppicante nella sua fedeltà a Dio nella terra promessa, è stato ripetutamente tentato ad involuzioni, deviazioni o tradimenti, così avviene spesso anche nella nostra attuale esperienza di “uomini nuovi” in Cristo. A richiamare allora dalle defezioni più o meno gravi ed a rimettere gli erranti sulla giusta via, Dio suscita uomini secondo il suo cuore dotandoli più di altri dello sguardo penetrante di fede e urgendoli alla testimonianza della verità e della carità. Senza questo servizio, senza la profezia si rischia l’appiattimento quando non il compromesso con il mondo. C’è smarrimento e turbamento. “Non ci sono più profeti tra di noi e nessuno sa fino a quando” è il desolato lamento e la confusione del salmista (Sal 74,9) come anche di Daniele “non abbiamo più…profeta” (Dan 3,33).
E difatti abbiamo bisogno qui e ora del profeta-veggente che dia coraggio e speranza, sicurezza e vigore. Se è vero che qualcuno ha più di altri lo sguardo penetrante di fede, i santi in prima linea, non è men vero che la vocazione profetica è di ogni cristiano avendola ricevuta con il battesimo (cfr. Vaticano II, LG, 35). “Non vi è nessun membro - viene asserito altrove (PO, 2) - che non abbia parte della missione di tutto il corpo, ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia”. Perché se Cristo è il profeta di Dio, il cristiano è profeta di Cristo.
Dobbiamo allora interrogarci come e dove saper cogliere i “semina verbi”, cioè la potenza rigeneratrice di Cristo sparsa abbondantemente nella esperienza umana e non sempre a noi chiaramente percepibile. Ma Gesù ci viene incontro chiarendo: “l’avete fatto a me” (Mt 25,40) quando avete aiutato un affamato, accolto un forestiero, dato una mano al bisognoso. Lo sguardo puramente umano si ferma alle necessità visibili di quell’uomo, lo sguardo di fede vi intravede Cristo ed è spinto a non dare semplice assistenza, ma a rendere un servizio di devozione, a creare fraternità. Nel mondo migrante, icona della “Chiesa pellegrinante”, deve emergere, oggi particolarmente, un forte richiamo di profezia, necessaria al vero rinnovamento nel capo e nel corpo. E non c’è opposizione tra profezia e gerarchia, possono però sorgere difficoltà e incomprensioni tra profezia e gestione.
Il profeta, mosso dallo Spirito, guarda avanti, al futuro (il compimento finale, la pienezza di giustizia) e richiama il passato (l’origine, cioè il piano di Dio) perché il presente divenga conforme (riforma della vita, nella mentalità e nei comportamenti). E per questo mentre ama il peccatore egli odia invece il peccato e mentre soccorre il bisognoso, lo sfruttato, l’emarginato condanna le “strutture di peccato” (Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, n.38) che quelle situazioni creano e le combatte.
Dono di profezia è anche il discernimento sul servizio pastorale etnico oggi in non pochi paesi con le tante indicazioni e situazioni che fanno apparire controcorrente e perdente lo sforzo sincero di salvare il salvabile di una presenza pastorale benemerita cresciuta in altri momenti storici.
E tante altre applicazioni del genere potrebbero, anzi, andrebbero fatte insieme nella preghiera e nella riflessione.
Il coraggio della verità, che nell’ingiusto genera spesso ribellione, è il primo servizio di carità (cfr. Gal 1,10). “Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni!” (Is 30,10), questo chiedono gli amanti del potere, dei comodi, delle ricchezze. Ma Dio chiarisce: “è un popolo ribelle, sono figli bugiardi, figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore” (ivi, 9) e dichiara: “nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza” (ivi, 15).
Il popolo migrante ci sollecita ad uno sguardo penetrante di fede, non alla visione miope della politica gestionale di interessi particolari.