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La Comunità di Sant'Egidio e gli stranieri (D.Pompei)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/07


Alì Jama e il Papa

Nel 1979 gli stranieri fecero irruzione nella vita della Comunità di Sant’Egidio.1 Ciò avvenne a causa di un tragico episodio. Il 22 maggio di quell’anno alcuni sconosciuti diedero alle fiamme un rifugiato somalo, di nome Alì Jama, mentre dormiva tra i suoi cartoni sul sagrato di un’antica chiesa nei pressi di Piazza Navona. La sua tragica morte ci spinse a riflettere sulla presenza dei primi immigrati che arrivavano in Italia. La comunità promosse una veglia cittadina e chiese a Giovanni Paolo II, da pochi mesi divenuto Pontefice, di ricordare quell’uomo che nessun italiano conosceva, ma che aveva un nome e una dignità. Il Papa accolse l’invito ed il 27 maggio, durante l’Angelus, ricordò, insieme a quell’uomo, tutti i migranti. Sin da allora l’impegno della Comunità di Sant’Egidio con gli stranieri è passato attraverso l’incontro con uomini e donne concrete anziché per categorie astratte, nella convinzione che ciascuno sia in qualche misura messaggero della sofferenza e della ricchezza del paese di provenienza; ed una risorsa per la nostra società. Ma occorreva fornire agli immigrati la chiave di accesso per “entrare” davvero nella società italiana.

La scuola d’italiano Comunità di Sant’Egidio - Louis Massignon

Parlare la stessa lingua; come impegno e come metafora. Per questo nel 1982 la Comunità avviava i primi corsi di lingua italiana; e la nuova scuola veniva intitolata a Louis Massignon, il grande orientalista, amico e difensore degli arabi nei possedimenti francesi d’oltremare, insegnante di francese per i magrebini di Parigi.2

A 25 anni dalla sua fondazione, la scuola di lingua è ormai presente in molte città italiane: Roma, Milano, Genova, Napoli, Firenze, Novara; con sedi anche fuori dell’Italia, per l’insegnamento delle lingue dei Paesi di accoglienza. Una agenzia di integrazione linguistica (ma non solo) di notevole impatto, se si calcola che sono ormai più di 55.000, in Italia, gli studenti che ne hanno frequentato i corsi, appartenenti a 110 nazionalità diverse. Quasi tutti lavoratori adulti. La scuola è riconosciuta come scuola di lingua dal Ministero della Pubblica Istruzione dal 1989.

Nei primi anni la scuola è stata frequentata da un consistente flusso di africani; mentre oggi la presenza più numerosa è femminile e proviene dall’Europa dell’est. Tuttavia nelle diverse sedi si nota anche una buona frequenza di asiatici, soprattutto del Bangladesh e cinesi.

A dimostrazione che la scuola attrae esattamente il target per il quale è stata fondata, va osservato che la rappresentazione geografica degli studenti, nei vari anni, è stata ed è la fotografia dell’evoluzione dell’immigrazione in Italia.

Spesso dalla lettura dei mass media e dall’opinione corrente si sente dire che gli immigrati si isolano, non si integrano e tendono piuttosto a chiudersi nelle loro comunità. è doveroso, invece, testimoniare che dove c’è un luogo in cui si insegna l’italiano, le classi sono sempre piene e le iscrizioni in vertiginoso aumento.

Attraverso la partecipazione ai corsi di lingua, gli immigrati esprimono il loro desiderio di vivere bene ed integrarsi nel nostro paese. Per tutti loro la scuola occupa lo spazio temporale - a volte per intero - del riposo dal lavoro; ed infatti i corsi più affollati, specie dalle donne che lavorano presso le famiglie, sono quelli della domenica e del giovedì. E la dimostrazione di come la comunicazione in lingua venga riconosciuta a pari livello dei bisogni primari, accanto al dormire e al mangiare.

Dal 2001 la scuola organizza stabilmente corsi di formazione professionale  per mediatori interculturali, riconosciuti dalla regione Lazio. Gli insegnanti della scuola sono tutti volontari e nessuno viene pagato.

In effetti, facendo scuola ci siamo incontrati con un fortissimo e diffusissimo desiderio di relazione, di incontro, di arricchimento culturale da parte di persone partite dai loro paesi con la speranza di costruire una vita migliore; e non solo dal punto di vista economico.

