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Comunicazione in cose sacre (S.Ridolfi)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/08


 

Il necessario rapporto tra fede e vita pone quotidianamente alle diverse confessioni cristiane (cattolici, ortodossi, protestanti) il problema di come insieme sperimentare la comune fede in Cristo Gesù, salvatore e redentore di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.

Il diapason di tali rapporti è molto ampio: dalla preghiera in comune alla lettura insieme della Parola di Dio; dal battesimo alla consacrazione dei momenti nodali della vita, matrimonio e morte in primo luogo; dal culto comunitario alle scelte di vita impegnata; dai convegni di studio teologico alle campagne per un impegno cristiano nel mondo.

La specificità comunque di questi rapporti di fede e di vita in nome della fede è rappresentata dall’esperienza di grazia attraverso i sacramenti ove il culmine è l’Eucarestia.

D’altronde la ricerca dell’unità piena è imposta dalla precisa, accorata volontà di Cristo la vigilia della sua passione: Padre, ti prego “perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

Se la storia ci ha divisi, la vita deve riportarci alla riconciliazione. Ma non a costo di “offendere l’unità della Chiesa” o di dare “formale adesione all’errore” o di cadere nel “pericolo di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo” (OE, n.26).

Princìpi del Concilio Vaticano II

Siamo entrati con questo nel vivo della questione, “la comunicazione in cose sacre”, che il Vaticano II reimposta e ripropone nel quadro della promozione dell’Ecumenismo (Decreto Unitatis Redintegratio, UR del 21.11.1964), cioè nella ricerca della piena comunione tra Chiese cristiane, particolarmente partendo dalla situazione ed esperienza delle Chiese Orientali (Decreto Orientalium Ecclesiarum, OE del 21.11.1964).

Evitando quindi i pericoli sopra accennati, il Concilio afferma che “la prassi pastorale” conosce molte occasioni e opportunità in cui non viene messa in pericolo né l’unità né l’integrità della fede, le quali anzi vanno in ordine alla salvezza ed alla utilità dei credenti.

è necessario comunque precisare inizialmente che il battesimo costituisce senz’altro la necessaria base di partenza per un comune cammino di fede, ma che questo sacramento fontale ha la sua piena completezza nell’Eucarestia (UR n. 22.). L’Eucarestia a sua volta, sacramentum unitatis, non può essere celebrata insieme se non nella piena condivisione della sua natura di memoria viva di Cristo morto e risorto con la presenza reale, di natura sacramentale, del santissimo e santificante suo Corpo e Sangue. Occorre quindi che al riguardo venga assicurata sia detta credenza sia la legittima continuità del sacerdozio cui Cristo ha affidato questa sua presenza ed azione santificatrice (“Fate questo in memoria di me”, 1Cor 11,24).

Con i fratelli delle Chiese ortodosse, pur non essendo essi con noi in piena comunione,si verificano tutte queste condizioni. Per cui il Concilio stesso nei loro riguardi dichiara “ non solo possibile, ma anche consigliabile” ”una certa comunicazione nelle cose sacre” (UR, n. 15). E quindi a loro è lecito “conferire, se spontaneamente lo chiedono e siano ben disposti, i sacramenti della penitenza, dell’eucarestia e della unzione degli infermi” (OE, n. 27) Reciprocamente anche ai cattolici “è lecito chiedere questi sacramenti da quei ministri acattolici nella cui Chiesa si hanno validi sacramenti” (ivi) qualora ciò si renda necessario per ragioni obiettive, ad esempio l’assenza del ministro cattolico (tra parentesi: questo può verificarsi di frequente per turisti in terra ellenica).

A maggior ragione è permessa, anzi a volte può essere consigliata, la comunione in cose sacre extrasacramentali, come funzioni e preghiere in luoghi sacri e non (ivi).

La comunicazione in cose sacre, in definitiva, dipende da due princìpi: la manifestazione dell’unità della Chiesa e la partecipazione ai mezzi della grazia. Ora, nota il Concilio, “la manifestazione dell’unità per lo più vieta la comunicazione; la partecipazione della grazia talvolta la raccomanda”(UR, n. 8).

