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Volontariato, anima della società solidale (D. Nicoli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/07


La grande crescita del volontariato

Uno dei segni più positivi della società odierna sta nel numero rilevante e tendenzialmente crescente delle persone che si dedicano al volontariato specie quello di advocacy (patrocinio della causa di persone indigenti, oggetto di ingiustizia) e quello internazionale (ONG).

Questa sollecitudine è tanto rilevante e diffusa da diventare essa stessa una sorta di moda, specie tra le persone con valenza pubblica come attori e cantanti; anche i politici sono sensibili alla prospettiva del volontariato, e non è raro che alcuni di essi dichiarino di voler abbandonare la propria attività per dedicarsi a combattere la povertà in prima persona, con piena dedizione di sé.

La tendenza al volontariato è in contraddizione con il carattere sempre più individualistico e narcisistico delle nostre società, oppure ne rappresenta l’altra faccia della medaglia?

L’economista e sociologo Polanyi1 sostiene che la società individualistica e utilitaristica dell’economia liberale rappresenti una limitazione della spontanea socialità umana: l’economia di mercato e la burocrazia più statalista hanno cercato di estirpare le tradizionali forme di solidarietà tra gruppi primari; a tutto questo contrappone l’importanza del recupero dei rapporti di reciprocità e della redistribuzione.

Egli ritiene che il principio della reciprocità è più antico di quello del profitto individuale e che è più naturale per l’uomo organizzare la società attorno a questo principio, a quello di redistribuzione delle risorse e a quello di economia domestica.

Anche Giddens ritiene essenziale il recupero delle “solidarietà locali” e delle “usanze rituali” da tempo perdute.2

In questa prospettiva, il volontariato sarebbe un movimento che nasce come risposta “riparativa” delle tendenze antisociali dell’economia e dello stato burocratico, facendo leva sulla naturale propensione mutualistica e solidale delle popolazioni.

Toqueville ha invece sostenuto un’impostazione diversa: egli ritiene che in una società democratica occorre mantenere un equilibrio tra le associazioni politiche e quelle “della vita civile”. Se le prime servono a limitare l’azione dispotica della maggioranza o gli abusi di potere, è solo tramite le seconde che i cittadini possono dare un contributo prezioso alla vita della società civile3. Secondo il sociologo francese sarebbe un errore rendere più attivo e più abile lo stato poiché in tal modo i cittadini finirebbero per diventare più deboli ed incapaci.

Toqueville è convinto che, se gli uomini dei paesi democratici non adottassero la pratica di associarsi nella vita ordinaria, la civiltà ne verrebbe compromessa; nello stesso modo la loro libertà correrebbe gravi rischi se non avessero né il diritto né il desiderio di associarsi per scopi politici. “Perché gli uomini restino civilizzati o lo divengano” scrive “è necessario che l’arte dell’associazionismo si sviluppi e si perfezioni nella misura stessa in cui cresce l’eguaglianza delle condizioni”.

La tesi di Toqueville è quindi più ampia e per così dire sistematica rispetto a quella di Polanyi: egli ritiene fondamentale il libero associarsi degli individui al fine di dare consistenza alla democrazia; è vero però che ciò che intende è un fenomeno più esteso rispetto al volontariato, includendo sia l’assistenza e l’aiuto donato privatamente, sia associazioni di mutuo aiuto e per il perseguimento di interessi comuni, inclusi quelli della solidarietà.

Ma c’è un altro filone di pensiero che ci può aiutare a rispondere alla domanda iniziale: quello di Marshall che propone di riconoscere come diritti dei cittadini alcune garanzie essenziali di vita, garanzie sociali oltre che civili e politiche4. Egli ritiene che determinati servizi di sicurezza sociale, di assistenza, di sanità e di altre garanzie per minori, anziani, disoccupati siano da considerare diritti che spettano al cittadino in quanto tale. I diritti sociali non sono tuttavia attuabili solo attraverso l’azione dello stato. Per lui il processo socio-culturale verso la pienezza dei diritti di cittadinanza richiede il contributo anche delle motivazioni individuali, nella forma dell’impegno personale e dell’esercizio dei doveri di cittadini.

