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Parrocchia una casa per tutti


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/04


PARROCCHIA: UNA CASA PER TUTTI
di Gaetano Bonicelli
1. Da un po’ di anni in Italia l’attenzione alla parrocchia come espressione della Chiesa aperta a tutti è sicuramente aumentata. Ne sono prova gli interventi dei vescovi che a questo tema hanno dedicato buona parte di due Assemblee Generali, Assisi e Roma, senza citare il lavoro di teologi, esperti, operatori. Ne è venuto fuori un bel documento che appunto si intitola: Parrocchia, casa per tutti. Parrocchia: casa per tuttiPer tutti. Anche per i non credenti e praticanti? Anche per i cristiani non cattolici? Anche per gli immigrati e, in qualche modo, anche per i non cristiani? La risposta è decisamente sì. La qualifica teologica che finalmente viene riconosciuta dagli studiosi alla parrocchia è proprio questa: essere per tutti, anche a prescindere dal seguito e dai risultati immediati. Cristo Signore è morto per tutti e tutti devono poterlo trovare facilmente, vicino alla propria casa e alla propria vita. C’è stato un movimento, non ancora del tutto rientrato forse, che ragionava così: “Questi cristiani sono proprio una frana. Chiudiamo la baracca, non parliamo più di parrocchia e cominciamo con l’ABC del cristianesimo. Solo così le «nuove comunità» saranno degne di questo nome”. “Sì, ma intanto chi vuole sposarsi in Chiesa o far battezzare il proprio figlio, cosa fa?”. “Si affidi a Dio ed abbia pazienza”. Come se Dio non avesse già previsto situazioni del genere e inventato una struttura di compensazione che mira in alto, ma fa i conti anche con le miserie umane. Questa è la Chiesa, la quale non è un bel concetto teologico, ma una casa, una comunità dove è possibile incontrare la Parola di Dio ed i sacramenti della Grazia e costruire una esperienza di fraternità.2. Non finiremo mai abbastanza di ringraziare il Signore per questo dono, così umano e così divino. La Chiesa non esiste solo nelle Parrocchie. Chi non conosce movimenti ecclesiali, famiglie religiose, esperienze singolari di vita che avvicinano al Signore? Ma uno che non ha niente e magari non vuole niente per paura di intrupparsi, dove incontra la Chiesa?La Parrocchia è una incarnazione della Chiesa senza tessere o diplomi, a portata di tutti, ma che attraverso l’aggancio col vescovo, successore degli apostoli, risale sicuramente a Cristo Signore ed alla pienezza della sua grazia. E poiché la Chiesa è comunione con Dio che si manifesta in una comunità dove la gente riconosce la sua comune origine nel Battesimo, anche la parrocchia è tanto più Chiesa quanto più è comunità. Parrocchia, luogo di partecipazione3. In realtà non sono mancate iniziative anche clamorose di gruppi di laici che sono stati protagonisti nella vita cristiana. Ma bisogna arrivare al Concilio Vaticano II il (1962-1965) per recuperare la vera dottrina sulla Chiesa e sulla comune responsabilità. Non ci si è limitati a parole. C’è un punto molto preciso sui quali i Padri del Concilio insistono: bisogna aprire le porte della Chiesa al dialogo responsabile, alla concertazione. C’è una formula che viene tassativamente prescritta a livello delle diocesi e poi delle parrocchie: i Consigli Pastorali e le varie commissioni operative per i singoli settori della vita della comunità. Il fatto che in molti casi l’esperienza dei Consigli risulti diminuita o trascurata, è solo un motivo in più per essere rilanciata. Certamente non si sottopone al parere del Consiglio se Dio esiste oppure no, e neppure la verità della presenza reale di Gesù nel sacramento dell’Altare. Ma ci vuole poco a capire la vastità dei problemi che si pongono, in questa età postmoderna, alla vita cristiana, alle scelte della iniziazione cristiana, alle iniziative di presenza ed evangelizzazione di una parrocchia. L’esperienza dice che un Consiglio fallisce se diventa solo una cassa di risonanza delle scelte fatte dal parroco e se si limita a regolare il numero delle candele o gli orari delle processioni o il buffet dell’oratorio. Tutte cose utili e belle, ma che restano a margine della missione essenziale della Chiesa che è la comunicazione della fede....di partecipazione anche per gli immigrati4. E allora, soprattutto in un ambiente plurietnico come sempre più si trovano ad essere le nostre parrocchie, cosa resta da fare affinché la Parrocchia sia la casa di tutti? Vediamo un po’:- Ridestare l’interesse della gente che ha paura di essere “incastrata” e rilanciare senza paura l’esperienza della collegialità, in particolare dei Consigli. Prima che strumenti di decisione, devono essere una scuola di rispetto, di comprensione, di scoperta, di fraternità. Preti e laici hanno bisogno di scoprire questa dimensione della vita.- Esistono modelli collaudati per giungere ad una composizione veramente rappresentativa della comunità: uomini e donne, giovani ed anziani, professionisti e gente modesta. Non sono i titoli qui a fare Chiesa, ma la volontà di vivere la logica del Vangelo.- Se in parrocchia ci sono cristiani di altre etnie o tradizioni, bisogna integrarli nei Consigli o in altre strutture collegiali. La parrocchia non è un Consiglio comunale dove è la nazionalità a contare. il Battesimo ci ha fatti concittadini dei santi e figli di Dio. Se una cosa si può aggiungere è che bisognerebbe essere attenti non solo alle richieste di assistenza sociale degli immigrati, ma alla loro cultura, alle aspirazioni profonde. Domani alcuni di loro torneranno alle loro terre. Potranno recarvi almeno la gioia di una ospitalità cordialmente condivisa? E non saranno forse loro a far saltare forme sclerotiche che affliggono la nostra pastorale?5. Anche se non integrabili in una struttura ecclesiale, non potranno forse le nostre parrocchie, magari a livello di unità pastorali, diventare punto di riferimento anche per i non cristiani? Sappiamo tutti delle difficoltà tra cristiani (del “proselitismo”, ad esempio) e maggiori ne esistono con i non cristiani. Pensiamo agli islamici. Non è pensabile che una parrocchia, con tutta la prudenza del caso, non si ponga questo problema se vuole essere una Chiesa di tutti e per tutti.