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Musulmani d'occidente


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/03


I CONVERTITI, NUOVI PROTAGONISTI DELL’ISLAM EUROPEO
di Stefano Allievi
In passato venivano chiamati rinnegati, apostati, eretici. Un libro famoso, riferendosi a coloro che tra il ‘500 e il ‘600 sono passati all’Islam, li ha ribattezzati i ‘cristiani di Allah’. Sono coloro che hanno cambiato religione: anche se allora di un europeo, e cristiano, che passava all’Islam si diceva non che si era fatto musulmano, ma che si era turcatus, ‘fatto turco’. Come se avesse cambiato nazionalità, più che religione: in ciò cogliendo qualcosa di vero e profondo, che concerne la specificità stessa dell’Islam.Ma oggi? Chi sono, da dove vengono, cosa fanno i cittadini europei che scelgono l’Islam?Paragoni non se ne possono fare. Per la semplice ragione che, in passato, convertirsi all’Islam voleva dire andarsene. Chi diventava musulmano (per spirito di avventura, per sfuggire a un peggiore destino, magari per obbligo, e talvolta per una autentica ricerca spirituale), letteralmente, emigrava, se ne andava da un paese maggioritariamente cristiano per vivere in un paese islamico; quando non era l’Islam che, a seguito di conquista (come in al-Andalus, in Sicilia o nei Balcani) finiva per dominare terre precedentemente cristiane.Oggi la situazione è completamente diversa. Chi sceglie l’Islam passa da una situazione formalmente e ‘sociologicamente’ maggioritaria ad una di minoranza. Di rado si sposta: semplicemente, ‘entra’ in una nuova comunità religiosa (‘entrare nell’Islam’ è del resto l’espressione araba per ‘convertirsi’ ad esso). E soprattutto, a differenza di quanto comunemente si pensa, e di quanto accadeva in passato, non passa dal cristianesimo all’Islam ma, salvo rari casi, da una situazione di incredulità ad una di fede, o comunque percorre un cammino di ricerca spirituale che spesso non ha un ancoraggio e un’origine precisa, se non lontanamente, più come patrimonio culturale che religioso, nel cristianesimo.La situazione oggiDi recente la visibilità mediatica dei convertiti è aumentata in maniera esponenziale, specie negli Stati Uniti. Si è avuto il caso di John Walker, detto ‘Johnny il talebano’, figlio della buona borghesia americana catturato come mujahid in Afghanistan.Poi è stata la volta di José Padilla, probabile aspirante terrorista, catturato in un aeroporto, carico di esplosivo.Infine, è toccato a John Allen Williams, giamaicano d’origine nato in Luisiana, ex soldato americano nel Golfo, divenuto il serial killer che ha terrorizzato Washington nell’ottobre del 2002, uccidendo 13 persone a sangue freddo.Tre storie diverse, che non hanno nulla in comune. Tranne una cosa: l’essere tutti e tre i protagonisti dei neo-convertiti all’Islam. E l’aver colpito in profondità l’immaginario americano, portando a un risveglio, o persino alla scoperta di un interesse per l’Islam dei convertiti, che in un passato recente, con poche eccezioni, era soprattutto considerato un fenomeno sostanzialmente limitato ai black muslims (di cui del resto era stato membro John Allen), e dunque quasi considerato una bizzarra questione ‘etnica’.In Europa l’attenzione per le conversioni all’Islam, negli ultimi anni, sta cominciando a consolidarsi, aprendosi a ricerche locali, al ruolo di alcuni gruppi sufi, all’analisi dei percorsi di conversione femminili, al ruolo dei convertiti nell’associazionismo e in alcuni centri islamici, etc.La letteratura sociologica in materia rimane tuttavia piuttosto scarsa, soprattutto se messa in rapporto con l’attenzione che la sociologia delle religioni ha manifestato nei confronti dei new religious movements, alcuni dei quali (in cifre assolute, e talvolta anche in tassi di crescita) vedono un numero di affiliati di gran lunga inferiore a quello dei neo-convertiti all’Islam.Perché ci si converte?Non esistono spiegazioni semplici di fenomeni complessi: e la conversione è certamente uno di questi. Alle motivazioni religiose se ne aggiungono di psicologiche, di sociologiche, e altre ancora1. L’offerta religiosa islamica del resto, come quella cristiana, consente molteplici approdi, e per ragioni spesso assai diverse.Quantitativamente il numero maggiore di conversioni all’Islam (stimabili, per l’Italia, a una cifra inferiore alle 10.000 persone, anche se sulla stampa circolano talvolta cifre assai più cospicue, e talvolta assai fantasiose) è indotto da una causa che poco ha a che fare con la sete di spiritualità: il matrimonio. E questo perché, come noto, per l’Islam un uomo non musulmano non può sposare una musulmana (mentre è possibile il contrario). Una ragione che contraddice