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Disabilità, Contributi dalle diocesi
Convegno diocesano catechisti parrocchiali
Trento, 21 novembre 1999



Ufficio Catechistico Nazionale - Formazione catechisti


-CONVEGNO DIOCESANO DEI CATECHISTI PARROCCHIALI
Trento, 21 novembre 1999


“La comunità cristiana e la catechesi interpellate
dalla situazione di disagio di fanciulli e ragazzi”
( P. Matteo Giuliani)


La relazione intende soffermarsi anzitutto sulle motivazioni di un’attenzione speciale a fanciulli e ragazzi in situazione di disagio e di handicap; considera la Chiesa e in particolare la catechesi nella scelta di camminare insieme ai ragazzi e ai loro genitori; individua e precisa le fasi di un percorso di ricerca specifico di catechisti a livello interparrocchiale e/o decanale.


I. LE AZIONI POTENTI DI GESU’: UNA PROVOCAZIONE


1. Un racconto di miracolo: guarigione dell’uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6)


Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. Poi domandò loro: “E’ lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.


2. Riflessione


La cornice del brano e il luogo del miracolo sono Cafarnao e precisamente la sinagoga del paese. Gesù chiama dal gruppo di persone che hanno preso posto lungo la parete della sinagoga un uomo dalla mano paralizzata. Non ha nome, lo caratterizza una mano paralizzata, non può lavorare con le mani, è incapace di attività, anche il saluto non può diventare una bella stretta di mano. Rappresenta l’incapacità di tener in mano la propria vita, di farcela da solo.
Gesù chiama questa persona al centro perchè tutti comprendano l’importanza della sua vita e lui stesso, il paralizzato, si rende conto di quanto è importante.
T
re sono le esclamazioni di Gesù che possiamo riferire ad ogni persona portatrice di handicap: “Alzati! Vieni qui in mezzo! Tendi la mano!”, che è come dire “Sviluppa tutte le tue potenzialità!”.
Certo i racconti di miracolo hanno vari significati, come affermavo sopra: ci dicono chi è Gesù, parlano di un caso per indicarci il progetto di Dio al di là della morte; ma sono anche una provocazione a diventar miracolo per gli altri, a metterci in ascolto e a intervenire nelle situazioni di disagio, di difficoltà e di handicap con il cuore e senza tralasciare lo sforzo di acquisire competenze e abilità.
In altre parole Gesù ci vuol raggiungere con il messaggio che al centro va posto l’uomo, il bisogno della persona, e che la vita è un valore superiore a qualsiasi divieto generale (il precetto del sbato). Non è una cosa scontata, ci vuol dire ancora il brano evangelico, dal momento che alcuni non capiscono avendo il cuore indurito. Costoro meditano solo di morte (“Tennero consiglio contro di lui per farlo morire”).
Da notare ancora che l’uomo sofferente è fatto venire al centro lì dove si srotola il testo della legge, quasi a significare che l’uomo con i suoi problemi, attese, malattie, speranze è anch’esso testo della volontà di Dio.
Nella Chiesa siamo invitati a guardare i volti che assume la vita, ad accogliere, a mettere al centro delle nostre attenzioni l’uomo e in particolare l’uomo infermo e portatore di handicap: “Alzati! Vieni qui in mezzo! Tendi la mano!”


II: LA CHIESA INSIEME ALLE PERSONE IN SITUAZIONE DI DISAGIO E DI HANDICAP


Nella proposta che facciamo vogliamo comprendere le situazioni di disagio (casi sociali, bambini cardiaci, malati di cancro, ecc.) come pure l’handicap fisico (sensoriale), psichico (disturbi della personalità, fatti caratteriali) e mentale. Non entreremo, per altro, in discorsi specifici di un settore della catechetica dove si riflette a partire da tipologie e situazioni personali particolari.
Personalmente ho lasciato sc
orrere davanti agli occhi ciò che ho incontrato nella vita: gruppi di persone con problemi con cui ho passato qualche ora, la visita a delle istituzioni specializzate che curavano anche la formazione cristiana, la celebrazione dell’Eucaristia insieme a persone con problemi mentali, qualche ascolto e riflessione assieme a catechisti che dovevano inventare, senza molti aiuti, un rapporto e un lavoro per bambini che non riuscivano a tenere il passo degli altri.
La Chiesa, mi pare si possa già dire, si trova confrontata con situazioni diverse: istituzioni che curano lo sviluppo di persone portatrici di handicap che richiedono contributi alla formazione della fede e, nello stesso tempo, alla presenza di qualche persona con disagio e difficoltà dentro la comunità che fa catechesi o celebra i sacramenti e vive l’esperienza della preghiera. Sono situazioni diverse che offrono opportunità diverse e richiedono interventi specifici. E’ vero anche che i due luoghi formativi possono vivere uno scambio di competenza e di abilità a vantaggio di tutti.
Una Chiesa che si lascia interpellare dalla vita sofferente dovrà:


