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I migranti nella vita della parrocchia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/03


I MIGRANTI NELLA VITA DELLA PARROCCHIA
QUESTO TESTO E STATO CONSEGNATO A TUTTI I VESCOVI CHE HANNO PARTECIPATO ALL’ASSEMBLEA STRAORDINARIA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (ASSISI, 17-20 NOVEMBRE 2003)
della Fondazione Migrantes
Attualità crescente del fenomenoChe le migrazioni siano un fenomeno di sempre maggiore rilevanza non solo numerica e di sempre maggiore attualità sul piano politico, culturale e sociale, è un fatto evidente a tutti, se non altro per il crescente spazio che sta occupando, soprattutto in questi ultimi tempi, nei mass media. Interessa infatti più o meno tutti i principali ambiti della vita quotidiana, come il lavoro, l’economia, il sindacato, la scuola, la salute, l’associazionismo, il pluralismo etnico con quanto ne consegue, e perfino la partecipazione attiva alla gestione della cosa pubblica almeno a livello comunale.E, di conseguenza, un evento che interpella in modo sempre più pressante la coscienza cristiana e la vita delle nostre comunità, in particolare delle nostre parrocchie che più di ogni altra realtà ecclesiale sono esposte, voglia o non voglia, all’impatto quotidiano, spesso complesso e stressante, con l’immigrazione ed ogni altra forma di mobilità umana. Le parrocchie tuttavia, alle prese come sono con un cumulo di impegni posti davanti alla pastorale ordinaria con carattere di urgenza e di priorità, rischiano di disattendere e rimuovere questa “novità”, seppur relativa novità, o declassarla fra i compiti marginali e delegabili a chi di competenza.Pertanto la Migrantes si permette di ripresentare, in occasione dell’Assemblea straordinaria della CEI sulla parrocchia, alcune considerazioni e proposte pratiche, ad integrazione di altri elaborati recenti dalla medesima stesi per aiutare l’impostazione di una efficace pastorale migratoria nelle nostre Chiese particolari.I richiami del Magistero PontificioIl Santo Padre ricorda che il “vigente ordinamento canonico… ha inserito la pastorale per i migranti in quella ordinaria”; infatti “la cura pastorale dei migranti è diventata un’attività istituzionalizzata…, per la quale la Chiesa organizza uno specifico servizio pastorale”1. Ne consegue che “per la comunità parrocchiale non è, questa, una facoltativa attività di supplenza, ma un dovere inerente al suo compito istituzionale”2. Quindi “tutto ciò pone urgenti sfide alla comunità cristiana, che fa dell’attenzione verso i migranti ed i rifugiati una delle sue priorità pastorali”; una priorità tuttavia, che in linea generale non va aggiunta alle altre dato che vi può essere solitamente molto bene inclusa, purché l’inclusione sia fatta in forma esplicita e programmata. Si tratta dunque più che di un ulteriore appesantimento del notevole carico che già grava sulla pastorale ordinaria, di un suo arricchimento, capace di apportare nelle nostre parrocchie un ringiovanimento non soltanto anagrafico, di caricarle di dinamismo nuovo e aprirle a orizzonti nuovi sul piano sia socio-assistenziale e promozionale, sia su quello più strettamente pastorale anche in prospettiva ecumenica e missionaria.Il Papa ritorna con singolare insistenza su questi risvolti più positivi delle migrazioni che inducono a considerarle in primo luogo come “kairòs”, come grande opportunità in funzione del Regno. Egli si rivolge alla “comunità cristiana”, alla “Chiesa locale” che certamente si identifica il più delle volte con la “parrocchia territoriale”, ma il riferimento esplicito alla parrocchia si fa più esplicito e frequente nei messaggi degli ultimi anni per la “Giornata Mondiale dei Migranti e Rifugiati”, anzi in taluni messaggi sembra diventare il tema dominante del suo discorso3.E doveroso fare debita attenzione anche al monito contenuto al n. 30 dell’Istruzione Pontificia “De Pastorali Migratorum Cura”: “L’assistenza spirituale di tutti i fedeli, e quindi anche dei migranti, che risiedono nel territorio di una parrocchia, ricade soprattutto sui parroci, che dovranno un giorno