Sulla promozione dei diritti sociali non c’è tuttavia, nell’insieme della sua teoria, alcuno spazio di partecipazione volontaria associata, fuori dai canali dello Stato, della politica e dei sindacati. Vi è in questa posizione un altro valore, utile per comprendere il fenomeno del volontariato, quello del riconoscimento dei diritti e del movimento delle società moderne verso l’inclusione dei più poveri e dei più deboli non già come concessione, ma come riconoscimento, anche se viene ridotto lo spazio della partecipazione volontaria ad aspetti statali o di aggregazioni partner dello Stato.

Valori del volontariato: dono e solidarietà

Il volontariato rappresenta quindi un correttivo della tendenza antisociale dell’economia di mercato e dello stato burocratico; esso indica la necessità di una libera associazione dei cittadini al fine di rendere più civile la vita sociale; infine apre la prospettiva dell’allargamento del quadro dei diritti di cittadinanza e quindi dell’inclusione sociale specie dei soggetti più deboli, meno protetti.

Ma tutto questo non dice ancora la natura propria del volontariato. Infatti, alla radice dell’azione volontaria ci sono le scelte etiche, che caratterizzano l’azione stessa e più radicalmente la persona che agisce come volontario. Essere volontario è in questo senso una disposizione dell’animo verso due dimensioni fondanti: il dono e la solidarietà5.

L’idea del dono indica la disposizione a condividere con gli altri, senza condizioni né contropartite, i propri beni ed i propri talenti, innanzitutto l’attenzione ed il tempo. Esso si svolge nella libertà e implica la presenza dei due attori: il donatore e il ricevente. La solidarietà si fonda sul principio della fraternità: una fraternità caratterizzata dall’appartenenza ad una comunità e dall’uguaglianza tra i suoi membri, che a sua volta richiede la fiducia nei propri simili. Essa indica i doveri che derivano dalla consapevolezza di appartenere ad una determinata entità sociale, ove sia stata fatta la scelta morale della soluzione collettiva ai problemi che i membri di questa entità vivono, in alternativa alla soluzione individuale.

Se la solidarietà presuppone l’esistenza di un legame sociale su cui essa si fonda ed è conseguenza di esso, il dono è piuttosto all’origine di un nuovo legame, che può portare ad un sentimento e ad azioni di solidarietà. I due concetti si uniscono nell’idea di un moto di apertura verso l’altro, in opposizione ad un ripiegarsi egoistico su di sé.

Questo ci consente di giungere ad un primo punto rilevante del problema ovvero chiarire la natura del volontariato: “Volontario è il cittadino che liberamente, non in esecuzione di specifichi obblighi morali o doveri giuridici, ispira la sua vita - nel pubblico e nel privato - a fini di solidarietà. Pertanto, adempiuti i suoi doveri civili e di stato, si pone a disinteressata disposizione della comunità, promovendo una risposta creativa ai bisogni emergenti dal territorio con attenzione prioritaria per i poveri, gli emarginati, i senza potere. Egli impegna energie, capacità, tempo ed eventuali mezzi di cui dispone, in iniziative di condivisione realizzate preferibilmente attraverso l’azione di gruppo. Iniziative aperte ad una leale collaborazione con le pubbliche istituzioni e le forze sociali; condotte con adeguata preparazione specifica: attuate con continuità di interventi, destinati sia a servizi immediati che alla indispensabile rimozione delle cause di ingiustizia e di ogni oppressione alla persona”.6

Il secondo punto è sostenuto dal professor Zamagni il quale non mette l’accento sulla gratuità e sostiene che la specificità di un’organizzazione di volontariato sta nella costruzione di relazioni tra le persone. è questo secondo l’economista che differenzia l’azione autenticamente volontaria dalla beneficenza o dalla filantropia. “La forza del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato (…) ma nella speciale qualità umana che il dono rappresenta per il fatto di essere relazione”.7 Ciò comporta che l’azione volontaria costruisce relazioni nuove, improntate a reciprocità, gratuità, solidarietà. Tale azione è pertanto condizione di una società più umana, ne costituisce per così dire l’anima più evidente.8

Qualità del volontariato verso i migranti

Ma c’è una qualità propria del volontariato verso i migranti che consente di arricchire il quadro sin qui presentato: è l’apertura ad altre culture e ad altre realtà sociali, non solo con l’intento di includere, ma di fornire il proprio contributo in vista anche della loro piena emancipazione, affinché diventino anche nel contesto nuovo - come singoli e come comunità - nel rispetto delle leggi e delle convenzioni locali, ciò che debbono diventare, contribuendo a dar vita a forme culturali nuove.

