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C’è spazio per innovare nelle relazioni umane? (V.Zamagni)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/09


Quando si pensa alla creatività e all’innovazione, viene sempre in mente qualche mirabolante macchina che ci risparmia fatica, ci produce energia, ci porta in giro per il mondo, ci fa vedere le cose anche dove non siamo presenti, insomma, il mondo della tecnologia. Oppure ci vengono in mente le straordinarie conquiste della medicina e della farmacologia, dell’elettronica e delle nanotecnologie. Ma anche la moda ci presenta il nuovo, benché in questo caso sia più un nuovo simbolico e combinatorio che reale. Ma si può innovare nelle relazioni sociali? Argomenterò che non solo si può, ma si deve innovare, non perché l’animo umano cambi, ma perché è il contesto storico a cambiare. Per millenni l’appartenenza ad una comunità è stata l’unica dimensione sociale delle persone e dunque le relazioni si sono stratificate all’interno di questo limite fisico, che ha portato alla costruzione di routine di comportamento, linguaggi, scale di valori riconosciute dai membri della comunità e come tali capaci di generare fiducia e un clima favorevole agli affari e alla convivenza pacifica. Qualche forma di mobilità tra comunità era sempre esistita, ma normalmente era di carattere temporaneo ed individuale e lo “straniero” che passava veniva visto come soggetto pacifico e dunque come ospite da trattare con rispetto, per la sua rarità e la difficoltà della sua posizione (gli spostamenti all’epoca erano assai faticosi).
I movimenti collettivi si avevano invece solo con guerre e questo portava a considerare gli esterni alla comunità come “nemici”. Furono i mercanti i primi a rompere questa estraneità delle comunità fra di loro e poi la rivoluzione industriale ha aperto le porte delle migrazioni di massa a scopi “pacifici”, di promozione economica e sociale. Ma millenni di separatezza pesano e le differenze di mentalità, routines di vita, valori, linguaggi sono lì a generare sospetti, reazioni violente, conflitti e gravi difficoltà di convivenza. Proviamo a vedere se c’è qualche “novità” che ci può aiutare a fare un passo avanti verso una società “multietnica” che riesca a convivere pacificamente. Il tema è assai complesso e svilupperò qui solo tre aspetti.
Il primo è lo studio degli altri. La storia nazionale, la lingua nazionale, la letteratura nazionale, la musica nazionale, l’arte nazionale sono tutte cose che vanno conservate, ma non più ipostatizzate come succedeva in passato, come se esistessero solo quelle dimensioni della civiltà e della cultura. In tal modo si è incentivato l’estraneità, perché quando non si sa nulla degli altri, questi non possono che risultare incomprensibili. Occorre invece trovare spazi nelle scuole e nelle università per le storie degli altri, le letterature degli altri, le musiche degli altri, l’arte degli altri e non solo per le politiche degli altri, che i giornali ormai ci raccontano da molto tempo. So bene che il mondo è grande e non è facile cercare di comprenderlo tutto. Ma si possono fare delle selezioni in base alle vicinanze, ai legami, all’importanza mondiale dei contributi che ciascuna area ha dato allo sviluppo dell’umanità, in modo da far risaltare somiglianze e differenze, successi ed insuccessi, problemi e soluzioni. Così sarà più facile comprendere che le sfide che ogni persona deve affrontare hanno prodotto reazioni diverse anche perché si sono contestualizzate in ambienti diversi; sarà più facile comprendere la path dependence, la dipendenza dal sentiero iniziato che porta ad insistere nella medesima direzione, producendo divaricazioni talora abissali di una civiltà da un’altra, ma anche la possibilità di gettare ponti tra un sentiero e un altro, per cambiare direzione; sarà infine possibile capire che la lotta fra il bene e il male attraversa tutta la storia dell’umanità e dunque si trova un po’ di bene dovunque, mischiato al male. Costruiremo così una società “aperta”, infinitamente più flessibile ed adattabile, e quindi progressiva, di una società chiusa.