render conto a Dio del mandato eseguito”.La Chiesa italianaAnche la Chiesa italiana, particolarmente in questi ultimi anni, si è alquanto attivata per promuovere e sostenere questo coinvolgimento delle parrocchie nella pastorale migratoria e, grazie a Dio, non senza qualche positivo risultato. Ne sono espressione le decine e decine di comunità pastorali etniche, fraternamente ospitate nella Chiesa o in qualche altra struttura parrocchiale.Il Presidente della CEI, il Cardinale Camillo Ruini, nella prolusione al Convegno nazionale sulle migrazioni “Tutte le genti verranno a te” (Castelgandolfo, 25-28 febbraio 2003), riconosce che “l’impegno di evangelizzazione verso gli immigrati sta già entrando, e deve entrare sempre più, nella pastorale ordinaria delle nostre parrocchie, coinvolgendo sacerdoti, religiose e laici”4.Questa attenzione al ruolo fondamentale della parrocchia è stato oggetto di specifiche iniziative da parte della Commissione Episcopale per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes.Un qualche accenno alle più significative:- Molto materiale interessante sull’argomento è stato prodotto nel convegno per i Direttori Regionali della Migrantes del febbraio 2000 dal titolo “Chiesa locale e pastorale della mobilità umana” e da analogo convegno del maggio successivo per i Direttori diocesani: “Giubileo e migrazioni: la gente in cammino cambia la Chiesa”. Particolarmente degna di nota è in questo secondo convegno la relazione del Direttore generale della Migrantes, Mons. Luigi Petris: “Ruolo della Migrantes in una Chiesa locale”. Una citazione: “Si hanno segni positivi anche sull’attenzione dei parroci agli immigrati cattolici e alla loro integrazione nelle nostre parrocchie, tuttavia senza pregiudizio della pastorale specifica promossa dalla Migrantes. Incoraggiati da questa apertura e per favorirla ulteriormente la Migrantes, unitamente alla Caritas Italiana e all’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro, sta elaborando ad uso dei parroci un vademecum… con i dati, le direttive e gli orientamenti fondamentali di pastorale migratoria”5.- Questo ampio sussidio, uscito verso la fine dell’Anno Giubilare, porta per titolo: “Nella Chiesa nessuno è straniero - Guida pratica per l’immigrazione ad uso degli operatori socio-pastorali”, fra i quali un’attenzione qualificata va ai parroci; la pubblicazione costituisce un manuale abbastanza completo, scendendo nel dettaglio, dopo i capitoli introduttivi più generali, sui vari “volti dell’immigrazione”.- All’inizio del medesimo anno, la Migrantes ha largamente diffuso uno strumento pastorale molto più breve, a forma di dépliant: “Accoglienza agli stranieri nelle parrocchie: 10 proposte per l’anno 2000”. Il sussidio ha risposto alle attese delle Chiese locali, tanto che alcune diocesi hanno provveduto a farlo pervenire alle singole parrocchie.- E infine, lo scorso anno venivano pubblicati dalla CEMI-Migrantes, altri due brevi fascicoli, sollecitati dai vescovi e destinati direttamente ai medesimi, dove riaffiorano importanti indicazioni per radicare solidamente la pastorale migratoria nella vita delle parrocchie. Portano per titolo:- “Orientamenti per l’istituzione di strutture pastorali a servizio di cattolici immigrati in Italia”.- “Pro-memoria per il Vescovo incaricato regionale per le migrazioni”.Non è difficile perciò fare ricorso a questi abbondanti sussidi per enucleare orientamenti e linee di azione concrete ad uso dei nostri parroci e collaboratori parrocchiali.Dodici punti chiave di pastorale migratoria per le parrocchie1. Corresponsabilità del parroco territoriale e dell’operatore pastorale etnicoLe direttive pontificie, a mente del Concilio, molto insistono sul diritto dei migranti a godere di una assistenza specifica, fatta su misura della loro cultura, lingua e tradizione e, di conseguenza, sulla necessità del cappellano etnico (o altro operatore pastorale) che sappia rispondere a tali peculiari esigenze. Il cappellano, in determinati casi, “gode di propria potestà e…viene equiparato a un parroco”, una potestà però esclusiva ma “cumulata in parità giuridica con quella