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Il Beato G.B. Scalabrini e le prime leggi sull'emigrazione (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/05


IL BEATO G.B. SCALABRINI E LE PRIME LEGGI SULL’EMIGRAZIONE

 

di Bruno Mioli

 

Qualche mese prima di fondare l’Istituto dei missionari per gli emigrati italiani, che da lui presero il nome di Scalabriniani, il Vescovo di Piacenza il giugno 1887 pubblicò L’emigrazione italiana in America, un opuscolo che con rapide cinque edizioni ebbe larga diffusione anche fuori d’Italia; vi fa una panoramica generale dell’emigrazione italiana di quegli anni, adducendo con rigorosa precisione fatti e cifre da capogiro, descrivendo con verismo impressionante avventure e sventure di quelle masse in cerca di sopravvivenza, lo spadroneggiare dei “mercanti di carne umana” in ogni angolo d’Italia ma particolarmente nelle campagne del Sud, l’assenteismo dello Stato, le sue proposte di estrema concretezza per rimediare a tanti mali e ridare speranza; urgevano i tempi perché in Parlamento il dibattito sul disegno di legge in materia era alle battute finali. Purtroppo allo spirare di quello stesso anno la legge passava alla Camera e nel gennaio 1988 veniva definitivamente approvata dal Senato. Era la prima legge sull’emigrazione, un’infausta legge per lo Scalabrini. Già da anni egli si batteva per una legge che meritasse questo nome, che fosse di tutela ai più poveri ed emarginati degli italiani, aveva anche creato un fronte di solidarietà e di consensi sui temi di maggiore gravità e urgenza, ma le solite manovre politiche e la prepotenza di chi guazzava con i suoi loschi affari nel disordine e nell’anarchia legislativa ebbero la meglio.

La legge del 1888

Ma quale il nocciolo della nuova legge? Di fatto lo Stato poneva dei paletti per quanto riguardava l’ordine pubblico e la garanzia del servizio militare, per il resto si lavava le mani. Lasciava tutto non al gioco del mercato ma al monopolio delle compagnie di navigazione e, tanto peggio, degli agenti e sub–agenti di emigrazione. Già da tempo imperversavano questi reclutatori di manodopera da sfruttare a buon mercato, da mettere nelle mani dei fazendeiros del Brasile o di altri imprenditori, scorrazzavano per paesi e villaggi promettendo “l’America” e le sue favolose fortune e inducendo a vendere ogni bene e ad indebitarsi per potersi pagare il nolo sulla nave; peggio ancora quando quelle fosche figure promettevano il viaggio gratis o a prezzo di favore, perché il contratto portava la “piccola clausola” che avrebbero pagato con i primi mesi di lavoro in America. Nella legge quasi si taceva della protezione degli emigranti al porto d’imbarco, dell’assistenza sanitaria lungo la traversata, di quanto sarebbe avvenuto allo sbarco e nei giorni successivi, quando si sarebbero sperduti in quelle città straniere che si avviavano a diventare metropoli o all’interno di vastissimi territori, come nel Rio Grande Do Sul o il Parana rimasti ancora terra vergine; mi è capitato di vedere in Brasile un villaggio ancora pressoché intatto di quei tempi, dove gli italiani si insediarono,  in quegli stessi tuguri che fino a pochi anni prima erano le abitazioni degli schiavi. Siamo nel Sud America, dove l’emigrato italiano lavorava per sopravvivere; altri i problemi al Nord, come si lavorava anche per risparmiare e inviare soldi a casa; ma come? Il grosso problema delle rimesse! I nostri connazionali, in gran parte analfabeti, non si intendono di banche, comunque non si fidano delle compagnie americane… non si sa mai. E si illudevano si essere più sicuri rivolgendosi a qualcuna delle banche che portavano nome italiano, inventati su quattro piedi dai “compaesani” (solo a New York nel 1897 se ne contavano circa 150), nessuna delle quali aveva riconoscimento legale. Quante volte, per mille pretesti e scuse diverse, quei soldi non arrivarono mai a destinazione! Già dieci anni prima lo si sapeva, ma nella legge del 1888 sulle rimesse neppure una parola. Molte parole invece sull’obbligo della leva del servizio militare anche per i figli di italiani nati in America, tacciati da disertori se non tornavano in Italia per assolvere all’obbligo delle armi.

Scalabrini non abbandona il campo

Tanta delusione nell’Apostolo degli emigranti, e in chi stava dalla sua parte, per il varo di questa legge, le cui infauste conseguenze continuarono a imperversare fino alla successiva legge del 1901.