1. Lasciarsi mettere in discussione dalla presenza dei disabili


Le persone che vivono disagio e handicap in mezzo al popolo di Dio ci portano a rivedere la nostra scala di valori, a comprendere che la forza fisica non è tutto, che la bellezza non è la cosa più importante, che anche l’intelligenza non è che un valore relativo, che l’essenziale di un essere umano è qualcosa di infinitamente più grande se lo collochiamo nel progetto di Dio. Diventano allora un appello ai coetanei prima e poi a tutti sugli aspetti essenziali della vita.


2. Offrire accoglienza e spazi adatti nella vita della Chiesa


Non si tratta tanto di istruire, educare e far qualcosa per fanciulli e ragazzi in difficoltà ma anzitutto di diventare “Chiesa” per loro e per il loro genitori, di diventare compagni nel cammino della vita.
E’ importante costruire sempre tutta la relaz
ione possibile: alcuni parlano, altri sanno osservare, sorridere, altri prendono la mano, altri cantano, partecipano se indichi dei gesti da imitare. Dobbiamo portare al massimo la relazione negli incontri e nelle celebrazioni comunitarie.
I ragazzi si amano, poi, se si amano le loro famiglie, principale risorsa terapeutica ed umanizzante spesso. I genitori dovranno essere aiutati ad accettare le prove della vita, a comunicare la storia della loro accettazione, a cogliere l’aspetto “dono” in ciò che è loro successo, a non cadere nell’isolamento, a far propria la scelta di dedicarsi per tutta la vita ad un figlio che soffre, a farsi aiutare da altre persone.
La Chiesa dovrà offrire il più possibile a tutti l’esperienza di gruppo e di incontri comunitari, magari con un numero di bambini più ridotto del solito.
Anche ad un livello più complessivo, cioè di scelte sociali e politiche, la Chiesa dovrà farsi promotrice di vero servizio e di autentica promozione dell’umanità del disabile favorendo la realizzazione dei suoi diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti dell’uomo.


3. Realizzare una catechesi attenta alle persone


Riguardo alle persone con handicap e sofferenti disagio sociale il più recente documento ecclesiale sulla catechesi, il “Direttorio generale per la catechesi” parla di itinerari di fede adeguati e personalizzati, e di una catechesi specializzata ma non ai margini della pastorale della concreta comunità cristiana (n.189).
Mi limito a richiamare alcun iprincipi pedagogici in linea con le affermazioni del documento sopra citato, riconoscendo che bisognerà affrontare i problemi che incontriamo uno alla volta e che bisognerà sperimentare vie di azione prima di arrivare a della indicazioni più concrete.
Ecco qualche spunto:
a. Valorizzare tutta la ricchezza di vita della persona disabile e riconoscere le soglie non ancora raggiunte a livello di comunicazione, espressione e relazione (ci sono segni che indicano i livelli raggi
ungibili).
B. Curare la relazione personale e il contatto con cose reali, far vivere esperienze, celebrazioni, ecc.
C. Tener fede al dinamismo essenziale della catechesi: la Parola annunciata è fatta propria e riespressa con i modi preferiti e secondo le capacità comunicative di ciascuno (gesti, sentimenti, ecc.)
d. Essenzialità dei contenuti: Dio è amore presente tra noi in Cristo, testimone del Padre tramite lo Spirito Santo. La Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio.
E. La catechesi deve nascere come progetto di insieme che coinvolge catechisti, genitori, giovani, parroco, educatori nelle istituzioni, ed è compito da realizzare insieme.


III. CATECHISTI IN RICERCA PER UNA CATECHESI ATTENTA ALLE PERSONE PORTATRICI DI HANDICAP O IN DISAGIO


Credo che la cosa migliore in questo momento della vita catechistica italiana sia sognare un cammino di un ipotetico gruppo di catechisti interessati al problema di una catechesi che tien conto via via di disagi e situazioni psicologiche di difficoltà e di handicap veri e propri.
Il cammino è pensato in tre fasi che schematizzo.