Dalle su esposte indicazioni conciliari appare evidente anche la convinzione e l’attesa che una intelligente e cosciente comunicazione in cose sacre con i fratelli orientali da noi ancora separati può preparare ed affrettare la vicendevole piena comunione (ecumenismo dal basso), pur nella saggia preoccupazione di non farne uso indiscriminato appunto in vista del desiderato ristabilimento della unità dei cristiani (UR, n. 8).

Altrimenti va detto per le Chiese di occidente cresciute sulla Riforma protestante. Fermi restando sia la rimozione dei pericoli per l’unità e integrità della fede sia la volontà sincera di cercare ogni via possibile per la piena comunione, la realtà sacramentale con i fratelli protestanti presenta situazioni profondamente diverse che esigono atteggiamenti conseguenti.

Il battesimo, è vero, resta incorporazione a Cristo e pertanto costituisce il vincolo sacramentale dell’unità. Ma esso “ di per sé è soltanto l’inizio e l’esordio” verso “ la pienezza della vita in Cristo” (UR, n. 22), ossia l’ integra professione della fede, l’integrale incorporazione nell’istituzione della salvezza e soprattutto la “ integra inserzione nella comunione eucaristica “ (ivi). Ed è qui il punto discriminante per la verità e al tempo stesso impediente la partecipazione comune all’Eucarestia, in quanto , “specialmente per la mancanza del sacramento dell’ordine”, non si verifica più “la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico” (ivi). La “Cena del Signore” che viene celebrata nelle Chiese riformate, quindi, mantiene il carattere di memoria della morte e resurrezione del Signore, ma non viva della “presenza reale”.

Questi fratelli dell’occidente d’altra parte danno molto valore e spazio alla Parola di Dio, alla comunità orante, all’impegno per la giustizia e carità verso il prossimo, ciò che costituisce un terreno comune di impegno, riflessione e preghiera.

E il recente consenso trovato tra Chiesa cattolica e Federazione Luterana Mondiale sulla fondamentale azione divina della “giustificazione” (Augsburg, 31.10.1999, “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione”) amplifica gli spazi della condivisione nella fede e moltiplica le ragioni del dialogo.

Insegnamento e prassi delle Chiese locali

Il Concilio Vaticano II affida alle Chiese locali il compito di tradurre i prìncipi conciliari nelle eventuali esigenze o situazioni locali, sempre tenendo conto delle direttive date e d’intesa con la Sede Apostolica che ha istituito al riguardo un apposito Dicastero (“Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani”).

La Chiesa italiana è intervenuta con una Nota pastorale del “Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo” su “la formazione ecumenica nella Chiesa particolare”, 2 febbraio 1990. Un documento che fa il punto sulla situazione constatando le”cose comuni” e il molto da “fare insieme” (n. 4).

Ma anche nella sua terza parte (orientamenti pastorali) il documento non entra direttamente nel problema della “comunicazione nelle cose sacre”, se non nella generale indicazione: “...si potrebbe attuare , in certi contesti e tempi significativi, almeno un reciproco ‘scambio di ambone’, per la predicazione e per la presidenza di celebrazioni della Parola, anche se non è ancora possibile il reciproco ‘scambio di altare’ ” (III, 2).

Il medesimo documento riconosce problema “di particolare attenzione” della “sollecitudine pastorale” i matrimoni misti (sui quali una commissione mista stava studiando). Ed a quest’ultimo proposito c’è una intesa ufficiale tra Chiesa cattolica e Chiesa valdese del 25.08.2000 sui “matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti”, chiamata “testo applicativo” con riferimento al precedente “Testo comune” tra le medesime confessioni cristiane concluso e approvato il 16.06.1997. Nella citata intesa a proposito di “comunione eucaristica e comunione della Chiesa universale” viene detto che purtroppo ancora “permangono diversità nell’interpretare questo legame e nel trarne le conseguenze a livello teologico e pastorale” (n. 51), per cui viene detto chiaramente che “non è consentita la partecipazione di cattolici alla Cena del Signore in una Chiesa evangelica, in quanto non c’è il reciproco riconoscimento del ministero ordinato” (n. 50; cfr. anche n. 48 e n. 49).

Le difficoltà per una comune esperienza di grazia sacramentale che permangono non devono però scoraggiare a continuare nella preghiera nonché nella stima ed accettazione vicendevoli a continuare il dialogo e la riflessione teologico-pastorale per superarle, incoraggiati anche dai molti e forti punti di credenze ed impegni comuni.