Se in classe si impara, in primo luogo, l’italiano, una grande attenzione è però data ai contenuti curriculari; in modo da rendere la scuola un ambito di formazione alla cittadinanza: si impara quindi a conoscere la cultura italiana nei suoi diversi aspetti; ma si affrontano anche i grandi temi del razzismo, della pace e della guerra; si parla dei fondamenti costituzionali della Repubblica; sulla storia contemporanea ed è insistito anche l’invito alla rappresentazione e alla comprensione dei diversi mondi di provenienza degli studenti. Le classi, infatti, sono miste e mai monoetniche. Così frequentare la scuola è l’occasione per costruire relazioni di amicizia tra persone originariamente distanti che probabilmente non si sarebbero mai incontrate; come nel caso della nigeriana divenuta amica del cuore di una romena, tanto da farle da testimone al matrimonio.

Dall’esperienza dell’insegnamento “in amicizia” della lingua è nato un metodo, rivolto a immigrati adulti e lavoratori,  che ha trovato forma in due volumi il cui titolo è già un programma: “L’Italiano per amico”.3 Negli ultimi due anni le scuole d’italiano in alcune grandi città hanno aperto delle sezioni nei quartieri periferici dove c’è una alta concentrazione di immigrati.

Stranieri Nostri Fratelli

Nel 1985 il sanguinoso attacco terroristico all’aeroporto di Fiumicino generò un clima di sospetto e di paura nei confronti degli stranieri, visti, indistintamente, come potenziali terroristi.

In quell’occasione Andrea Riccardi scrisse una lettera pubblica dal titolo, piuttosto significativo, “Stranieri Nostri Fratelli”:

“Riaffermiamo che straniero non vuol dire terrorista. Il forestiero porta la sua capacità di lavoro, la sua domanda di pace e di sicurezza…….Voci unilaterali ed allarmistiche sui forestieri possono aggravare una situazione di per sé già dolorosa. Come cristiani intendiamo offrire una testimonianza della nostra sensibilità e del legame che ci unisce a quelli che sono arrivati per ultimi…”.4

Oggi - dopo l’11 settembre del 2001 ed i successivi attentati di Madrid e di Londra - il clima di pessimismo e di paura è aumentato, rendendo quelle parole, “ Stranieri nostri fratelli”, molto attuali. Cresce infatti la tendenza a generalizzare e stereotipare negativamente la figura dello straniero. Ed i più poveri sono i primi a sopportarne le conseguenze, benché, paradossalmente, i più lontani da preoccupazioni politiche.

L’invito della Comunità di Sant’Egidio è di non farsi imprigionare dalla paura; e di praticare la società del “convivere”: conoscere persone di paesi, lingue e culture diverse fa capire la complessità e la ricchezza del mondo; ma anche migliora le nostre città.

La rete dei servizi: non solo problemi ma persone

La fine degli anni ’80 ed il decennio successivo sono stati vissuti e pensati, nelle politiche nazionali sull’immigrazione, come gli anni dell’emergenza.

Successivamente si è molto parlato di superare le risposte emergenziali, adottando politiche di inserimento, o “di cittadinanza”.

Noi siamo convinti che l’inserimento degli immigrati nella società italiana inizi da subito, già nella fase della prima accoglienza, le cui modalità sono strategiche perché colgono lo straniero in una condizione di particolare fragilità dal cui superamento può dipendere l’intero futuro itinerario di integrazione. Quest’ultima è, d’altra parte, dall’inizio alla fine, un processo relazionale nel quale sono centrali i temi dell’amicizia e dell’incontro; senza potere prescindere, tuttavia, dalla tutela dei diritti e dei bisogni primari nei momenti di difficoltà: il vitto, l’alloggio, le cure mediche.

Per queste ragioni, sono stati avviati alcuni servizi, come le case di ospitalità per profughi e stranieri (singoli oppure nuclei familiari), mense, ambulatori, centri di ascolto e di tutela legale per immigrati, rifugiati e zingari. Una rete di servizi di cui usufruiscono ogni anno circa 50.000 stranieri; molti dei quali manterranno vivo il ricordo del sostegno ricevuto, spesso conservando o ritrovando un contatto amichevole con la Comunità nelle successive fasi del loro progetto migratorio.