Il secondo aspetto è ritenere che la diversità è una ricchezza. Infatti, l’uomo è limitato nello spazio e nel tempo e nessun risultato positivo è privo di difetti o durevole sull’arco del tempo. Quindi, conviene sempre lasciar convivere più soluzioni dello stesso problema nel medesimo tempo, perché queste esibiranno vantaggi e svantaggi che tenderanno a compensarsi, offrendo una migliore possibilità di miglioramento continuo, realizzato enucleando i lati positivi delle soluzioni degli altri e cercando di incorporarli. è noto che riesce a veder più lontano chi “si siede sulle spalle di giganti”, ossia acquisisce il buono che scaturisce dal pensiero e dall’esperienza degli altri, vissuti nel passato o contemporanei, senza restare chiuso nelle sue sole personali capacità di comprensione. Questa “contaminazione” positiva, che taluni definiscono “meticciato”, ha sempre contraddistinto le società progressive da quelle stagnanti, che non vogliono imparare dagli altri e dunque sono condannate a ripetere all’infinito le stesse routines di vita. C’è un bel esempio moderno di modo di far convivere le diversità e questo è l’Unione Europea.
Quando alla metà degli anni ‘80 si volle procedere a costruire un mercato veramente comune, e non solo privo di dazi doganali, si dovette affrontare il problema degli usi e costumi diversi nella produzione di beni e servizi. Non riuscendo a stabilire quale di questi usi e costumi dovesse essere considerato “ottimo”, si decise di adottare il cosiddetto “mutuo riconoscimento”, ossia che tutti i prodotti e i servizi dei paesi della Unione dovessero essere legittimati e lasciati liberamente competere, anche se diversi, purché rispondessero a standard minimi di sicurezza e di dignità del lavoratore che vennero stabiliti. Oggi l’Unione Europea nella presente congiuntura internazionale negativa è un bastione di stabilità, essendo andata più avanti di qualunque altra area nel cercare di valorizzare le diversità.
E arriviamo qui al terzo aspetto: i valori vanno ribaditi, ma universalizzandoli. Tutto ciò che è stato fin qui detto ci richiama alle innovazioni relazionali necessarie in una società come la nostra dove la mobilità è alta e la chiusura delle comunità su se stesse ormai impossibile. Ma vi sono due modi di interpretare queste innovazioni: un modo relativista e uno universalista. Il modo relativista vive la diversità come negazione dell’universalità: tutte le culture e le tradizioni diventano uguali e i valori vengono derubricati al rango di “preferenze”, dando luogo ad una convivenza difficile, in cui la “tolleranza” evita non si sa fino a quando conflitti devastanti. Invece, il miglior modo per vivere bene la diversità è cercare attraverso di essa di far emergere meglio i valori universali di cui ciascuna persona ha bisogno e che ciascuna persona cerca. Nella diversità bisogna trovare quello che rafforza i valori su cui si basa la vita individuale ed associata; la diversità aiuterà a riflettere su di essi, a farne venir fuori il significato profondo, eliminando le “incrostazioni” che si formano sui valori universali a partire dalle culture in cui questi vengono incarnati. Aiuterà, cioè, ad universalizzare veramente i valori universali. Ma guai a perdere la voglia e il gusto di discutere sui valori universali, quei valori, cioè, che valgono per tutti gli esseri umani, perché una società non può funzionare bene senza valori condivisi, che soli garantiscono la fiducia nell’ordinato svolgersi delle attività quotidiane.
Svilupperò un esempio a partire dalla cronaca di questi giorni. Per molti motivi, assistiamo oggi in Italia ad una diffusa criminalità da parte di romeni e maghrebini, tanto che c’è chi ormai identifica tali etnie come perverse, prive di valori. Nessuno ha però ricordato che qualche anno fa le cronache erano piene di notizie criminali che coinvolgevano albanesi e anche allora si era formata un’opinione pubblica che riteneva l’etnia albanese irrecuperabile. Ora gli albanesi sembrano quasi scomparsi dalle cronache criminali e ce li ritroviamo invece nelle aule universitarie, con buoni, talora ottimi risultati, o in lavori specializzati come l’assistenza medica. Che cosa è successo? Costruttivi interventi di politica economica in Albania, anche da parte della comunità internazionale, hanno dato un futuro a tale paese, mentre chi è in Italia ha trovato modo di inserirsi positivamente nel mercato del lavoro italiano e di rendere compatibili i propri valori con quelli praticati in Italia.
Di sicuro, in presenza della diversità occorre riperimetrare gli spazi di libertà individuale, cercar di capire dove collocare il “minimo comun denominatore”, ossia lo zoccolo duro dei valori condivisi, ma è solo dalla capacità di argomentazione del proprio punto di vista e dalla capacità di comprensione del punto di vista degli altri che scaturiranno i compromessi al rialzo e non al ribasso. Mentre la comprensione deriva dallo studio degli altri, la capacità di argomentare deriva dall’aver fatto transitare la “fede” personale in convinzione. E la convinzione può solo derivare dall’abitudine al confronto, dall’evidenza che emerge dal mettere alla prova i propri valori.