» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Il tempo della ricreazione (L. Cantini)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/09


Un tempo a scuola si parlava di “ricreazione”, oggi si usa il termine “intervallo”, nei meeting e a lavoro si parla di “pausa” (pausa caffé, pausa pranzo...); peccato che nel linguaggio comune la tecnica e la funzionalità abbiano avuto il sopravvento sul contenuto: l’uso di un tempo prezioso come quello della ricreazione che non può essere una mera soddisfazione di bisogni fisiologici - andare in bagno, fare merenda - quanto piuttosto la rigenerazione fisica e psicologica, fino a diventare, nell’ambito scolastico, un’attività intensissima e di grande investimento emotivo, momento “liberatorio” delle energie, ma anche di sviluppo della personalità, “di apprendimento” tout court.
Purtroppo recentemente il termine ricreazione ha assunto un significato negativo nell’uso ormai diventato comune dell’espressione sarcastica: “la ricreazione è finita!”, come per dire che è finito il tempo dei “fannulloni”.
Peccato perché la parola “ricreazione” porta in sé una molteplicità di significati positivi proprio per il richiamo dell’atto creativo di Dio ai primordi della storia quando, racconta la Scrittura, ciò che il Padre Eterno ha fatto era “bello”.
La rigenerazione fisica, psicologica e spirituale della ricreazione ha proprio l’obiettivo di riportare l’uomo alla sua bellezza originale, dove il bello non è un mero attributo estetico quanto piuttosto quel complesso di elementi che rendono ogni essere creato armonico con se stesso e con il resto della creazione.
Peculiare è la funzione ricreativa esercitata dal Circo e dallo Spettacolo viaggiante. Non tanto perché queste attività si inseriscono nell’ambito dell’uso del tempo libero, né per l’aspetto ludico o spettacolistico quanto piuttosto nella dimensione relazionale e simbolica.
Non è qui il caso di fare un excursus storico della attività sociale e culturale delle Fiere e dei Saltimbanchi che ha portato il formarsi dei Lunapark o dei Circhi come oggi noi conosciamo, certo è che queste attività hanno una buona capacità di aggregazione e di coinvolgimento delle persone e di tessere relazioni “creative” o “ricreative”.
E vero che nella società di oggi molteplici sono le proposte per “impegnare” il tempo libero sul piano relazionale, sportivo, di spettacolo ma il Circo ed il Lunapark hanno un “unicum” su cui vale la pena dare uno sguardo.
Guardiamo alla Fiera di paese quando i “mestieri”, le attrazioni presentate, si insinuano nelle piazze e per le vie del centro insieme alle bancarelle, bloccando e travolgendo la vita ordinaria di una comunità che così vive la festa; anche la processione religiosa si snoda in mezzo a questa realtà trasformata. Purtroppo questa immagine si fa sempre più rara perché le moderne attrazioni chiedono sempre più spazio, il traffico e la vita di ogni giorno ha le sue esigenze e si individuano zone alla periferia dell’abitato dove montare una cittadella del divertimento. Peccato perché le relazioni della festa iniziano prima dell’apertura delle bancarelle e delle attrazioni quando i paesani incontrano e riconoscono gli addetti dello spettacolo viaggiante che ogni anno tornano per la festa. Sappiamo bene come ogni festa umana abbia una sua ritualità e la reciprocità dell’incontrarsi fa parte (purtroppo faceva parte) di questa ritualità che perdendosi rischia di rovinare un’azione ricreativa importante. Raccontava un ex-gestore di una attrazione, che adesso fa il camionista, di essere stato riconosciuto al bar del paese durante un viaggio. A distanza di anni, chi lo ha riconosciuto, lo ha presentato ai figli e agli amici raccontando con emozione la fiera del paese come era vissuta anni prima.
Se poi vogliamo guardare bene alla “tecnica” del Lunapark scopriamo che le “attrazioni”, la musica, le luci sono soltanto uno strumento, quasi un corollario per una festa che si celebra soprattutto con le relazioni umane di un pubblico che è attore e spettatore allo stesso tempo. La festa non si ottiene puntando affannosamente alla sua ricerca, ma viene incontro, come una sorpresa, a chi è intento a far felici gli altri; la felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio tra cose semplici, forse ingenue, che hanno la capacità di fare emergere quello che siamo, tra le emozioni e il brivido, la fantasia ed il gioco, capaci di svincolarci dalle dimensioni del tempo e dello spazio e farci librare “liberi” in una armonia ritrovata.
L’anima del Circo è proprio la relazione con il suo pubblico che è avvolto sin dall’inizio in quel luogo magico che è la tenda che nasconde e rivela, luogo dell’attesa che si schiude alla gioia. E qui le relazioni si fanno intense: non è solo un fatto commerciale quello dei venditori di ogni tipo che passano tra il pubblico nell’attesa, c’è una sorta di anticipazione della festa, il prologo di quanto avverrà nella pista, e siccome sono gli stessi artisti che accompagnano il pubblico ai posti, che offrono popcorn e bandierine, la loro presenza tra la gente induce a curiosità ed aspettative.
Con l’inizio dello spettacolo inizia la trasformazione, il pubblico e gli artisti: uno scambio di attese, di meraviglie, di doni.
Quando dal trapezio l’agile lascia l’attrezzo confidando che il “porteur” lo aggancerà abbandonandosi alla sua presa, anche il pubblico confida insieme a lui, partecipa in maniera emotiva forte, forse più dell’artista che è allenato e ha provato più volte in tutta sicurezza.
Quando l’artista cerca il suo equilibrio sul filo d’acciaio teso in alto e fa delle cose che sembrano umanamente impossibili, il pubblico si meraviglia e percepisce che non tutto è da relegare nell’ambito dell’impossibile e inconsciamente riafferma la fiducia nelle capacità dell’uomo.
Quando il clown mima le manie e le malefatte degli uomini e arriva a far ridere il pubblico su se stesso, smuove in lui non solo l’umorismo, ma l’umiltà che è porta a quel ridimensionamento necessario per ogni presa di coscienza ed ogni ricrescita.
Quando gli animali entrano in pista mostrano un’armonia con l’uomo e la bellezza che non possiamo dimenticare la descrizione di Isaia che immagina un mondo di pace dove il leone gioca con il bambino. Qui il “bello” della creazione sembra essere dimostrato con leggerezza e diventa quasi palpabile e se gli animali fanno cose che sembrano impossibili per gli animali da diventare quasi umani e gli uomini fanno cose che sembrano impossibili agli uomini da diventare quasi divini, allora tutti potranno capire che Dio è davvero il Maestro dell’impossibile.
Poi quando l’orchestra inizia il “finale” e tutti gli artisti tornano in pista per salutare il pubblico, il cuore degli uomini si fa leggero e torneranno a casa davvero ricreati dal di dentro dallo stupore che gli è stato donato e dalla partecipazione emotiva che sono stati capaci di donare.