Genti di Pace

Facendo scuola e parlando con gli immigrati che affollano la rete degli altri servizi loro rivolti, ci è sembrato di dover cogliere una forte domanda di amicizia e di condivisione dei valori di cittadinanza, “Genti di pace” è il nome dell’associazione - non etnica ma cosmopolita - che riunisce italiani e stranieri di 120 diverse nazionalità attorno ad alcune idee guida e ad un progetto di cittadinanza solidale e pacifica.

Le “Genti di Pace” testimoniano con la pacatezza, la gioia e la semplicità, che è possibile “vivere insieme tra diversi, nel rispetto e nel dialogo”.

Si sente parlare molto di scontro di civiltà e dell’impossibilità a vivere insieme tra diversi. Ma questo è anche il tempo del “meticciato”5, nel quale persone diverse si incontrano, si mischiano, si parlano.

Il meticciato comincia ad essere una realtà nel nostro paese, ma facciamo fatica ad accettarlo e a coglierne la positività.

Audinet, nel suo Il tempo del meticciato, tra l’altro, afferma: “Non vi è multiculturalità senza meticciato. I gruppi umani infatti, in presenza reciproca sullo stesso territorio, si incontrano, si mescolano e mescolano le lingue, i costumi, i simboli, i corpi. Generano qualcosa di altro rispetto a se stessi, figli che saranno diversi dalle loro origini”.6

La nostra società è già meticcia. Come dice Bob Kopaku, un cittadino immigrato del Congo, da sei anni in Italia, con un ottimo livello di integrazione: “quando sono in Italia sento la nostalgia del mio paese, quando sono nel mio paese mi manca l’Italia. Mi manca il suo cibo, i suoi colori, i suoi volti, l’Italia mi è entrata nel corpo e nel cuore. Sono diventato strano”. Bob si è già mischiato con l’Italia, ma non ne è perfettamente cosciente. Forse la condizione di questo cittadino straniero non è dissimile dal travaglio di tanti nostri connazionali. E la fatica di maturare una consapevolezza, di accettare la transizione, la trasformazione di qualcosa che già è, ma non è ancora compiuto pienamente.

Le “Genti di Pace”, pur provenendo da tradizioni religiose differenti, celebrano insieme le feste religiose; senza sincretismi, ma come segno di rispetto ed amicizia reciproci.

Celebrare le feste religiose in una vita resa difficile dall’emigrazione è importante. Molte donne dell’Ucraina ad esempio, piangono durante la Pasqua ed il Natale perché sentono la nostalgia della famiglia.

Invece vivere bene - ed in compagnia - questi momenti può marcare il buon inserimento nella società dove si vive; e può far modificare un’idea intristita e a volte arrabbiata della propria condizione.

Difesa dei diritti

Nel 2002 “Genti di Pace” e “W gli anziani”7 della Comunità di Sant’Egidio, in concomitanza con l’approvazione della nuova legge sull’immigrazione, hanno promosso una campagna nazionale dal titolo Ho bisogno di te per segnalare al Parlamento e all’opinione pubblica la necessità, soprattutto degli anziani e delle famiglie, di poter mettere in regola i lavoratori stranieri dedicati al loro servizio come assistenti o come domestici. Ho bisogno di te, perché, obiettivamente, senza gli stranieri, le persone anziane sarebbero costrette ad andare in istituto e i nostri bambini rimarrebbero soli, con entrambi i genitori al lavoro. D’altra parte, Ho bisogno di te esprime anche il bisogno degli stranieri di lavorare in regola e di mantenere dignitosamente le loro famiglie. “Ho bisogno di te” esprime bene il legame indissolubile che c’è tra il mondo ricco e il mondo povero.

Una seconda campagna di opinione della Comunità di Sant’Egidio e di “Genti di Pace” si chiama Bambini d’Italia ed è tutt’ora in pieno svolgimento.

Sin dal 2003, la Comunità si è fatta promotrice della riforma della legge sulla cittadinanza. Una legge ormai obsoleta che risponde più alle esigenze di un Paese di emigranti che non a quelle di un paese di immigrazione, quale è oggi l’Italia.