il principio di libertà religiosa e di coscienza come si è sviluppato in occidente, ma che tuttavia viene vissuta senza particolari problemi da persone che del resto, di solito, religiose non sono, e quindi sono relativamente poco turbate da questa ‘scelta’ comunque forzata.Ma queste conversioni di solito non hanno grandi conseguenze sulla vita personale dei singoli e delle coppie, e spesso nemmeno su eventuali discendenti. Sono ‘burocratico-formali’, per così dire, e tali restano: un problema giuridico, e di principio, per l’occidente, ma molto meno un problema religioso. La conversione infatti è in questo caso un mezzo per raggiungere uno scopo altro, non un fine in sé.Gli altri percorsi di conversione, invece, pur numericamente inferiori, sono quelli che producono maggiori conseguenze: nella vita dei singoli, ma anche in quella delle comunità islamiche.I percorsi di conversioneQuali le vie d’accesso all’Islam, oggi? Possiamo distinguere tra quelle ‘relazionali’ e quelle che in mancanza di meglio possiamo chiamare ‘razionali’.Le prime sono quelle offerte dalla conoscenza di un musulmano o dell’Islam: durante un viaggio di lavoro o per turismo in un paese islamico, ma anche, sempre più spesso, attraverso la conoscenza di un immigrato, fino alle coppie miste, in cui alla conoscenza dell’altro può seguire la conversione alla sua religione, anche quando essa non è un obbligo (come nel caso delle donne che sposano un musulmano e si convertono solo dopo qualche anno).Le seconde possiamo considerarle più tipicamente islamiche, se partiamo dall’autodefinizione dell’Islam come ‘religione del Libro’; in un senso forte e quasi letterale, diverso da quello utilizzabile per ebraismo e cristianesimo. Ci riferiamo alle conversioni intellettuali, ‘fredde’ per così dire, dovute alla lettura anche casuale del Corano (per i motivi e nelle situazioni più diverse: perché ricevuto in regalo, come è accaduto ad uno dei convertiti europei più celebri, il pop singer Cat Stevens, diventato Yusuf Islam, o perché trovato nella biblioteca del carcere), dei libri di mistica islamica (il sufismo, che tanto attrae il lettore occidentale, ed è di fatto, a differenza dei paesi d’origine, l’aspetto dell’Islam più conosciuto in Europa), o dei libri che, nel mondo del tradizionalismo anche cristiano, fanno capo ad autori come René Guénon, Fritjof Schuon, Titus Burckhardt, tutti diventati musulmani.Il sufismo è tuttavia anche una modalità specifica di ingresso nell’Islam, o meglio in un suo aspetto peculiare, attraverso il ruolo delle confraternite (in arabo tariqa, con il significato appunto di ‘via’), che potremmo definire delle ‘compagnie iniziatiche’, spesso slegate, almeno in Europa, da qualsiasi rapporto con l’Islam ‘comune’, degli immigrati.Per molti convertiti infine il retroterra è politico, di estrema destra come di estrema sinistra, e porta a un ingresso nell’Islam molto mediato da questi precedenti: l’Islam, religione della prassi, che programmaticamente non distingue tra ‘città degli uomini’ e ‘città di Dio’, ma anzi volutamente le sovrappone, sembra del resto costituire una via d’uscita ideale per ‘spiritualizzare’ un impegno militante prima solo sociale e politico. Non per caso molti di questi convertiti li ritroviamo nella leadership e tra i quadri intermedi dell’associazionismo islamico, nelle moschee, nella promozione di iniziative politiche (tra cui le richieste di riconoscimento da parte degli Stati, e in Italia la richiesta dell’Intesa), a stretto contatto con l’Islam degli immigrati.Quale ruolo per i convertiti?Possiamo distinguere tra ruoli attuali e ruoli potenziali, per cercare di cogliere l’aspetto dinamico ed evolutivo del processo.I ruoli attuali sono abbastanza facilmente delineabili. In senso lato possiamo parlare di un ruolo di mediazione culturale, di traduzione linguistica, di ‘interpretariato cognitivo’. Nel concreto risultano molto importanti: l’apporto in termini di know-how associativo; la messa in comune di un tessuto di rapporti (anche politici, istituzionali, religiosi, ecc.) già esistenti e della capacità di costruirne; la peculiare funzione intellettuale esercitata attraverso la capacità di intermediazione e di produzione culturale, rivolta sia all’interno della comunità (produzione editoriale, ma anche testimonianze, sermoni, ecc.), sia anche e soprattutto all’esterno, nel contributo dato alla costruzione dell’immagine dell’Islam, attraverso l’attività editoriale, conferenze, rapporti con la stampa, ma anche il semplice comportamento personale spiegato e motivato (ad esempio, sapendo spiegare perché si porta lo hijab, il cosiddetto velo islamico. Come ha affermato una nostra intervistata: “Io sono un