In questo senso, si può dire che, se il volontariato “inclusivo” mira ad aprire il cerchio dei diritti e dei benefici anche a coloro che si pongono in situazioni marginali rispetto alla propria società, il volontariato rivolto ai migranti consente anche di guardare ad altre forme di comunità e ad altre modalità di vita come ricchezza e come rinnovamento della cultura locale.

Certamente, questo tema presenta molte difficoltà. Innanzitutto occorre ricordare che i fenomeni migratori creano sempre reazioni ambivalenti nelle popolazioni di inserimento, anche se si tratta di risorse il cui beneficio va soprattutto a loro vantaggio. Le società a più elevata complessità vivono spesso la tentazione di considerare i migranti come semplici apportatori di lavoro, e non come persone dotate di una propria vita, di propri bisogni, di relazioni familiari e comunitarie.

Il concetto del “lavoratore ospite” risulta quindi limitato e lesivo della dignità della persona poiché indica una prospettiva di inclusione che pone come prezzo la perdita dell’identità culturale delle popolazioni affluenti. Quando si parla di persone e di popoli, non si può pensare in modo meccanicistico, come se si trattasse di inserire un muratore nella squadra, un raccoglitore nel lavoro dei campi, un’infermiera nella corsia dell’ospedale, una badante nelle mura domestiche.

Queste persone non apportano solo forza lavoro (fisico o di cura), ma anche un mondo culturale ed una sensibilità che non possono essere negati.

Vi è quindi, nella costruzione di relazioni volontarie di aiuto nei confronti delle popolazioni migranti, una dinamica di incontro che non rende unilaterale la modalità del dono, ma reciproca, in ragione della quale anche il migrante è in grado di apportare un suo proprio valore distintivo, in qualche modo prezioso per chi lo riceve.

E evidente che questo accade in maniera più feconda solo dopo che sono stati risolti i problemi propri della integrazione, che in un Paese come l’Italia sono spesso aggravati da un tessuto sociale frantumato e dalla debole etica del servizio e del lavoro pubblico. Inoltre va riconosciuto che non raramente questo impatto genera un contrasto su punti decisivi del codice morale e civile proprio del paese ospitante, specie quando l’orizzonte religioso pone posizioni fortemente contrastanti taluni punti di quel codice come, ad esempio, nel modo di concepire la donna, nella distinzione tra religione e politica, nelle libertà individuali, nella giustificazione della violenza.

La strada di un’integrazione che sappia valorizzare gli apporti “buoni” delle comunità affluenti non è quindi facile né scontata.

Occorre evitare da parte del volontariato un certo angelismo buonista, e va condotta un’opera di discernimento che richiede preparazione, ma anche preveggenza circa le conseguenze che certe scelte dettate dall’impulso immediato di solidarietà possono provocare, puntando decisamente su occasioni di arricchimento reciproco che possano trovare maggiore accoglienza e che presentino anche un valore pedagogico per tutti coloro che ne sono partecipi.

 

 

1 K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974

2 A. Giddens, Oltre la destra e la sinistra, Il Mulino, Bologna, 1997

3 A. de Toqueville, La democrazia in America, in Scritti politici, UTET, Torino, 1968

4 T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, Laterza, Bari, 2002

5 J. Godbout, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1993

6 L. Tavazza, voce “Volontariato”, in Nuovo Dizionario di sociologia, a.c. Demarchi F., Ellena A., Cattarinussi B., Paoline, Milano, 1987

7 S. Zamagni, Volontariato ed economia sociale: quale rapporto, Studi Zancan, 1, 2002

8 In effetti, c’è un grande mondo, minore e sconosciuto, di opere di bene che contribuisce in modo altrettanto rilevante alla qualità della vita sociale: si pensi alle persone che dedicano la propria vita all’assistenza di parenti ed amici bisognosi, a chi orienta la propria attività di lavoro al bene ed al servizio pubblico, a coloro che operano silenziosamente per ascoltare le sofferenze, attenuare i contrasti, sanare le ferite…

 

 

 

«...L’uomo infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l’aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna dell’universale famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all’inizio dei tempi, di assoggettare la terra e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nello stesso tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli».

(Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 57)