L’arretratezza della legge, pur rimarcabile riguardo ai procedimenti di naturalizzazione degli adulti, è soprattutto evidente per i minori, figli di cittadini stranieri ma nati o cresciuti sul territorio nazionale senza che questo apra loro le porte della cittadinanza. Renderli cittadini darebbe loro una  mano a crescere insieme ai compagni di scuola italiana, ma sarebbe anche un aiuto all’Italia, che non può permettersi di ostacolarne l’inserimento. Spesso quando si parla di immigrazione si tocca il tema dell’identità, si ritiene che per evitare inutili crisi di identità  sarebbe opportuno riconoscere i figli degli immigrati cittadini italiani.

Questo aiuterebbe un inserimento meno traumatico. Amin Malouf ci viene in aiuto quando si parla di identità e dice “L’identità non si suddivide in compartimenti stagni, non si ripartisce né in metà, né in terzi. Non ho parecchie identità, ne ho una sola, fatta di tutti gli elementi che l’hanno plasmata, secondo un dosaggio particolare che non è mai lo stesso da una persona all’altra”.8

Ogni uomo e ogni donna sono il frutto di una identità complessa che si costruisce nel corso della vita, quindi si può essere romeni e italiani allo stesso tempo. La campagna per la modifica della legge sulla cittadinanza continua e ha visto nell’ultimo anno le associazioni e i movimenti cattolici unirsi insieme per chiedere al Parlamento italiano di approvare velocemente la nuova legge.9

Il dialogo, l’incontro, si possono trasformare anche in proposte concrete, legislative e culturali che testimoniano valori universali, e che consentono a tutti, di vivere insieme la diversità non come un limite o come uno ostacolo, ma come una ricchezza in più che può aiutare tutti a vivere in un mondo umano non dimenticando il fratello e la sorella che bussano alla nostra porta con le mani vuote ma con il cuore ricco di doni che noi tutti abbiamo bisogno di ricevere.

 

 

 

1 La Comunità di Sant’Egidio, nata a Roma nel 1968, è un movimento di laici, cui aderiscono più di 60 mila persone in 70 paesi. Sin dai suoi inizi si è caratterizzata per il suo impegno nell’evangelizzazione e nella solidarietà con gli ultimi . Dagli anni Ottanta la sua attività si è sviluppata sul piano internazionale con numerose iniziative di dialogo interreligioso e nel campo della pace, soprattutto in Africa. A questo proposito, negli anni 1990-1992, la Comunità di Sant’Egidio è stata protagonista del processo di pace in Mozambico nel ruolo di mediatore. Altre azioni di pacificazione sono state svolte in Albania, Kosovo, Algeria, Guatemala, Uganda e Costa d’Avorio. Per la Comunità di Sant’Egidio la guerra è “la madre di tutte le povertà”. Cfr. Andrea Riccardi,  Sant’Egidio Roma e il mondo, ed. San Paolo, Milano 1997. Vedi anche www.santegidio.org

2 La figura di Louis Massignon è ben ricostruita da G. Basetti Sani, Louis Massignon. La vita. Il pensiero, Alinea, Firenze, 1985

3 Per l’editore La scuola, di Brescia.

4 Cit. Andrea Riccardi, Stranieri nostri fratelli, memoria cristiana verso un’etica comune, Comunità di Sant’Egidio, Roma, 1985. pag. 19

5 Jacques Audinet, Il tempo del meticciato, ed. Queriniana, Brescia, 2001

6 Jacques Audinet, Il tempo del meticciato, ed. Queriniana, Brescia 2001. cit. pag.

7 Il Movimento “Viva gli Anziani” nasce dall’esperienza della Comunità di Sant’Egidio ed è una proposta a quanti , anziani e non, vogliono vivere la vecchiaia come un’opportunità per se stessi e per gli altri. Per ulteriori informazioni www.santegidio.org.

8 Amin Maalouf, L’identità, Tascabili Bonpiani Milano 2005

9 Appello rivolto ai parlamentari il 25 maggio 2007 da Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Comunità di Sant’Egidio, Acli, Fondazione  Astalli ed altri per sollecitare una riforma della legge sulla cittadinanza.