del parroco”6. Questa “potestà… cumulata” porta direttamente sul piano giuridico, dentro al quale va individuata quella sensibilità-responsabilità pastorale che veniva richiamata, nel citato n. 3° dell’Istruzione pontificia, con parole piuttosto gravi: “(I parroci) dovranno un giorno render conto a Dio del mandato eseguito”. Tuttavia proprio a seguito di quelle parole si legge: “I parroci perciò sappiano condividere un compito tanto grave con il cappellano o missionario, quando questi si trova sul posto”7. Si noti la forza di questo “perciò”: il parroco, consapevole della sua responsabilità ma pure dei suoi limiti nel prestare un’adeguata cura pastorale a questa porzione del “suo” gregge, non solo consente, ma fa spazio volentieri all’operatore pastorale etnico, ne cerca positivamente e favorisce il suo intervento.2. Armonizzazione delle due competenzeSi comprende dunque quale stretta collaborazione debba intercorrere tra i due pastori. Tale collaborazione è il fattore principale e determinante perché le due comunità, quella territoriale italiana e quella etnica, convergano nel costituire l’unica Chiesa locale. Non si deve mirare al “compromesso”, quasi si trattasse di arginare un minor male. è necessario mirare alla armonizzazione fra le due esigenze, ugualmente legittime, quella di salvaguardare l’unità del gregge e la piena comunione ecclesiale sul territorio e quella di salvaguardare la propria identità ai gruppi etnici anche nell’espressione della loro pratica cristiana: non ci si nasconde che il traguardo è impegnativo e richiede una certa dose di pazienza e talora anche di sofferenza, come ricorda il Papa nel Messaggio di quest’anno: “Il cammino verso la vera accettazione degli immigrati nella loro diversità culturale, in effetti, è difficile, talvolta si presenta anzi come una vera via crucis. Questo però non deve scoraggiare nessuno dal perseguire la volontà di Dio”.3. Integrazione sì, ma progressiva e spontaneaDi integrazione si parla a livello nazionale, nelle singole diocesi, ma luogo, anzi “laboratorio” e “palestra” di integrazione, per usare l’espressione felice dal Papa, è soprattutto la parrocchia. Però, sempre secondo l’insegnamento pontificio, l’integrazione, perché sia autentica e non passiva assimilazione, dev’essere progressiva e spontanea. Va promossa ed anche sollecitata, tenuto conto che sul piano civile oggi ci sono strumenti (scuola, formazione professionale, mass-media, associazionismo misto, ecc.) grazie ai quali l’integrazione procede con passo più celere di una volta. La parrocchia anche a tale riguardo non può trovarsi in ritardo, tanto meno farsi rimorchiare; deve anzi essere esemplare e avviare iniziative emblematiche.La Chiesa ora, basandosi sui diritti dell’immigrato più che su rigide disposizioni canoniche, lascia al fedele migrante decidere quali passi fare e secondo quali tempi ritmare la sua progressiva integrazione nella parrocchia territoriale. è significativo che, mentre Pio XII nella Exsul Familia stabiliva che a godere della pastorale specifica fossero gli stranieri di prima generazione e “i loro discendenti in primo grado”, la norma attuale riconosce “l’opportunità di affidare la cura dei migranti a sacerdoti della stessa lingua… per tutto il tempo richiesto da vera utilità”8.4. Provvisorietà o stabilità delle comunità pastorali etniche?Da quanto detto appare che la struttura pastorale etnica è connotata insieme da una certa provvisorietà e stabilità.Provvisorietà, perché questa pastorale specifica ha ragione di essere finché persiste la sua necessità o almeno una “vera utilità”, come si esprime il citato documento pontificio; cessata questa necessità od utilità le strutture della pastorale specifica non hanno più ragione di esistere.Però tali strutture possono perdere il loro significato per singoli fedeli che sono già pervenuti alla piena integrazione nella parrocchia territoriale, non per altri che sono ancora in via di integrazione o sono appena arrivati in Italia o che comunque hanno un progetto di migrazione temporanea, come gli studenti e gli stagionali, e vivono con mente e cuore ancora