simbolo che cammina”).Più in generale, i convertiti costituiscono (e sono percepiti come) un elemento cruciale in almeno tre ambiti. Come elemento di legittimazione rispetto al contesto: un ruolo giocato in particolare dagli intellettuali convertiti, presenti anche nel mondo accademico, ad esempio tra gli orientalisti, perché fanno, con la loro attività, l’immagine dell’Islam e anche i suoi contenuti, nella misura in cui contribuiscono a creare la prima e a elaborare i secondi. Come elemento di confermazione ad uso dei nuclei più deboli in termini identitari della comunità immigrata: le loro shahada (testimonianza di adesione all’Islam) pronunciate in un centro islamico, o gli articoli che scrivono sono, per questi immigrati spesso meno inseriti e meno colti, una ‘prova’ della superiorità dell’Islam e una conferma della bontà della loro fede. Infine, come elemento di garanzia: ricordiamo che un convertito è un cittadino, e un militante o leader islamico cittadino non può essere espulso, consegnato, magari in una logica di scambio di favori tra servizi di sicurezza, a questo o quel paese islamico d’origine. Ma se questa è la situazione attuale, in diversi paesi europei, seppure con variazioni significative di peso e di importanza tra l’uno e l’altro (che andrebbero analizzate caso per caso), diversa è la situazione potenziale, il divenire possibile del ruolo dei convertiti.Alcuni dei ruoli attuali giocati dai convertiti sono infatti transitori: per usare una espressione un po’ brutale ma efficace, coprono un buco (di leadership, di elaborazione culturale, ecc.), a causa dell’assenza di soggetti in grado di coprirli provenienti per esempio dall’immigrazione. Ma potrebbero essere sostituiti da una nuova leadership proveniente dall’estero o, più probabilmente, prodotta all’interno della seconda generazione di immigrazione, specie nei paesi a più antica vocazione immigratoria: che è quanto sta accadendo in questa fase, in diversi paesi europei. Tuttavia va anche rilevato il perdurare dell’importanza dei convertiti, soprattutto nell’interfaccia istituzionale e nei ‘giochi di potere’ legati alla rappresentanza nazionale o regionale dell’Islam, anche in non pochi paesi dove pure la presenza islamica non è recentissima e le comunità islamiche immigrate certamente di non modesta entità. Segno che non basta e non basterà una generazione, e forse nemmeno due, a cancellare le specificità di cui sono portatori rispetto alla popolazione islamica immigrata. Tuttavia di questo aspetto, di questo fattore T (come tempo), occorre tenere conto: ci pare che sia ipotizzabile che la survalorizzazione attuale del ruolo dei convertiti, molto visibile attualmente in alcuni paesi, soprattutto quelli a più recente vocazione migratoria, possa un domani trasformarsi in una devalorizzazione proporzionale ai numeri in gioco.Vale la pena di notare tuttavia che a partire dalla seconda generazione, si assiste a una certa ‘normalizzazione’ dei rapporti e delle divisioni di ruolo tra convertiti ed immigrati: non a caso, per esempio, intellettuali di seconda generazione competono, ma anche collaborano e si sostengono reciprocamente con i convertiti, nelle battaglie di egemonia culturale combattute contro gli intellettuali e i leader di prima generazione e provenienti dai paesi d’origine.I convertiti infine, nella loro situazione di ‘bi-posizionamento’, oltre a occupare un ruolo nel rapporto tra Islam e spazio pubblico, sembrano poter giocare un ruolo importante nella transizione tra l’Islam dei padri e l’Islam dei figli, in collegamento con le seconde generazioni, di cui anticipano in un certo senso una tendenza: quella verso l’Islam non più come tradizione ereditata, portata con sé dal paese d’origine, ma come scelta consapevole, già confrontata alla società di accoglienza e per così dire ‘messa in gioco’ al suo interno2.I convertiti sono, insomma, nella posizione ideale per giocare un ruolo (per la verità più che transitorio) nel passaggio dall’Islam in Europa a un’Islam d’Europa: nella creazione, quindi, di un Islam europeo. Loro che sono, dopo tutto, nient’altro che europei di religione musulmana, non qualificabili né come immigrati né come portatori di una cultura straniera: e quindi, oltre che importanti intermediari sociali, sono anche dei produttori di cultura islamica ‘a vocazione europea’. Essi sono infatti nel contempo il prodotto e i mediatori dell’incontro tra l’Islam e l’Europa. Un’Europa che è anche, senza saperlo, la parte europea della umma islamica. Globalmente, dunque, giocano un ruolo di un certo ‘peso’, che promette di avere effetti importanti sulla stessa autodefinizione dell’Islam europeo. E forse anche di quello ‘d’origine’.