1. Tappa del reperimento di risorse presenti sul territorio


Alcune persone possono sentirsi interpellate ed invitate ad occuparsi di bambini, ragazzi e adulti disabili sia per interventi personalizzati sia per essere di supporto dentro un gruppo di catechesi: “Signore Tale, non potrebbe occuparsi di questo problema per le seconde?”, “Sa! Ci sono i genitori che richiedono attenzioni, sono un po’ ansiosi per la novità dell’esperienza di catechesi per il loro bambino..”, “Catechisti, la situazione è tale che dobbiamo prendere sul serio questo problema...”.
Quando più catechisti avvertono il problema o sono invitati ad occuparsene, accettato l’impegno, è opportuno facciano gruppo tra di loro (a livello interparrocchiale, decanale).
La prima tappa di formazione consiste nel diventare gruppo mettendo in comune tre cose:
- impressioni sulla situazione e nel campo della catech
esi dei disabili che prendono via via forma di domanda e di problema: “Che cosa vuol dire quel comportamento descritto?”...
- intuizioni sui modi di essere dei ragazzi e sulle loro reazioni (“Si interessano sempre di cose concrete, non di quanto proposto da me, ma della mia famiglia; imitano tutti i gesti e sembra faccia loro piacere”). Non si tratta ancora di sicurezze ma di esperienze da cui nascono domande sondaggio per aver conferme e precisazioni.
- convinzioni che si condividono: “In fondo bisogna voler loro bene! Mi costa questo servizio, ma non lo abbandonerei mai! Sono i poveri di cui occuparci, da porre al centro!”.
Con queste comunicazioni e condivisioni la formazione è già iniziata: le ricchezze e le differenze tra catechisti sono in gioco, così pure gli interrogativi che motivano il cammino.
A questo punto il gruppo sente il bisogno di valorizzare risorse presenti sul territorio: genitori, persone con competenza professionale in scienze umane, psicologiche, pedagogiche, catechistiche e teologiche, persone con esperienza, istituzioni e scelte maturate al loro interno.
Con un lavoro di contatto, per esempio tramite interviste, il gruppo accumula sensibilità, orientamenti, e nello stesso tempo, induce attenzione ad un problema sia nella Chiesa che nella comunità civile.


2. Tappa della progettazione e creazione di materiali


Si tratta di dedicarsi al compito dell’educazione alla fede passando in rassegna gli ingredienti del progettare catechistico per arrivare ad un progetto organico di proposte.
Bisognerà anzitutto domandarsi su quale tipo di destinatari si porta l’attenzione (quale il loro modo di essere, di relazionarsi, di pensare ed agire, di incontrare la fede); si considerano poi le mete realisticamente raggiungibili. E’ essenziale poi decidere quali linguaggi sono da utilizzare e da stimolare per rispondere alla Parola di Dio: gesti, grafiche, canto, disegno, colore, parole, oggetti, celebrazioni adatte, servizi a favore del gruppo e
della comunità. Dopo aver elaborato dei moduli di incontro o una sequenza di tappe catechistiche da sperimentare si passa alla creazione di materiali. Il gruppo diventa ancora creativo: adatta o elabora in proprio dei materiali originali utili al cammino catechistico.


3. Tappa della ricaduta dei risultati sulla comunità


Il percorso fatto, le esperienze accumulate, porteranno il gruppo di ricerca ad affermare per esempio che:
- i giovani disabili ricordano alla comunità che abbiamo un corpo, anzi che siamo un corpo che ci permette di comunicare, ricevere informazioni, di mandare messaggi. Ci invita ad interrogarci: come dare parola al corpo nelle celebrazioni, come metterlo in movimento per dire la lode, il ringraziamento, il raccoglimento, la fede?
- Ricordano che il gruppo è esperienza essenziale sia per i catechisti che per i ragazzi; che bisogna conoscerne le regole, viverlo come ambiete di crescita e di maturazione.
- Che per rispondere alle esigenze di un itinerario, ai problemi relativi ai sacramenti e alla fede, bisogna far tesoro dell’esperienza ecclesiale: la riflessione teologica e, in particolare, quella sui sacramenti.


Tante altre cose potranno essere ritenute importanti dal gruppo di ricerca che abbiamo sognato e diventare stimolo e patrimonio di tutta la comunità cristiana.
Quanto presentato non è che uno schema di massima di un percorso. Ma forse, di fronte ad una situazione che ci supera, vale la pena rendersi disponibili, e lasciarsi trasformare in un piccolo miracolo per i disabili in mezzo a noi, per le persone che soffrono disagio sociale e per i loro genitori.