tutti orientati al Paese di origine. Tenuto conto delle esigenze di costoro, si deve concludere che le comunità pastorali etniche, soprattutto per i consistenti gruppi di immigrati e nelle grandi città, godono di una certa stabilità. Inoltre al concetto di integrazione va accompagnato quello di una “doppia appartenenza”: non è infatti contraddizione che un singolo o una famiglia abbiano già un buon inserimento nella parrocchia territoriale e tuttavia continuino un legame affettivo ed una periodica frequenza anche della comunità che per anni di emigrazione li ha accompagnati.5. Vie maestre di integrazione ecclesialeLa prima via è il contatto amichevole e collaborante fra i responsabili pastorali delle due comunità: i fedeli seguiranno il loro esempio e volentieri condivideranno le stesse feste, le stesse liturgie, le stesse attività socio-pastorali. Che il cappellano etnico qualche domenica non presti servizio nella sua comunità e inviti i suoi fedeli a portarsi con lui in una chiesa parrocchiale, può essere una buona soluzione, tenuto conto però che questi fedeli nelle città appartengono solitamente a più parrocchie.Altra via maestra sono i figli, che si integrano molto più rapidamente dei genitori: avviene spesso che il battesimo sia ricevuto presso la comunità etnica, ma già per la prima comunione il bambino è nella chiesa parrocchiale assieme ai suoi amici di gioco e di scuola; e automaticamente verso la Chiesa parrocchiale orienta anche i suoi familiari.Grande fattore di integrazione sono pure i gruppi parrocchiali, gli oratori e campi scuola per i ragazzi, i centri per la vita e i consultori familiari per le coppie di sposi, la Festa dei Santi Patroni, la Giornata delle Migrazioni, la Giornata della Pace, la Festa dei popoli. Si tratta solo di una esemplificazione.6. Atteggiamento di autentica accoglienzaSiamo ben lontani dalla retorica o dall’astrattezza quando in parrocchia si colgono tutte le occasioni per ricordare la legge fondamentale della vita cristiana, la carità fraterna che nei confronti dello straniero si esprime nell’accoglienza cordiale, quale atteggiamento e sentimento profondo ispirato alle parole di Gesù: Ero straniero e mi avete accolto. Un’esperienza non tanto esaltante dice che c’è bisogno di questo richiamo dentro le nostre stesse parrocchie, nei nostri gruppi, nelle nostre famiglie, nel nostro modo di parlare e di sparlare, di agire e di reagire. è urgente aiutare i nostri fedeli a un serio discernimento, per non sconfessare la nostra professione cristiana. è urgente come comunità parrocchiale essere fermento anche per la società civile, pronti a contrastare l’insorgere di giudizi sommari, di sospetti e pregiudizi, di battute irresponsabili, di rifiuto e di intolleranza, facendo appello a elementari principi del vivere civile, oltre che alla coerenza cristiana.7. Opere e gesti di autentica accoglienzaDai sentimenti profondi alle opere concrete. Opere di prima accoglienza, di cui le parrocchie sono già molto benemerite, in risposta alle continue emergenze che il movimento migratorio, così come si svolge sotto i nostri occhi, porta ancora con sé: mensa, dormitorio, ambulatorio, centro di ascolto e quanto altro la creatività che nasce dall’amore sa inventare, con attenzione a non cadere nell’assistenzialismo ma pure a non disattendere il richiamo: “I poveri li avrete sempre con voi”. Opere di seconda accoglienza, intese a favorire l’autosufficienza dello straniero e uno standard di vita che non sia un insulto alla dignità umana: è chiamato in causa, ad esempio, il problema dell’alloggio, della formazione professionale, del ricongiungimento familiare e di altre iniziative dove l’intervento pubblico non è sufficiente o è addirittura stagnante; anche qui con l’attenzione che questi interventi non disimpegnino chi di dovere, anzi facciano da richiamo, stimolo e denuncia verso le pubbliche istituzioni perché non omettano la loro parte.8. Parrocchia luogo del primo annuncio e dell’incontro ecumenico“La missione ad gentes qui nelle nostre terre” rientra nel programma della Chiesa italiana per il primo decennio del 2000 ed ha