Amari i suoi sfoghi: “Questa legge peggiorò la condizione degli emigranti… Le brutte previsioni si verificarono e in forma più grave del previsto”. Un caso fra tutti, ma il più emblematico, cifre alla mano: “Dopo quella legge – sono sempre sue parole – le agenzie di emigrazione salirono a 34, cifra non mai raggiunta per lo addietro; e i sub–agenti nel 1891 salirono a 5172, nel 1896 a 7169”. Si tratta di dati del Ministero dell’Interno, che Scalabrini così commenta: “E’ un vero esercito di arruolatori patentati, stavo per dire parassiti della miseria”. Giungerà il momento che anche eminenti uomini politici nelle aule del Parlamento riconosceranno: “Errammo tutti nel 1888; e non abbiamo ancora compreso che occorrevano provvedimenti di tutela economica e sociale e non soltanto, o principalmente, di polizia”.

Egli però non si limita a lamentare e denunciare, serra le file e riprende la buona battaglia, in forma più sistematica e ampia: percorre molte città d’Italia da Treviso a Palermo per destare l’attenzione dell’opinione pubblica, torna a scrivere opuscoli, fonda la Società di S. Raffaele attivissima particolarmente a Genova, a New York e a Boston, tesse rapporti con gente politica influente, compreso il Ministro degli Esteri. Fa circolare slogan come questo: libertà di emigrare ma non di far emigrare. Si tiene aggiornato, partecipa attivamente a convegni, sollecita e diffonde relazioni stese dai suoi missionari che gli offrono di continuo materiale di prima mano, raccolto sul campo. Di particolare importanza si rivelò il convegno tenutosi a Torino, dove si fece sistematicamente l’analisi  critica della legge ancora in vigore e si formularono nel dettaglio proposte per la nuova legge. Sia detto per inciso che in una di quelle sedute fungeva da segretario Luigi Einaudi, il futuro primo presidente della Repubblica Italiana. Finalmente la nuova legge venne alla luce il 31 gennaio 1901.

I punti qualificanti della nuova legge

“Una buona legge in sostanza”, la definì subito Scalabrini, mentre i suoi stretti collaboratori la salutarono come “la nostra legge”, sia nei concetti ispiratori che nelle disposizioni di fondo. Vediamo qualcuno dei 38 articoli.

– Libertà di emigrazione entro i limiti del diritto vigente (art. 1).

– Chiara e inequivocabile definizione di migrante (art. 6).

– Nomina nei principali porti di Genova, Napoli, Palermo di un Ispettore dell’emigrazione (art. 9).

– Istituzione di Comitati comunali per l’emigrazione con funzione consultiva (vi era incluso sindaco e parroco) (art. 10).

– Obbligo agli armatori di avere a bordo un medico della marina militare (art. 11).

– Istituzione nei Paesi a forte immigrazione di Ispettori che riferissero annualmente a Governo e Parlamento italiano, istituzione di Uffici di protezione, di informazione e di avviamento al lavoro (art. 12).

– Abolizione degli agenti e subagenti di emigrazione (art. 13).

– Erezione di centri d’accoglienza nei porti di Genova, Napoli e Palermo (art. 32).

– Rinvio del servizio militare fin che dura la condizione di emigranti (art. 33).

– Tutela delle rimesse e dei risparmi degli emigranti (con apposita legge del 1° febbraio 2001).

– Altra disposizione prevedeva l’esenzione dal servizio militare dei missionari che si trovavano all’estero e degli allievi di istituti missionari.

Provvidi anche diversi altri articoli. Insomma buona la legge pur con i suoi limiti, anzi a confronto della precedente la si può dire ottima.

Attuale oggi quell’antica legge?

Si è di fronte a una legge buona per il suo tempo, naturalmente non la si può dire valida per il nostro: il contesto sociale e storico è troppo cambiato. Nel suo spirito tuttavia conserva spunti di attualità,  che vanno colti con grande attenzione. Accenno ad alcuni.

– La storia si ripete, anche se non sempre è “magistra vitae”: vedi ad esempio l’impressionante parallelismo fra gli agenti di emigrazione di allora e gli arruolatori di manodopera straniera, gli scafisti, i “passatori” del nostro tempo; allora si intervenne con sistemi efficaci in certa misura efficaci, ora sembra si continui a fare il buco nell’acqua, quando poi in questo buco non si inabissano – vicino alle nostre coste – i barconi della morte, carichi di disperati.

– Non sono state nemmeno estirpate le peggiori forme di schiavismo di un tempo, continuano a prosperare tra noi i “mercanti di carne umana”, come li chiamava Scalabrini.

– Ottima e di forte attualità la filosofia sottostante a quella legge: libertà di emigrare, non di far emigrare.

– Esemplare la capacità di Scalabrini di suscitare attorno a sé tante collaborazioni anche dal mondo laico e di essere disponibile al dialogo, anzi di suscitarlo, con le forze politiche e istituzionali.

– Suscita infine ammirazione ed è di stimolo la tenace e intelligente determinazione di questo vescovo di offrire, in nome della Chiesa, un servizio il più integrale possibile sia sul fronte della evangelizzazione che della promozione sociale, culturale e perfino economica dell’emigrante ossia, nel contesto di allora, del connazionale che partiva dall’Italia; ma nello spirito e nelle previsioni del Beato Scalabrini era l’emigrante di ogni lingua, cultura e nazione.