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Innovazione e rinnovamento (S. Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/09


è esperienza comprovata che l’innovazione, sia quella tecnologica e/o strutturale sia la ricerca, porta al cambiamento e di per sé al progresso.
Ma nelle conquiste della scienza e nelle novità tecniche, anzi nello stesso progresso, è insita una ambiguità, di cui bisogna rendersi coscienti per un saggio discernimento, per valutare ossia se si verifichi o meno un vero progresso per l’uomo.
Ne tratta con immutata attualità e indubbia validità il Concilio Vaticano II nella sua “Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo” (Gaudium et Spes, GS, 1965, specialmente cap. III). I progressi in campo tecnico - viene detto - “possono fornire, per così dire, la materia per la promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo ad effettuarla” (GS, n. 35).
Oggi ci sono due parole intangibili, indiscutibili ed indiscusse, accettate quasi come un assoluto, laicità e scientificità. E con queste si sorvola, quando non si irride, su concetti come progresso in umanità o limiti etici a difesa dell’uomo.
Eppure è sempre il Vaticano II a metterci in guardia su come vada intesa una giusta laicità ed una doverosa libertà scientifica.
“Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri... si tratta di una esigenza legittima… anche conforme al volere del Creatore… Se invece... si intende che le cose create non dipendono da Dio… allora tutti quelli che credono in Dio avvertono quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce” (GS, n. 36) A fondamento di tutto sta il principio che “l’attività umana… come deriva da Dio, così è ordinata all’uomo” (GS, n. 36).
Tra l’altro non si tiene debito conto della lezione della storia, anche recente, quando la scienza più avanzata è stata ignobile strumento di sterminio (bomba atomica) o vergognoso servizio al dispotismo umano (esperimenti nazisti).
Scopo di questo numero della rivista è pertanto quello di indicare che “l’uomo vale più per quello che è che per quello che ha” (GS, n. 35). E conseguentemente che la lenta, inesorabile pressione della vita - meglio sarebbe dire del vivente -, espressa in altri modi culturali, porta inevitabilmente ad un cambiamento generale verso una umanità integrata.