costituito l’argomento centrale del già citato congresso nazionale di Castelgandolfo. Che per tanti immigrati siano le parrocchie, oltre che i centri pastorali etnici, l’areopago più connaturale per il cammino di fede è ormai esperienza collaudata dalle centinaia di battesimi che vengono a dare commovente solennità e pienezza di significato alla Veglia pasquale della Cattedrale di tante diocesi italiane.La parrocchia infatti è il luogo naturale del contatto umano e di quella testimonianza concreta della carità che pone ai non cristiani interrogativi profondi. Altrettanto si dica del dialogo ecumenico, in particolare con la grande massa di immigrati cattolici e ortodossi che sta arrivando dall’Est Europeo e che in buona parte svolge attività di collaborazione familiare all’interno delle nostre famiglie. Con le famiglie, con la parrocchia e tra gli stessi immigrati di diversa confessione cristiana è facilitato il dialogo che risulta tanto difficile per non dire impossibile nel Paese di origine. 9. Valorizzazione delle migliaia di sacerdoti stranieri operanti nelle nostre parrocchieNon suoni esagerato parlare di migliaia, se solo nel sistema del sostentamento clero ne sono registrati oltre 1.600. è come la punta di un iceberg che emerge dai 54.000 stranieri presenti in Italia alla fine del 2002 per “motivi religiosi” o “di culto”: possiamo fare molti sconti su questa cifra, ma sta il fatto che moltissime diocesi sono interessate a questa presenza straniera, anche di sacerdoti a tempo pieno. Un semplice interrogativo che tocca la coscienza: è possibile che questi sacerdoti ed anche religiosi e suore siano nelle nostre parrocchie a servizio dei nostri fedeli italiani e non sentano attrattiva, anzi non abbiano espresso mandato dal loro Vescovo, per la cura pastorale degli stranieri della loro medesima nazione, lingua, etnia?10. Collaborazione con le istituzioni pubblicheUn importante lavoro può essere, e di fatto viene svolto dagli organismi ecclesiali e di ispirazione cristiana in favore dei migranti a livello nazionale; altrettanto in quello regionale e provinciale. Tuttavia le parrocchie, specialmente fuori dei grossi centri, sono le interlocutrici privilegiate dei comuni, come pure di altre istituzioni pubbliche, come le Asl e le scuole. Molto spesso si instaura un dialogo e una collaborazione di cui non si può calcolare la preziosità e incoraggia tutti a intensificare questo rapporto non di subordinazione o clientelismo, ma di dignitosa collaborazione.11. Iniziative interparrocchiali e diocesaneSi constata ormai in ogni settore della pastorale che la parrocchia, specie se di dimensioni ridotte, non può svolgere un adeguato servizio da sola, mentre un’azione programmata e svolta d’intesa fra più parrocchie comporta maggiore efficacia e risparmio di energie. Le migrazioni sono fenomeno spesso di grande dispersione etnica e geografica, che con facilità inducono il parroco a ragionare così: “sono così pochi e così dispersi, come si fa a raggiungerli? Ho altro da fare”. E intanto i Testimoni di Geova ed i movimenti pentecostali riescono a raggiungerli, ad adescarli e ad allontanarli dalla Chiesa. Tale inconveniente può essere scongiurato da un’azione concordata fra più parrocchie o nell’intera diocesi.12. Pastorale migratoria pastorale d’insiemeUno degli aspetti più apprezzati del citato Convegno nazionale di Castelgandolfo è che è stato programmato e gestito in collaborazione fra più organismi della CEI. Alla fine del Convegno ha riscosso consenso generale la proposta che questa convergenza di intenti e di programma, che a livello nazionale ha ottenuto finora incoraggianti risultati, abbia una positiva ricaduta anche nelle singole diocesi, anzi in tutte le parrocchie interessate alla presenza di migranti, nelle quali potrà costituirsi una specie di segretariato o collegamento fra operatori pastorali etnici, Caritas, Centro Missionario, Acli, Azione Cattolica, redattori del bollettino parrocchiale, gli stessi catechisti e quante altre forze operanti sul territorio sono interessate a inserire il loro specifico servizio ai migranti in un programma unitario.
