Sussidio Quaresima-Pasqua 2014 - Domeniche - Venerdì santo 
Venerdì santo   versione testuale

Francisco Zurbaran (1598-1664), Agnus Dei, Museo Nacional del Prado, Madrid.
© Su concessione del Museo Nacional del Prado di Madrid.

«Ogni volta che il sacrificio della croce “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1Cor 5,7) viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cf. 1Cor 10,17)» (Lumen Gentium 3).
Sulla croce, infatti, è stato offerto l’unico e perfetto sacrificio che ha portato la salvezza al mondo intero, tanto che l’apostolo Pietro può affermare: «Non siete stati redenti con oro o argento, beni corruttibili…ma col sangue prezioso di Cristo, agnello immacolato e incontaminato» (1Pt 1;18-19). Il credente non appartiene dunque a se stesso, perché egli è stato comprato da Cristo “a caro prezzo” (cf. 1Cor 6,20). Colui che Giovanni Battista aveva indicato alla folla e ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cf. Gv 1,29) è Cristo, «agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,19). È lui che viene offerto sull’altare della croce quale vittima innocente e immacolata; è lui che «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9).
Maria, sua madre, è la serva obbediente che ha vissuto nella totale sottomissione alla volontà di Dio e ha seguito il suo figlio fino al Calvario. «Ai piedi della croce Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione. È questa forse la più profonda kenosi della fede nella storia dell’umanità. Mediante la fede la madre partecipa alla morte del Figlio, alla sua morte redentrice; ma, a differenza di quella dei discepoli che fuggivano, era una fede ben più illuminata.
Sul Golgota Gesù mediante la croce ha confermato definitivamente di essere il “segno di contraddizione”, predetto da Simeone. Nello stesso tempo, là si sono adempiute le parole da lui rivolte a Maria: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”» (Giovanni Paolo II, Redemptoris mater 18). Per tutti i discepoli di Cristo onorare la passione del Signore vuol dire «guardare con gli occhi del cuore Gesù crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la propria carne» (Leone Magno, Discorso 15 sulla passione del Signore).

Francisco Zurbaran, artista attivo nella Spagna della Controriforma, ha dipinto con grande realismo in primissimo piano un semplice e comune agnello, con le zampe legate in segno di croce, posto su uno sfondo scuro e appoggiato su una mensa grigia. L’opera è del 1635-40 circa e oggi è conservata al Museo Nacional del Prado di Madrid.
L’uso sapiente dei colori e della luce conduce lo sguardo dell’osservatore verso l’animale che sembra essere totalmente abbandonato al suo destino fatale, senza reagire alla violenza inflittagli. Fissandolo sembra che il tempo sia sospeso e che anche lo spazio si sia come concentrato in quel punto preciso dell’universo. Trova spazio soltanto l’oracolo del profeta Isaia: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca» (Is 53,6-7).
Il significato mistico, sacrificale e cristologico del piccolo dipinto è reso dalla stessa immagine dell’agnello che l’artista ci presenta senza alcun attributo iconografico, come invece fa in altre versioni della stessa opera. Nel dipinto del Prado l’Agnello è invece mostrato nella sua assoluta e disarmante semplicità, quasi come una natura morta consegnata allo sguardo dell’osservatore il quale può ripetere con le labbra e con il cuore: «L’agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre» (Sequenza pasquale).