1 Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2001, n. 52 Messaggio per la Giornata del 1999, n. 63 Ibid. n. 7: “Le parrocchie costituiscono dei punti di riferimento visibili, facilmente individuabili ed accessibili e sono un segno di speranza e di fraternità non di rado tra lacerazioni sociali vistose, tensioni ed esplosioni di violenza. L’ascolto della medesima Parola di Dio, la celebrazione delle medesime liturgie, la condivisione delle stesse ricorrenze e tradizioni religiose aiutano i cristiani del luogo e quelli di recente immigrazione a sentirsi tutti membri di un medesimo popolo.In un ambiente livellato ed appiattito dall’anonimato, la parrocchia costituisce un luogo di partecipazione, di convivialità e di riconoscimento reciproco. Contro l’insicurezza essa offre uno spazio di fiducia in cui si apprende a superare le proprie paure; in assenza di punti di riferimento da cui attingere luce e stimoli per vivere insieme, essa presenta, a partire dal Vangelo di Cristo, un cammino di fraternità e di riconciliazione. Posta al centro di una realtà segnata dalla precarietà, la parrocchia può diventare un vero segno di speranza. Canalizzando le energie migliori del quartiere, essa aiuta la popolazione a passare da una fatalistica visione di miseria a un impegno attivo, finalizzato al cambiamento delle condizioni di vita assieme.Le comunità parrocchiali a perseverare con coraggio nell’opera intrapresa in favore dei migranti, per aiutare a promuovere nel territorio una qualità della vita più degna dell’uomo della sua vocazione spirituale.Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2001: “Questo (specifico servizio per i migranti) è per natura sua provvisorio e transitorio, anche se la legge non stabilisce in modo perentorio nessun termine per la sua cessazione. La struttura organizzativa di tale servizio non è sostitutiva, ma cumulativa nei confronti della cura parrocchiale territoriale, nella quale si prevede che prima o dopo possa confluire”.Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2002, n. 3: “Prego il Signore perché si possa dar vita nelle comunità parrocchiali ad appropriate iniziative apostoliche e pastorali. La parrocchia rappresenta lo spazio in cui può realizzarsi una vera pedagogia dell’incontro con persone di convinzioni religiose e di culture differenti. Nelle sue varie articolazioni, la comunità parrocchiale può divenire palestra di ospitalità, luogo in cui si compie lo scambio di esperienze e di doni, e ciò non potrà non favorire una serena convivenza, prevedendo il rischio delle tensioni con immigrati portatori di altre credenze religiose”.Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2003, n. 2: “La migrazione ha trasformato anche le comunità piccole e in precedenza isolate in realtà pluralistiche e interculturali. Infatti, luoghi che fino a poco tempo fa vedevano raramente la presenza di un forestiero si sono ora trasformati in casa per persone provenienti da varie parti del mondo. Sempre più frequente, come per esempio dell’Eucaristia domenicale, diventa l’ascolto della Buona Novella in lingue mai sentite prima”.4 Cfr. Atti del Convegno. Quaderni della Segreteria CEI, anno VII, n. 11, 2003, p. 285 “Nella Chiesa nessuno è straniero - Guida pratica per l’immigrazione ad uso degli operatori socio-pastorali”, Sussidio a cura di: Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro - della Fondazione Migrantes - Caritas Italiana, anno IV, dicembre 20006 De Pastorali Migratorum Cura, n. 38, 37 Ibid. n . 30, 38 Ibid. n. 1